E' stato calcolato che nei paesi del G8 a fronte di un totale di
300 milioni di abitanti vi siano qualcosa come
130 milioni di cani e molte decine di milioni di più di gatti.
Lo si legge sul sito yeslife.it . E' ovvio quindi che, visto che gli animali domestici sono quasi quanto gli umani, il loro impatto sull'ambiente in termini di spreco di risorse e inquinamento è tutt'altro che cosa da sottovalutare.
Se da un lato si fa largo una nuova, più sensibile, considerazione degli amici a quattro zampe con gli ambientalisti/animalisti che
sollecitano l'adozione di nuovi cuccioli e di pari passo la conversione ad una dieta vegetariana, rispettosa degli animali ma anche dell'ambiente (si dice ormai in tutte le salse che mangiare carne non è compatibile con un uso consapevole delle risorse), dall'altro fanno finta di non sapere che proprio come noi, e forse ben più di noi,
tutti quegli animali sono degli irriducibili mangiatori di carne: il che comporta un continuo flusso sempre maggiore di risorse sottratte alla natura per produrre il loro cibo in scatola. Se una volta infatti i nostri cani e gatti erano utili per la caccia e per tenere lontani i topi, ora sono spesso solo
teneri "concittadini" nullafacenti, a cui non si danno più gli avanzi della tavola come una volta, ma appositi cibi specializzati per ogni loro necessità: lo dimostra un
mercato in continua crescita, uno dei pochi per altro che tiene banco alla crisi.
In America questa questione comincia ad essere percepita come un vero problema in particolare dopo la pubblicazione di “
Time to eat the dog? The real guide to sustainable living”, un libro che si chiede se in un mondo di risorse limitate sia giustificabile il mantenimento di animali domestici che consumano, e inquinano, più di alcune persone. Secondo i calcoli, in gran parte condivisi e rilanciati da
New Scientist, alcuni animali, soprattutto a causa del cibo che mangiano, hanno un’impronta ecologica sostanziosa:
0,84 ettari di terra per mantenere un cane di media taglia, quando un vietnamita si ferma a 0,76 ettari , ed un etiope ad appena 0,67 ettari (un italiano a 4,2). Nel libro si sostiene che per nutrire gli animali domestici sono necessari circa
2 milioni di km quadrati, pari al 12% delle terre coltivate.
Certo nessuno intende demonizzare la presenza dei nostri fidati animali nelle nostre case, ma forse è opportuno che il problema sia seriamente preso in considerazione anche da noi, e che gli ambientalisti e animalisti, tanto bravi a criticare gli altri, si rendano conto che
uno dei più grossi danni alla biodiversità, in fatto di tutela della natura e di sfruttamento degli animali, proviene proprio dalla loro lacunosa filosofia. L'ISPRA che ne dice? Perchè non ci progetta una ricerca, fatta un po' meglio di quella sui pallini di piombo, che dicono che faccia acqua da tuttte le parti?