E' già incredibile che da anni un gruppo di randagi si aggiri pericolosamente in uno dei siti archeologici più importanti e belli del mondo, già martoriato da una colpevole incuria che ci ha esposto al pubblico ludibrio quando nel 2009 il mondo assistette incredulo alle immagini del crollo della Casa del gladiatore.
Ma la cosa ancor più riprovevole è che quei cani e la loro gestione sono costati (inutilmente) a tutti noi un sacco di soldi. Tutto inizia con il progetto (C)Ave canem, ideato dall'ex commissario straordinario agli scavi pompeiani, Marcello Fiori, che ora è sotto inchiesta per sospetti di abuso di ufficio per ciò che fece e non fece nel sito archeologico. Il progetto aveva l'obbiettivo di risolvere l'emergenza randagi con la collaborazione delle associazioni animaliste Lav, Enpa e Lega Nazionale per la difesa del cane. Il patrocinio del Ministero dei beni culturali e di quello per le politiche sociali ha permesso lo stanziamento di quasi 103 mila euro, soldi che dovevano servire per censire i cani e trovare loro una casa. Il risultato del lavoro evidenzia un esborso spropositato: 55 cani censiti, 26 cani adottati, 3 cani restituiti al legittimo proprietario, 2 cani trasferiti in centro di accoglienza per percorso educativo.
Oggi che il numero dei cani è nuovamente salito, molti turisti hanno paura di addentrarsi nel sito archeologico visto che non molto tempo fa il custode e due turisti sono stati azzannati dai cani vaganti. Stando a quanto riferisce il Corriere del Mezzogiorno, il fenomeno oggi è raddoppiato e i cani sono ancora liberi di scorrazzare tra le rovine e di urinare sulle antiche colonne romane. Se la situazione è quella descritta dal quotidiano viene da chiedersi che fine abbiano fatto i fondi privati che la Lav ha ricevuto (donazione dalla Mitchell Foundation di Dallas), la cui responsabilità è stata sancita nel 2011 con un nuovo protocollo d'intesa firmato dal Comune di Pompei, l'Asl Napoli 3 Sud e la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei.