I continui allarmi sui bocconi avvelenati rischiano di ingigantire il problema? Così sembrerebbe stando ai numeri forniti da un articolo di Paola D'Amico sul Corriere della Sera: all'Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna (che per legge è quello deputato alle analisi su questo tipo di avvelenamenti) nel 2012 sono arrivati solo 56 campioni relativi a Milano (da cui è partito un nuovo allarme in questi giorni), in 16 casi si è trovata traccia di sostanze nocive, ma, anche aggiungendo i casi direttamente segnalati all'Asl dai cittadini milanesi, 31 in tutto, risultano poi a conti fatti solo tre quelli segnalati al Comune dall'Ufficio Zooprofilattico.
Ovvero solo in quei tre casi è stata evidenziata la presenza di veleni nei campioni, con la conseguente denuncia alla Procura e segnalazione alla Prefettura e alla Asl. A mettere in moto gli accertamenti sono stati un'associazione animalista e i proprietari degli animali, morti a seguito dell'ingestione di bocconcini appositamente avvelenati, posizionati nell'area laghetto del parco Forlanini, nell'area stazione San Cristoforo Naviglio e in via Selvanesco.
Ciò accade anche perchè non si segue correttamente la procedura imposta da leggi e ordinanze.
Per legge, tutti i veterinari che sospettano un caso di avvelenamento tra i propri pazienti devono inviare il cadavere dell'animale e i contenuti gastrici o quel che resta di un boccone avvelenato all'Istituto Zooprofilattico per l'indagine tossicologica. Ma non sempre lo si fa. Per esempio il caso dell'avvelenatore fermato in questi giorni a milano è stato gestito impropriamente: i campioni, secondo la legge, sarebbero dovuti finire all'Asl per un'indagine e non raccolti dalla scientifica.