“Una discriminazione inaccettabile e vergognosa che ricorda gli anni bui del nazifascismo quando fuori dalle porte campeggiava la scritta vietato l’ingresso agli ebrei e ai cani”: così il primo commento di Marco Ciarafoni, presidente del consiglio nazionale dell’Arci Caccia allorché l’associazione è stata informata da alcuni soci che l’organizzazione animalista alla quale erano stati affidati i cani adulti di un noto allevamento di bracchi italiani, dopo la morte del titolare, ponevano la pregiudiziale che la persona adottante non dovesse essere un cacciatore.
“Per di più nel corso delle telefonate si informava il possibile affidatario che i cani sarebbero stati sterilizzati “inconsapevoli” del fatto - continua Marco Ciarafoni - che quei bracchi italiani sono iscritti ai libri genealogici e che così facendo si sarebbe disperso un patrimonio genetico di assoluto valore. I bracchi italiani in questione, infatti, sono il risultato della passione e delle competenza di un allevatore con affisso riconosciuto dall’Enci e dalla Federazione Cinologica Internazionale e rappresentano una delle due razze da ferma italiane che ci vengono invidiate in tutto il mondo per le loro esclusive caratteristiche di lavoro e morfologiche”.
“L’amore verso il cane - conclude Marco Ciarafoni - non può essere catalogato sulla base di una discriminazione massimalista ed ideologica riferibile alle scelte di vita della persona che decide di averlo con se ma solo in base alla verifica che il cane sarà effettivamente nelle mani giuste poiché chi lo adotta ha le reali possibilità di garantire il giusto benessere”.
“Non ci pare che i cacciatori, in quanto tali, siano catalogati come noti delinquenti ricercati dalle polizie di tutto il mondo ma come persone perbene e a posto con la giustizia anche in virtù del porto di fucile che hanno in tasca. Non vorremmo proprio che tra non molto spunti qualche cartello galeotto che vieti l’ingresso “agli ebrei, ai cani e ai cacciatori”.