In un’epoca come la nostra dove i problemi della caccia sono molti, dove le insidie sono ormai cosa quotidiana, dove ci sentiamo chiamare assassini e ci accusano di ammazzare a bastonate i nostri cani quando la vecchiaia o il mancato istinto non permette più loro di andare a caccia, a volte ci dimentichiamo di quanto bella sia e quante gioie infonda questa meravigliosa passione che per molti è diventata stile di vita e che io considero una vera e propria arte.
Non si può parlare di caccia senza parlare dei nostri cani. I più non se ne accorgono ma, quando cacciatore e ausiliare cacciano assieme, si instaura un dialogo vero e proprio tra uomo e animale. In secoli di simbiosi loro hanno imparato a “parlare” per portare a compimento una delle attività più antiche della Terra. Queste sono esperienze incomprensibili per tutti coloro che vivendo in un mondo distante anni luce dal mondo rurale si creano un modello stereotipato della natura e, dall’alto della loro ignorante arroganza, sputano sentenze che nulla hanno di attinente con la realtà delle cose.
Coloro che criticano la caccia non possono capire la gioia che noi ritroviamo negli occhi dei nostri ausiliari che cacciano per noi in cambio di un po’ di zuppa e un po’ di affetto. Ci seguono ovunque, non importa se ci sia il sole o il vento o la pioggia battente o il freddo pungente, vincono per noi le loro paure e mettendo a tacere i loro antichi istinti si lasciano plasmare a nostro piacimento. Il livello di empatia dei nostri cani fa parte delle cose ancora celate alla ragione umana; spesso crediamo che loro non capiscano, che non intendano, ma invece si accorgono di tutto, di ogni nostro cambiamento di umore. Quando siamo demoralizzati e stanchi, per questa società che rifiuta il nostro essere cacciatori, ti poggiano la testa sulle ginocchia e guardandoli negli occhi color nocciola, capisci che loro sanno, e forse solo loro, dell’angoscia della nostra rinuncia.
Per me il cane è parte integrante della caccia e del cacciatore, come una gamba è parte integrante della persona. E’ impensabile parlare di caccia in Italia senza porre particolare attenzione ai nostri ausiliari.
Le mie giornate di caccia sono allietate da Pedro, un setter inglese tricolore di nove anni che viene a caccia con me solo da quattro. Lo aveva scelto mio papà tra sette soggetti della stessa cucciolata ( a volte mi chiedo se siamo noi a scegliere loro o se sono loro a scegliere noi), aveva 90 giorni quando è entrato in famiglia. E’ nato non molto distante da casa in questo piccolo paradiso dove credo di vivere, dove il progresso e la vita moderna non sono riusciti a sradicare completamente le vecchie buone maniere, la tradizione e la sensibilità contadina. Dove la conoscenza dei nostri nonni , tramandata ai nostri genitori e poi a noi non è andata tutta perduta e, pur a fatica, continua a essere preservata.
Mio papà pazientemente, con amore, passione e dedizione si dedicò al suo addestramento creando quel legame che nel mondo animale è unico: uomo-cane. Ricordo ancora l’espressione entusiasta sul viso di mio padre quando rientrava dalle lunghe giornate di caccia e mi diceva: "Pedro è stato bravissimo, dovresti vederlo" e goffamente si improvvisava ad imitare le sue ferme, che suscitavano in me un sacco di risate.
Poi il destino ha voluto che, dopo una battuta di caccia, ritornasse a casa solo Pedro e il bosco si prendesse il mio papà. I giorni passavano e la tristezza negli occhi non si leggeva solo in noi ma anche nel suo fedele amico a 4 zampe; la mattina alle 5.30 puntualmente abbaiava per chiamarlo, si sedeva davanti la porta dove lui usciva col fucile e lo zaino per partire all’alba ma poi doveva solo acontentarsi di vedere uscire me in pigiama e sentirsi fare qualche coccola per poi ritornare a testa bassa nella sua cuccia rassegnato. L'assoluta dedizione di un cane nei confronti del suo padrone mi ha mostrato lo straordinario potere dei sentimenti e come anche il più semplice fra i gesti possa diventare la più grande manifestazione di affetto mai ricevuta.
Finchè un giorno, partendo da zero, ho preso la licenza di caccia e Pedro è diventato il mio fedele e onnipresente compagno. Il suo istinto innato, la sua voglia di cercare, di intrufolarsi nei rovi, di tuffarsi nei ruscelli, di cercare ininterrottamente finchè, scovata la preda immobile in ferma, aspetta il mio arrivo nella speranza che io riesca a portare a termine il suo lavoro, che lo rende il vero cacciatore di casa. Pedro non è solo un ottimo cane da caccia, ma anche un membro a tutti gli effetti della famiglia, un compagno fedele dalla bontà e pazienza infinita ma anche “dotato” di un’acuta testardaggine che a volte fa perdere la pazienza, ma poi, quando ti guarda con quegli occhioni, riesce a farsi perdonare tutto. Vorrei ringraziare la mia famiglia, in particolar modo i miei genitori e nonni, per avermi fatto restare con i piedi per terra nonostante una società sempre più progressista, estremista e falsa, per essere radicata e profondamente convinta dell’importanza delle tradizioni, di cui la caccia ne è parte integrante.
Noi tutti non dobbiamo arrenderci a questo animalismo sfegatato che imperversa nella nostra società. Molto spesso ci lamentiamo e incolpiamo gli altri della situazione della caccia in Italia ma se imparassimo a essere più autocritici capiremmo che la situazione in cui ci troviamo è dovuta in primis a noi come categoria. In tutte le sfide degli ultimi anni abbiamo dato prova di essere disuniti e incapaci di capire cos’è bene per godere appieno della nostra passione. Ci lasciamo dividere e influenzare da dirigenti venatori che, per conservare la loro posizione di comodo, non fanno il bene del mondo venatorio ma cercano di modellare la caccia in maniera più consona ai loro bisogni. Per dare una risposta decisa all'animalismo che avanza dobbiamo noi tutti metterci di impegno, non possiamo aspettare che le associazioni facciano qualcosa, dobbiamo trovare la forza di cambiare quel mondo che sta facendo svanire tutta la caccia.