“Forse non tutti sanno che il principale possessore di cani in Italia è lo Stato, con almeno 600.000 soggetti nei canili (qualcuno ne stima 2 milioni)". Con queste parole, Angelo Troi, segretario Nazionale Silvep, sindacato italiano veterinario liberi professionisti, fa presente che "lo Stato è il principale acquirente di farmaci per curare gli animali che detiene (spesso a vita e senza che ciò sia considerato maltrattamento) nei canili, sparsi su tutto il territorio nazionale".
Il sindacato fa notare anche che "mentre il medico è tenuto a ricettare per l’uomo il principio attivo del farmaco, evitandone il nome commerciale per questioni di risparmio del Sistema Sanitario, il veterinario non può fare altrettanto per i suoi pazienti. Deve infatti ricettare obbligatoriamente il farmaco registrato per quella specie, oppure per altra specie ad uso veterinario, e solo in ultimo ad uso umano, anche se il principio attivo è esattamente il medesimo o se la letterature scientifica suggerirebbe terapie migliori e/o più aggiornate. Occorre rivedere la legge 193/06 -dice il Sindacato dei veterinari liberi professionisti- ormai obsoleta, che vincola il medico veterinario a questo meccanismo anche per animali non destinati alla produzione di alimenti (art.10)".
Ridare al veterinario la dignità di esercitare la professione medica, con libertà di prescrizione, vuol dire ridurre la spesa per i possessori di animali (lo Stato in primis) e rendere possibili cure più efficaci per gli animali da compagnia. Significa anche non disperdere energie della Sanità pubblica (oggi chiamata a sorvegliare anche questo aspetto, distogliendo personale e risorse ad es. dall’agro-alimentare) mantenendo una tracciabilità a livello di medicina umana, trattandosi comunque di medicinali sottoposti a ricetta. A baluardo contro l’uso inopportuno degli antibiotici resta sempre il divieto di usufruire di molecole immesse sul mercato da meno di 5 anni e la responsabilità del professionista nelle indicazioni terapeutiche”.