Dal "
Dizionario della Lingua italiana di Caccia" di Plinio
Farini e A.
Ascari, Garzanti 1941.
Riproposto da
Edoardo Mori.
Qualità
così si chiamano tutte le doti venatiche, che può avere un cane da caccia. ‑ Queste doti sono fisiche e spirituali, ossia del corpo e dell'animo. Delle prime tratta l'esologia canina determinando quali sieno le forme esteriori, che testimoniano della maggiore o minor perfezione corporea del cane. Infatti gli antichi ci hanno lasciato molte di tali esologie, dimostrandoci con questo di credere che il concetto, ch'essi avevano della perfezione fisica canina, fosse indizio quasi certo delle doti spirituali del cane. Fin d'allora eran dunque determinate le forme generiche dei vari cani, e quelle specifiche dei singoli membri. Col passare dei secoli molti concetti si son mostrati erronei, altri son cambiati del tutto col cambiare delle cacce, degli animali che ne sono oggetto, delle armi, e dei mezzi venatori. E purtroppo la cinegetica comune è ancora ben lontana da l'aver determinato scientificamente quali sieno le vere qualità spirituali del cane perfetto; e quali tra queste debbano ritenersi innate nell'amico dell'uomo; quali gli sieno donate da l'ammaestramento e quali, da certi mezzi di cattura d'animali, gli sieno diventate un'acquisizione, fattasi quasi una seconda natura in grazia della selezione scientifica. Possono ritenersi qualità naturali del cane: l'obbedienza, l'olfatto, l'andatura, la cerca e il suo stile, il portare la testa alta, il coraggio, la resistenza al lavoro, lo spirito d'iniziativa e d'indipendenza relativa, la punta o il puntare. Nego però assolutamente che la ferma sia innata nel cane, perché questa gli si è manifestata parecchi secoli dopo che l'uomo aveva rilevato in esso la punta, e ne aveva profittato prendendo uccelli indicatigli con tal segno.
Qui o Qua
richiamo al cane perché ritorni al padrone: Può essere di rimprovero, d'invito e di carezza.