Tutti i cani da caccia quando sono vicini alla preda scattano per azzannarla, mentre nel cane da ferma l'emanazione del selvatico (da lui localizzata con l'olfatto) innesca un blocco inibitorio paralizzante che, inducendo quest'ultimo alla difesa passiva a terra dell'immobilità, dà al cacciatore il tempo per giungere a tiro.
La caccia vagante ai gallinacei con il cane è nata con l'invenzione del fucile a pallini, che consente di sparare ad uccelli in volo (cosa prima impossibile), ed è resa possibile dal modo di comportarsi di questa specie.
Anzitutto i gallinacei sono uccelli stanziali e sedentari (non si allontanano molto da dove sono nati).
Inoltre sono terricoli, cioè vivono, si alimentano, nidificano in terra, protetti dalla vegetazione, ed in caso di pericolo, invece di ricorrere al volo come gli altri uccelli, si affidano alla difesa passiva a terra dell'immobilità e del mimetismo, volando solo in casi estremi, ma sempre per brevi tratti.
La istintiva riluttanza al volo dei gallinacei è una difesa elaborata contro l'attacco dei rapaci (un tempo assai numerosi) che grazie al volo veloce ed agile non lasciano scampo a tutto ciò che si muove in aria, mentre non sono in grado di mettere a fuoco una preda immobile a terra, a causa di una peculiarità strutturale del loro apparato visivo.
La strategia difensiva dei gallinacei così efficace e valida contro i rapaci, non è servita contro l'uomo perchè esso grazie alla sua intelligenza creativa ha saputo sfruttare l'olfatto di un cane specializzato per individuare attraverso la loro emanazione olfattiva i selvatici invisibili nella vegetazione, e nel contempo ha addestrato il cane ad arrestarsi in prossimità della preda (con la ferma), così da far scattare in essa la difesa passiva a terra dell'immobilità (che consente al cacciatore di giungere a distanza utile).
La caccia vagante, resa possibile dal fucile, è venuta a compensare la progressiva scarsità dei selvatici ed ha acquistato una connotazione dinamica ed attiva perchè l'esplorazione del cane aumenta le possibilità di incontro e il suo olfatto riesce a localizzare la selvaggina invisibile che con la ferma è indotta alla immobilità a terra.
Il compito del cane viene così a risultare dominante in questo tipo di caccia, mentre il ruolo del cacciatore si limita alla fase finale, così ché il carniere, che un tempo era elemento centrale della caccia, viene ora ad essere meno importante per il cinofilo cacciatore rispetto all'azione del cane.
A mio avviso la ferma (in aggiunta alle altre qualità del cane da caccia) va considerata come evocazione metaforica del rapporto che in natura esiste tra predatore e preda, nel senso che le rispettive tecniche offensive e difensive coevolvono secondo criteri di compatibilità, e ciò consente al cane di talento di eludere le astuzie difensive ed elusive dei selvatici.
In sostanza l'azione del cane di talento riesce a condizionare la reazione del selvatico, perchè fermando alla distanza "giusta" obbliga il selvatico alla difesa passiva dell'immobilità (se ferma troppo lontano, il selvatico può fuggire di "piede"; se ferma troppo vicino ciò può causarne l'involo).
Il cane che ha una buona tecnica venatoria sa indovinare la distanza giusta di ferma, tenendo conto del vento, della vegetazione, delle condizioni ambientali e financo dello stato di quiete o di allerta del selvatico, e perciò il suo ruolo è attivo e determinante nel provocarne la immobilità difensiva a terra, da cui dipende l'esito della caccia.
Enrico Fenoaltea