Trattare cani e gatti con estremo affetto, talvolta scambiandoli per figli, può essere dannoso soprattutto per la salute degli stessi animali, che vengono sottratti alla loro natura. Una tendenza purtroppo piuttosto radicata di cui non sempre ci si rende conto (basti vedere il boom di accessori per animali degli ultimi tempi, vestitini compresi).
Riportiamo in alcuni stralci una lettera pubblicata dal sito della Gazzetta di Parma nella rubrica “ditelo al veterinario”. La signora in questione ha due cagnette di razza Pinscher (razza nata per la caccia da tana) di nome Buffy e Wendy ed è preoccupata perchè “le due bambine sono dolcissime anche se un po' monelle”: fanno quello che vogliono, compreso lasciare ricordini solidi e liquidi ovunque e litigano fra loro. Quindi, scrive la signora, “quando posso, a turno, le prendo in braccio”, pensando così di rassicurarle.
La risposta dell'esperta, la Dott.ssa Faccini è puntuale e severa. “Spesso - scrive - amando troppo gli animali, per dimostrar loro il nostro affetto, si commettono dei banali errori che possono anche comprometterne il percorso educativo, aprendo la strada, come nel suo caso, ad anomalie del comportamento quando non a vere e proprie patologie non sempre facili da risolvere”.
“Li avete inconsapevolmente umanizzati, trattandoli come bambini”, scrive ancora la dottoressa che spiega “gli animali, a differenza delle persone, non hanno alcuna necessità di sentirsi “amati” dai loro padroni mentre, all’opposto, hanno assoluto bisogno, per crescere equilibrati, che all’interno del proprio branco si stabilisca una precisa gerarchia, con uno o più capi (i padroni) e dei subalterni (loro, i cani). Hanno cioè bisogno di un leader autorevole e bonario che stabilisce le regole e le faccia rispettare”.
Insomma se i cani “viziati” dalle troppe attenzioni fanno quello che vogliono, è perchè sentono di essere loro i capobranco, una condizione errata che, soprattutto nel caso di cani più grossi, può essere pericolosa perchè può dar luogo anche ad aggressioni che possono apparire del tutto immotivate ma che una particolare ragione, anche se non la vediamo, ce l'hanno.