Pochi giorni fa abbiamo dato notizia del ricorso al Tar di Roma avviato dagli allevatori di alcune razze da caccia (il cui standard prevede il taglio della coda), contro l'ordinanza che il 22 marzo scorso ha annullato la precedente disposizione del 2009, una sintesi che permetteva l' intervento nell'interesse del cane sotto responsabilità del veterinario.
Abbiamo intervistato il dott. Luigi Nerilli, primo tra i ricorrenti, che ci ha spiegato come il ricorso si sia reso necessario dopo l'indifferenza mostrata dall'Enci, l'unico ente preposto, per statuto, alla difesa degli standard delle razze canine, che però ha deciso di schierarsi con il Ministero e l'Enpa a contrasto del ricorso. “Il mio club (Griffone Korthals, ndr) – ha detto Nerilli - rappresenta una razza di origine francese che prevede la coda tagliata. Il ricorso al Tar pertanto è motivato dal fatto che io, come molti altri allevatori, riteniamo che l'Italia non possa legiferare in maniera contraria allo standard della razza”.
Altre ragioni del ricorso attengono proprio alla materia del benessere animale: “Il cane da caccia – spiega ancora Nerilli - segnala la presenza del selvatico attraverso il movimento della coda. In un terreno molto fitto rischia lacerazioni molto dolorose, non paragonabili a quelle, minime, derivanti dal taglio della coda nei primi giorni dopo la nascita, è molto più grave lasciare che il cane riporti conseguenze traumatiche di questo genere”.
“Noi ci auguriamo, ha detto infine Nerilli, che molti altri allevatori nel momento in cui sarà discussa la causa (il prossimo 9 settembre, ndr) si costituiranno ad adiuvandum in nostro favore”.
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