Crollano i consumi (anche di genere alimentare), quasi tutti i settori sono in crisi ma
l'industria di cibo e accessori per gli animali d'affezione, non accenna cedimenti. A dirlo è uno dei più autorevoli osservatori dell'economia globale, come il
Financial Times, che analizza il fenomeno trattandolo alla stregua di un vero paradosso dei nostri tempi. La crescita di questo genere di prodotti, al contrario di quelli destinati agli umani è stimata in un
6 per cento annuo fino al 2016. Secondo il quotidiano economico “il mercato di cibo per gli animali negli USA è
tre volte maggiore di quello per i bambini e va meglio”. Per questo motivo in molti supermercati ormai l'area Pet è più grande di quella per i bambini e a dirla tutta grossi marchi specializzati in prodotti per bambini hanno fiutato l'affare e
stanno spostando grossi investimenti nel settore animali. Ecco che nascono prodotti sempre più sofisticati come vestitini e oggetti alla moda e addirittura farmaci antidepressivi e ansiolitici.
Illuminante il commento di Carlo Bellini che su l'Osservatore Romano (nell'articolo Se un delfino è più umano di un disabile), sottolinea il rischio che questo mettere sullo stesso piano, o addirittura su un piano superiore gli animali rispetto agli uomini, porti a distrarre l'attenzione dalla povertà e dalle grandi malattie, innescando per altro adeguamenti inconsci nelle persone ma addirittura nelle istituzioni. Un esempio è, secondo Bellini, la recente normativa UE “che invita a trattare gli animali nelle condizioni più "umanitarie", espressione perlomeno paradossale, dato che si parla di animali”. “Ma non sarà – si chiede il giornalista - che si preferisce dare sempre più spazio agli animali perché la gente ha perso la voglia di riconoscere incondizionatamente il giusto rispetto da dare all'uomo?”.
Il rispetto per gli animali comunque la si giri, rimane subordinato alla loro utilità. “Ad esempio – continua Bellini - le norme dell'Unione europea di cui sopra dettano di limitare gli esperimenti sulle "grandi scimmie", lasciando meno restrizioni agli esperimenti su altri animali". "Potremmo chiamare questo modo di comportarsi: animalismo estetico o utilitarista. Trascura le specie meno gradite, ed è parente del comportamento barbaro costituito dall'abbandono dei cani da appartamento, quando non sono più "utili"”.
“In fondo – conclude - non c'è da stupirci: tutta la società ha come parola d'ordine quella di accogliere solo chi è perfetto tra gli umani, figuriamoci tra gli animali. Non ci stupisce allora che l'industria investa più per i cani che ci fanno fare bella figura o ci fanno compagnia, che per i bambini, talora indesiderati, e comunque sempre fonte di imprevisti. L'industria segue le priorità della gente; e nei comportamenti dei popoli occidentali - basta guardarsi intorno - bambini e malati non sono certo "la" priorità.