“L’eventuale precedente rinnovo non fa nascere alcuna aspettativa. Ciò in quanto, ogni volta che esamina una istanza di rinnovo, il Ministero dell’Interno formula una attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e tiene conto delle esigenze attuali della salvaguardia dell’ordine pubblico”.
Così si è recentemente espresso il Consiglio di Stato in merito all'appello del Ministero dell'Interno e della Prefettura di Teramo per la riforma della sentenza del Tar dell'Abruzzo, che aveva annullato il provvedimento della prefettura la quale aveva negato il rinnovo della licenza per difesa personale a un cittadino. L'uomo, gestendo consistenti somme di denaro per conto della propria società, aveva chiesto il rinnovo del porto d'armi scaduto e se lo è visto negare dopo 15 anni di rinnovi. Nel 2006 il Prefetto ha negato l'autorizzazione per mancanza di “dimostrato bisogno”. A quel punto il cittadino ha fatto ricorso al Tar, che ha annullato il provvedimento, ritenendolo contraddittorio con i precedenti rinnovi e non adeguatamente motivato.
Il Consiglio di Stato ha ribaltato quella sentenza ed evidenziato il potere discrezionale delle prefetture. Nella sentenza si fa presente che il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto ma rappresenta, invece, una deroga al divieto del porto d'armi. Viene così sancito che ad ogni rinnovo le valutazioni del Ministero e dei suoi organi periferici possono basarsi su criteri di carattere generale, tenendo conto delle peculiarità del territorio, del particolare momento storico delle specifiche implicazioni di ordine e sicurezza pubblica.
Il che significa che i fattori da valutare ad un rinnovo possono essere diversi da quelli valutati in passato. In assenza di altri riferimenti legislativi (la legge non prevede il porto d'armi automatico per alcune categorie) vale quindi il principio della discrezionalità del valutante. Nel caso in questione non sono emersi elementi tali da evidenziare come l’incolumità dello stesso ricorrente fosse messa a specifico repentaglio.