È nostro dovere smascherare l’inganno dialettico e ideologico rappresentato dall’uguaglianza “armi=violenza”. La Fidasc, con il sostegno di circa 10.000 atleti tesserati, distribuiti nelle oltre 400 società riconosciute e inserite nel Registro Coni, è pronta fin d’ora a fare la propria parte.
Se anche gli altri organismi sportivi volessero condividere questa linea, siamo pronti a sottoporre alla base, anche attraverso la convocazione di una assemblea straordinaria, una serie di opzioni tali da scongiurare l’ulteriore deterioramento di una tendenza già fin troppo negativa, e in grado di produrre delle riforme condivise di portata storica.
Ormai è chiaro a tutti che il giocare di rimessa si è fin qui dimostrato assolutamente improduttivo e perfino deleterio. Il basso profilo tenuto fino ad ora ha permesso solamente che montasse una sorta di psicosi contro le armi sportive che è la figlia legittima di una situazione estremamente complessa.
Questa congiuntura così negativa è determinata da una articolata serie di concause, molte delle quali sono di carattere generale mentre altre, che hanno una natura del tutto diversa, hanno origine da situazioni sociali del tutto locali che non hanno niente a che vedere con il nostro Paese. Infatti, alle problematiche ambientali connesse all’uso del piombo (ma anche a quello della plastica dei bossoli e perfino gli stessi piattelli), che sono proprie dei paesi dove si pratica la caccia e soprattutto il tiro sportivo, se ne aggiungono altre del tutto
anomale come quelle che riguardano gli USA.
Purtroppo, gli aspetti sicuramente aberranti di un eccessivo e sregolato “liberismo armiero” come quello statunitense suscitano un’eco così forte e prolungata da varcare l’oceano e da far diventare italiano (o europeo) un problema che non ci appartiene. In realtà, sia la legislazione nazionale sia quella comunitaria, che tende ad una sempre maggiore uniformità, sono distanti anni luce dal permissivismo “americano” e qualsiasi tentativo di paragonare due realtà così diverse non solo è scorretto e del tutto infondato, ma è destinato a fallire. Anche perché si fa volutamente confusione fra armi sportive e armi da guerra, ingenerando allarmismi infondati. Nel nostro Paese, si cerca di dare credibilità scientifica ad un’equazione del tutto sballata e scollegata dalla realtà, che tenta di identificare queste nelle armi sportive.
Falsa e fuorviante è la presunta pericolosità intrinseca di tali armi nella pratica agonistica in quanto le varie specialità del tiro, tanto quello con il fucile a canna liscia che quello con le armi rigate, sono tra gli sport e le attività ricreative più sicuri in assoluto, con solo un paio di incidenti gravi in oltre dieci anni.
Malauguratamente, a tutto questo c’è da aggiungere – a causa della riduzione dell’attività agonistica legata alle restrizioni pandemiche – una minore raccolta dei successi di alto e altissimo livello ai quali le varie specialità di tiro ci hanno abituati da anni.
Questa situazione che, lo ripetiamo, è profondamente scorretta oltre che ingiusta, va contrastata subito e senza alcuna esitazione.
Innanzitutto, abbandonando l’uso tranquillo (ma non tranquillizzante) di quello che gli anglofoni definiscono low profile.
Al contrario, questo è il momento di agire, facendo fronte comune e assumendo una ordinata e coordinata serie di interventi informativi volti ad innescare una vera e propria rivoluzione culturale che sia in grado di liberare le armi dal concetto di violenza promuovendo, al contrario, lo sviluppo di qualità preziose come l’autocontrollo, la disciplina e la concentrazione come vere opportunità che le discipline sportive di tiro sanno offrire.
Roma, 19/07/2022
Il Presidente
Felice Buglione