Si chiude con successo la 30° edizione di Exa, con un incremento di visitatori che conferma una linea di tendenza affermatasi da anni, nonostante un leggero calo di affluenze nella giornata di domenica. Risultati positivi anche per gli operatori di settore che registrano un importante riconoscimento nei riguardi del proprio lavoro e un forte segnale politico.
Nel comunicato finale di Exa si leggono alcune dichiarazioni. Per le associazioni venatorie parla Gianluca Dall'Olio, Presidente Fidc, sottolineando l'importanza di questo genere di manifestazioni per “promuovere iniziative culturali, in particolare sulla sicurezza e sull'etica comportamentale del cacciatore”. Dal canto loro i produttori di armi sembrano percorrere la stessa strada. Per Bruno Beccaria, direttore della divisione Franchi, è importante “contribuire al movimento venatorio comunicando i messaggi giusti, legati alle tradizioni della cultura venatoria, al rispetto delle regole, alla caccia vissuta come un'esperienza che impone da parte del cacciatore il rispetto della natura”.
“La caccia è un'esperienza emozionale persistente, quasi un fenomeno «virale» – per Roberto Massarotto, responsabile marketing e comunicazione di Benelli Armi – che pertanto difficilmente potrà estinguersi” ed è “forse l'ultimo fenomeno aggregativo di questo secolo”, aggiunge Marzio Maccacaro, direttore commerciale di Fiocchi.
La caccia ha subito una forte riduzione in termine di praticanti che ha portato a selezionare una nuova figura di cacciatore e negli ultimi anni “è cresciuta la domanda di cultura venatoria da parte delle generazioni più giovani e consapevoli – osserva Pierangelo Pedersoli, presidente della fabbrica d'armi Davide Pedersoli e del Consorzio Armaioli Bresciani – e la spinta ad una esperienza più legata alla qualità che alla quantità, dove l'esercizio dello sport venatorio con armi ad avancarica o con l'arco fa sentire il cacciatore più compatibile con l'ambiente e la sua conservazione”.
I produttori d'armi della Valtrompia stanno affrontando la crisi senza dimenticare l'importante eredità del made in Italy che rappresentano. Lo fanno razionalizzando i processi produttivi, per ottenere economie e non dover riversare sull'utente finale gli aumenti dei costi industriali e delle materia prime, e non smettendo di investire in ricerca e sviluppo per mantenere lo spirito del prodotto italiano, che non può prescindere dai concetti di qualità e innovazione.