Per poter ragionare di armi, siano esse antiche o moderne, lunghe o corte, a canna liscia o a canna rigata, occorre conoscere il fenomeno esplosivo che è sempre alla base del loro funzionamento.
Un’arma da fuoco è infatti una macchina termo-balistica che sfruttando l’energia cinetica prodottasi con la combustione della carica di lancio, proietta a distanza il/i proiettile/i.
Cos’è un esplosivo? Semplificando al massimo possiamo dire che un esplosivo è una sostanza in grado di bruciare molto rapidamente senza ulteriori apporti di materia, per effetto di un’idonea causa esterna. Un’esplosione è quindi una reazione chimica rapidissima con formazione di prodotti gassosi ed effetti luminosi, meccanici e termici.
Affinché la combustione, o ossidazione, si realizzi occorre la contemporanea presenza di un comburente (aria, ossigeno), un combustibile (legno, zolfo, carbone, ecc) ed una causa iniziatrice.
Ma quali sono le idonee cause esterne? Una prima causa potrebbe essere il calore; anche l’urto provoca lo stesso effetto e può essere di due nature, meccanico o detonante; abbiamo poi delle altre cause complesse come la scintilla e lo sfregamento.
Quello che mi preme qui sottolineare è che una sostanza esplosiva contiene già al suo interno quella parte di ossidante (= comburente) necessaria alla reazione chimica pertanto sarà in grado di svolgere la propria azione anche confinata in un piccolo spazio come il nostro bossolo ed in assenza di apporto di ossigeno dall’esterno.
Gli esplosivi possono essere di due tipi ed avere due differenti effetti:
Esplosivi deflagranti che sono caratterizzati da uno sviluppo graduale e lento del calore e dei gas di reazione (lento per modo di dire…nel caso delle cariche di lancio per le armi da fuoco leggere possiamo misurarlo in termini di centesimi di secondo). Sono esplosivi dotati di potere propellente, generano quindi un effetto di spinta.
Esplosivi detonanti che sono caratterizzati da uno sviluppo rapidissimo e violento del calore e dei gas di reazione. Sono dotati di potere dirompente.
A loro volta gli esplosivi detonanti si suddividono in primari, se detonano per semplice urto (es. gli inneschi per arma da fuoco), o secondari, se per esplodere richiedono l’intervento di un detonatore primario.
Il primo tipo di miscela esplosiva utilizzata per lanciare un proiettile fu la polvere nera o polvere pirica, un tipo di polvere da sparo che brucia alla velocità di 800 m/s circa, la cui formula (nitrato di potassio al 74,65%, carbone vegetale al 13,50% e zolfo al 11,85%), inventata dal monaco e scienziato Ruggero Bacone nel 1249, è arrivata praticamente immutata fino ai nostri giorni. Oggi le polveri nere vengono classificate in base alle dimensioni dei grani, che variano in media da 1mm a 14mm, e hanno caratteristiche differenti a seconda delle quantità dei singoli componenti miscelati. Vengono ancora utilizzate per le armi ad avancarica ed è possibile trovare in commercio polveri di qualità superiore, realizzate con pregiati carboni, caratterizzate da tenue fumo e scarsi residui. In passato invece la polvere nera presentava molti inconvenienti, produceva infatti densi fumi e molti residui solidi dopo l’utilizzo ed era fortemente igroscopica (sensibile all’umidità dell’aria).
Nei secoli scorsi si cercò di ovviare a queste problematiche e dalla fine dell’800, grazie al processo di gelatinizzazione della nitrocellulosa, furono inventate una serie di polveri da sparo, le cosiddette polveri infumi (la Poudre Blanche, la balistite, la solenite, la cordite) che producevano un effetto fino a tre volte maggiore senza le fastidiose score solide della polvere nera che causavano il frequente inceppamento delle armi.
Esistono ad oggi in commercio molti tipi di polveri infumi, che possiamo dividere in tre grandi famiglie.
Innanzitutto le monobasiche che hanno come unico componente attivo la nitrocellulosa, ossia derivati nitrici di varie cellulose vegetali estratti con procedimenti chimici/meccanici dal legno, e allo stato quasi puro dal fiocco di cotone, che vengono “gelatinizzate” con l’azione di solventi fino a trasformarsi in masse gelatinose lavorabili in fogli, così da ottenere grani di grandezza e forme diverse.
A seguire abbiamo le bibasiche che hanno come componente oltre alla nitrocellulosa anche la nitroglicerina. Le polveri a doppia base hanno diversi vantaggi rispetto alle monobasiche tra cui quello di essere più economiche, produrre minori residui di combustione e fumi e possedere una minore igroscopicità, di contro provocano una maggiore erosione delle canne e necessitano di un’alta temperatura di fiamma.
Infine, ma le cito solo per completezza, esulando completamente dal nostro attuale interesse, abbiamo le polveri a tripla base che vengono utilizzate principalmente in artiglieria, il cui componente maggioritario è la nitro-guanidina.
Ma ne riparleremo...