La storia che mi appresto a raccontarvi, oltre a sembrare davvero incredibile, è una piacevole conferma che le persone di cuore, pur se diventate rarissime, esistono ancora! Che nonostante il degrado generale, la maleducazione incalzante e la crisi economica, ci sono ancora delle brave persone che sono disposte a tutto pur di aiutare le persone in difficoltà anche se appena conosciute, senza farsi alcun problema. Ma dobbiamo cominciare dall’inizio perché il racconto è piuttosto lungo e direi davvero avventuroso.
Per la quarta volta avevo deciso di ritornare in Bielorussia per cacciare l’alce perché mi ero trovato davvero molto bene e tutto era pronto per partire, quando mi arrivò una notizia inaspettata quanto una doccia fredda: Alvaro, l’amico che avrebbe dovuto accompagnarmi nella spedizione, purtroppo non avrebbe potuto più venire a causa di seri problemi familiari. Ammetto di esserci rimasto molto male, ma capisco che nella vita queste cose sono da mettere in conto, e per fortuna non avevamo mandato l’acconto ed Alex, il mio referente bielorusso, che fu molto comprensivo e con il quale ci ripromettemmo di vederci l'anno successivo. Ma comunque, la mia tanto agognata vacanza d’inizio autunno era ormai saltata. Poi, parlandone con il mio amico ungherese Làszlò, le cose cominciarono a migliorare. Làszlò, compresa la mia frustrazione e il mio disagio, mi propose di cacciare con lui il cervo a Bak, un piccolo paesino situato poco oltre il confine sloveno il cui territorio è particolarmente vocato per cacciare i grandi maschi pannonici. Un grosso problema da risolvere sarebbe stato quello di come raggiungerlo. Ormai di andare a caccia in Ungheria in aereo non se ne parlava nemmeno. Costi troppo alti e burocrazia insostenibile per quanto riguarda il trasporto delle armi. Così, sempre grazie alla tenacia del grande Làszlò e alla profonda amicizia che ci lega, riuscimmo a trovare un passaggio da una coppia di arcieri di Bologna che erano intenzionati a guadagnarsi dei grandi trofei con l’arma più antica e tradizionale del mondo. Per l’alce, visto che avrei dovuto prendere per forza l’aereo, avevo ricontrollato la taratura della mia Blaser R 93 Professional calibro 300 Winchester Magnum, molto pratica e compatta, così decisi di partire con quella. Raggiunsi la bellissima città emiliana in poco più di tre ore, poi ebbi il piacere di conoscere Francesco e Valerio, quelli che “credevo” sarebbero stati i miei compagni di avventura per alcuni giorni. Invece, come giungemmo a destinazione, ebbi subito due piccole e diciamo anche un pochino spiacevoli, notizie… Venni a sapere che Francesco, Valerio e Làszlò avrebbero cacciato insieme in una riserva, mentre io in un’altra, distante parecchi chilometri, quindi sarei stato completamente da solo! Inoltre, i miei due nuovi amici innocentemente mi confidarono che si sarebbero fermati “almeno” per una settimana!
Anche se ho i capelli bianchi e di battaglie ne ho combattute davvero tante nella mia vita, a sentir quelle parole ebbi comunque uno sbandamento, un attimo di panico. Non era quello che avevo previsto. In Italia avevo lasciato mia moglie da sola con una casa grande, sette cani da accudire e diversi impegni di lavoro. Comunque oramai ero in gioco e per il momento decisi di non pensarci e di godermi la vacanza, di concentrarmi su una delle cacce più belle in assoluto, quella al cervo in bramito durante il periodo degli amori. Come volevasi dimostrare, venni a sapere che Francesco e Valerio avrebbero dedicato il primo giorno di vacanza per ricontrollare i loro archi, mentre io, il mattino seguente alle cinque in punto, ero già a bordo della Ford Ranger di Giulày, la guida che mi avrebbe accompagnato per tutta la durata della spedizione. La caccia al cervo al bramito è al contempo semplice e complicata. Al mattino si pratica cerca, aspetto, cerca, mentre la sera solo l’aspetto.
Partimmo con i fari spenti e percorremmo sentieri diversi appena visibili all’interno della foresta. Io e Giulày, dopo aver fatto poche centinaia di metri, parcheggiammo, scendemmo e silenziosissimi raggiungemmo e salimmo sopra ad una prima altana. Era sempre molto buio, ma qualche ombra, se ci fosse stata, sarebbe stato possibile individuarla. Sostammo in silenzio per una decina di minuti, poi scendemmo e riprendemmo la cerca. Ogni cento–duecento metri salivamo sopra ad una altana, aspettavamo un po’, poi ne scendevamo e così via… Ma quando giungemmo alla quarta, ormai era giorno fatto… Giulày aveva un’espressione un pochino afflitta, mentre io ero completamente appagato, perché stavo praticando una caccia meravigliosa in un ambiente da fiaba! Da quell’altana avevo una visuale fantastica su di un’ampia e intricatissima radura. Dall’alto non era possibile rendersi conto dell’altezza che potevano raggiungere le felci, le ortiche, i rovi e le piante di tamarici. Giulày lavorava prevalentemente con l’udito, ma a me piace più binocolare. In lontananza sentimmo bramire due, forse tre cervi, ma non riuscimmo ad avvistare niente. Alle nove eravamo già alla casa di caccia a fare una tipica colazione ungherese. Trascorsi il giorno a bighellonare e a rivedere vecchi film al computer, poi alle cinque del pomeriggio io e Giulày partimmo di nuovo.
Raggiungemmo un’ altana a ridosso di una foresta primordiale per attendere che i selvatici ne uscissero per andare a sfamarsi nei prati o in uno degli immensi campi di granoturco (cucorizza come lo chiamano i magiari!) che avevamo alle spalle. Trascorsero alcune ore tediose finché non ci fu più luce a sufficienza per poter tirare e poi ce ne andammo. Il giorno dopo, dall’alba al tramonto fu praticamente la fotocopia di quello precedente. Sentimmo bramire alcuni cervi, ma di maschi adulti a tiro neanche l’ombra. Il mattino del terzo giorno invece la caccia prese subito la svolta giusta. C’era stato un repentino calo della temperatura che doveva aver accentuato il bramito. Infatti, i cervi che sentimmo sfidarsi nella bruma mattutina erano almeno sei o sette.
Come ci fu luce a sufficienza Giulày mi indicò una grossa sagoma scura a circa centosettanta–centottanta metri ed un’altra molto più distante. Erano due giovani cervi che si sfidavano, ma con poco impegno. Comunque non c’interessavano perché nessuno dei due aveva le caratteristiche che desideravamo. Scendemmo dall’altana e silenziosissimi ne raggiungemmo un’altra distante poco lontano. Questa si affacciava su un immenso mare di cannucce, talmente fitte da sembrare impenetrabili. Il mare vegetale era tramezzato da stradoni larghi pochi metri che il cacciatore avrebbe dovuto sfruttare per poter tirare ai selvatici semmai avessero deciso di attraversarli. Dato che conoscevo già questa tecnica di caccia decisi di prepararmi. Armai il cursore - cane della Blaser, misi il correttore di parallasse del mio 2,5 – 15 x 56 a duecento metri, gli ingrandimenti a 10 e mi preparai al tiro. Giulày controllava il territorio ritmicamente come la luce di un faro da destra a sinistra e viceversa incessantemente e ad un tratto sussurrò: “Hirsch”! indicandomi delle piccole sagome rossicce che stavano attraversando uno stradone molto in lontananza. Impugnai subito l'8 x 48 HD che avevo al collo, lanciai l’impulso laser e nel display mi comparve il numero 285. Così zoommai il cannocchiale a 15 ingrandimenti e cercai di mantenere stabile la R 93 sopra ad una misera, traballante tavoletta messa di traverso.
Direttamente attraverso le limpide lenti del mio cannocchiale, vidi sfilare un piccolo trenino di femmine ed infine apparve anche un bel maschio, adulto, ma non eccessivamente grande. Giulày stimò subito il trofeo tra i cinque e i sei chilogrammi, proprio quello che stavamo cercando. Purtroppo il maschio non si presentava a “cartolina” ma quasi di culo. Così aspettai che si mettesse almeno di tre quarti prima di posizionargli il reticolo in modo da poterlo colpire d’infilata, una decina di centimetri sotto il filo schiena. Controllai che l’arma fosse sufficientemente ferma ed infine sparai. Il rinculo e l’appoggio precario m’impedirono di vedere l’esito del colpo, ma Giulày mi confermò che era andato a segno bene e che il cervo aveva accusato vistosamente il colpo. Era fatta! Aspettammo pazienti una decina di minuti, poi raccogliemmo le nostre cose ed andammo sull’Anshuss a controllare. Non si arrivava mai! Ipotizzai che la distanza fosse sensibilmente maggiore di quella stimata, comunque il gioco ormai era fatto.
Giunti dove speravamo di trovare il cervo morto avvistammo invece solo grosse tracce di sangue. Il selvatico colpito s’era infilato in quel mare di cannucce e trovarlo sarebbe stato tutt’altro che facile. Lo cercammo per una cinquantina di metri ma senza esito. Così chiesi alla mia guida di andare a cercare un buon cane da sangue. Giulày mi rispose in ungherese, anche un po’ scorbuticamente, tanto che fui costretto a telefonare a Làszlò per farmi tradurre cosa mi stava dicendo. Làszlò, che non finirà mai di stupirmi per la sua grandissima professionalità, prima si complimentò con me per l’abbattimento, poi disse che Giulày sosteneva che non sarebbe stato possibile cercare il cervo ferito con un cane, perché il bramito era ancora molto forte e non andava disturbato a discapito degli altri cacciatori che sarebbero venuti dopo di me. Avete capito? Quella notizia fu una novità anche per me che pratico quella caccia da qualche decennio! Calmati gli animi, sia Giulày sia Làszlò mi dissero di non preoccuparmi che il trofeo me lo avrebbero fatto avere comunque. Farlo avere a me? Magari un mese dopo? A me che preferisco di gran lunga conservare gelosamente dieci foto piuttosto che un cranio appeso al muro? Mi dovetti rassegnare perchè, tutto sommato, era stata mia la colpa. Avevo usato la Blaser 300 WM con munizioni Original Brenneke con palla TUG da 181 grani, invece della mia solita Steyr Mannlicher cal. 8 x 68 con palle Nosler Partition da 200 grani, che in passato non mi aveva mai tradito. Mi riproposi che non è mai salutare cambiare le buone abitudini! Ma la vita insegna, va presa per quello che è, e come disse qualcuno: le situazioni non sono mai nere o bianche ma una serie infinita di sfumature di grigio.
Raggiunsi la casa di caccia molto giù di morale, anche se ero sicuro del mio tiro e dell’efficacia della munizione utilizzata. Con un buon cane da sangue avremmo trovato il cervo facilmente, ma se le direttive erano quelle, allora dovevano essere rispettate. Mi feci una lunghissima doccia bollente poi cominciai a preparare i bagagli. Cercai di vedere il fatto positivamente. Dato che il mio cervo l’avevo comunque abbattuto, avrei almeno potuto raggiungere i miei amici bolognesi per stare in compagnia. Ma fu proprio quando pensai agli arcieri che fui ripreso dal panico, lo stesso che mi aveva afflitto qualche giorno prima. Era appena martedì mattina e Francesco e Valerio erano intenzionati a rimanere “almeno” fino alla domenica succerssiva, se non addirittura oltre. Permettetemi di confidarvelo, sono sempre stato un guerriero! Sicuramente anche avventato, incosciente, ma posso garantirvi che non mi ha mai spaventato niente e nessuno. Sono stato persino in Kyrgyzstan per oltre 25 giorni da solo a dormire in una grotta, quindi avrebbe potuto mai preoccuparmi una situazione simile?
Finii di fare i bagagli, smontai la Blaser e la misi nel borsone, poi telefonai a Làszlò pregandolo di venirmi a prendere. Quando mi raggiunse, sempre con suo sorriso schietto e cordiale, lo informai su quali fossero le mie intenzioni. Lo ringraziai dell’invito, della bella vacanza trascorsa ed infine lo pregai di portarmi alla stazione dei treni più vicina. L’amico ungherese comprese la mia situazione e non fece commenti, mi accompagnò volentieri alla stazione dei treni di Zalaegerszeg dove ebbe inizio la vera avventura! Neanche a farlo apposta, un provvidenziale treno per Lubiana sarebbe partito da lì a venti minuti. Facemmo veloci il biglietto, ci salutammo abbracciandoci, poi raggiunsi il binario giusto. Il treno arrivò puntuale ed era quasi completamente vuoto. M’impossessai di un intero scompartimento utilizzando tutte le prese elettriche presenti per ricaricare i cellulari e il PC portatile, indispensabile almeno quanto l’arma, quando si va a caccia all’estero. Mi sistemai comodo e riguardai qualche episodio della vecchia serie televisiva “Ho sposato uno Sbirro”. Ero talmente stanco e preso dalla simpatica Fiction che quasi non mi accorsi di essere arrivato nella capitale slovena. Raccolsi in fretta le mie cose e scesi dal treno. Erano le diciassette ed un piccolo passo verso casa era stato fatto. Non mangiavo dalla sera precedente così sentii il bisogno di nutrirmi. Acquistai un paio di panini e due bottigliette d’acqua in stazione poi andai alla ricerca di un treno per l’Italia. Uno qualsiasi che mi avrebbe avvicinato a Bologna dove avevo lasciato la mia BMW.
La bigliettaia fu molto gentile, ma riuscì ugualmente a spezzarmi il cuore. Il primo treno per l’Italia, e più precisamente per Trieste, non sarebbe partito prima delle nove del mattino seguente. M’imposi di rimanere calmo e ragionevole. Così mangiai e feci il punto della situazione. Dovevo farmi venire un’altra idea. Nel Nord-Est dell’Italia ho pochi amici, se non nessuno, ma mi vennero in mente alcuni conoscenti. Mi ricordai che un certo Gabriele di San Daniele del Friuli con cui avevo interloquito per una battuta al cinghiale da noi in Maremma, perché non telefonargli? Rispose al secondo squillo con un entusiasmo e una disponibilità che non mi avrebbero riservato neanche mio figlio e mia moglie. “Marco come stai? Non vedo l’ora che arrivi dicembre per poterci conoscere di persona”. “Caro Gabriele, temo che forse dovremo conoscerci un po’ prima”, gli risposi, raccontandogli dall’inizio cosa mi era successo e dov’ero in quel momento. Fu come se stessi parlando con il mio migliore amico, con il classico “Tranquillo siano qui noi!”, invece che con una persona mai vista e conosciuta. Gabriele s’offrì addirittura di venirmi a prendere a Lubiana, ma dopo essermi guardato intorno, declinai l’offerta perché mi era venuta un’altra delle mie geniali idee. Ci riproponemmo di tenerci aggiornati, poi passai all’azione. Fuori della stazione di Lubiana era tutto un brulicare di persone, di taxi e… di autobus. Cercai un passante che parlasse italiano e gli chiesi se in zona fosse possibile trovare un autobus che andasse in Italia o almeno in quella direzione. Mi rispose di si e che forse ne sarebbe partito uno verso le 21-22 di sera. Alla biglietteria me lo confermarono così comunicai i nuovi sviluppi all’amico Gabriele, ancora incredulo sulla fortuna che avevo avuto a conoscerlo. Lui, senza scomporsi di una virgola, pronunciò soltanto una breve frase, senza se e senza ma. “Ti aspetto a Trieste. Vieni quando vuoi, io non ho fretta!”.
Devo confidarvi che la cosa mi commosse e non poco, per non parlare poi di quel che seguì… Arrivai alla stazione di Trieste che era mezzanotte, con la speranza di trovare un minimo di conforto e una coincidenza per Bologna quando invece… Come scesi dal comodo Bus, mi sentii chiamare. “Marco? Ben arrivato! Forza, carichiamo i bagagli in macchina e andiamo a casa mia. Mia moglie Dorotea ci aspetta, ha già preparato la cena e un letto per te. Domattina, dopo che ti sarai riposato, ti ci porto io a Bologna altrimenti a cosa servono gli amici?”.
A sentir pronunciare quelle parole mi vennero gli occhi lucidi! Per una volta in vita mia ebbi la conferma che gli angeli esistono davvero. Si, perché quello che avevo davanti non era una persona reale, ma l’Arcangelo Gabriele! Salii in macchina quasi in trance e durante il tragitto verso casa parlammo all’infinito di caccia, delle nostre famiglie, di politica e rievocammo persino di quando entrambi eravamo sotto Naja. Giunti nella sua splendida casa, l’accoglienza fu calorosissima e totale. Mangiai di gusto tutte le prelibatezze che Dorotea ci aveva preparato, poi mi coricai ripensando a quell’incredibile giornata! Che avventura! Altro che la caccia al cervo. Bellissima, certo, ma vista e rivista! Il mattino seguente ci svegliammo verso le sette, facemmo un ricca colazione poi impostammo il navigatore e, in men che non si dica, giungemmo a Bologna. Eravamo talmente felici di goderci la reciproca compagnia, che quando ci apprestammo a lasciarci fu quasi doloroso. Ci salutammo ripromettendoci di vederci in dicembre per cacciare insieme il cinghiale nei boschi di Capalbio, con una forte emozione nel cuore.
Ecco, questa è la fedele cronaca di una spedizione in terra magiara iniziata bene e finita ancora meglio, durante la quale ho avuto il piacere di conoscere nuove persone, visitare nuove zone, apprendere nuove tradizioni venatorie e trovare un nuovo, grandissimo amico di nome Gabriele, proprio come l’Arcangelo! Spero solo d’avere in futuro l’occasione di poter ricambiare tanta disponibilità e tanta cortesia. Per ora altro non saprei dire se non.. Grazie ancora di tutto Gabriele, a te e alla tua cara moglie. Non so come avrei fatto senza il Vostro prezioso aiuto.
Un caro abbraccio, Marco!
Marco Benecchi