Recarmi in Asia Centrale per cacciare stambecchi; ecco uno dei miei desideri mai appagati di modesto cacciatore giramondo. E’ vero che un saggio proverbio recita “se vuoi essere felice, fatti mancare qualcosa”; ma questo mio vecchio pallino, prima che il sottoscritto fosse lui troppo vecchio, doveva essere soddisfatto. Così, dietro consiglio del mio fratello di macchia Marco Benecchi, mi sono rivolto a Narciso Biondi. Dopo mesi di preparativi lo scorso 24 settembre sono partito, accompagnato da mio figlio Goffredo, alla volta di Almaty. Arrivati al mattino presto nella più importante città del Kazakhstan, abbiamo trovato ad accoglierci mr. Sultan (titolare dell’agenzia kazaka), un suo autista e l’interprete in lingua inglese. Siamo partiti subito alla volta del campo, distante circa 200 Km. Durante il trasferimento abbiamo, percorrendo una pista, lungamente costeggiato un lago (che poi ho scoperto essere artificiale) che delimitava un vasto deserto, quasi perfettamente pianeggiante, chiuso dall’altro lato da una catena montuosa. Siamo così entrati nel parco nazionale Altyn Emel. Era questa la zona dove avremmo cacciato.
Siamo arrivati al campo all’ora di pranzo, e, consumato un rapido spuntino, abbiamo fatto conoscenza con i nostri accompagnatori: Marat (piccolino e magro, uno stambecco anche lui per come si muoveva tra quei picchi!!!) e Bek (autista del pulmino fuoristrada con il quale ci saremmo spostati, un poco più corpulento, ma altrettanto simpatico). Constatato con una mouche a 150 metri il perfetto azzeramento della mia arma (Blaser R93 in calibro 300 Winchester Magnum), siamo partiti per un’uscita pomeridiana, così, tanto per conoscere i luoghi dove si sarebbe cacciato. Dal nostro campo, situato in riva al lago, abbiamo attraversato i sette/otto chilometri di deserto (facendo scappare un nugolo di gazzelle, purtroppo non cacciabili) che ci separavano dalle montagne; là ho potuto scoprire che anche questi rilievi (peraltro non particolarmente alti) erano di aspetto desertico. Si tratta di rocce molto scoscese con scarsissima vegetazione, autentici canyon di cui il fondo valle costituiva la nostra pista, estremamente accidentata. Scendendo dal fuoristrada abbiamo levato un nugolo di coturnici: che spettacolo! Quel pomeriggio, o negli spostamenti in macchina, o poi proseguendo la salita a piedi, abbiamo visto tanti ibex, ma solo femmine e piccoli, non cacciabili.
La mattina successiva, mercoledì, sveglia alle cinque; poco dopo ci siamo messi in macchina e siamo tornati fra le montagne. Lasciato il fuoristrada abbiamo attaccato un ripido pendio; e sbuffando non poco (almeno io) siamo giunti su un crinale, dal quale si potevano scoprire le cime circostanti. Sbinocolando tutt’intorno ho finalmente cominciato a vedere l’oggetto dei miei desideri, maschi di ibex da trofeo. In realtà si vedevano solo i trofei: quegli animali si trattenevano sulle cime più alte, a sette/ottocento metri da noi, stando sempre sui punti più alti, per cui vedevamo solo le corna, più o meno poderose. Nel frattempo si era fatto mezzogiorno; così abbiamo fatto un vero e proprio pic nic, dato che Marat ha tirato fuori da uno zaino poco tecnico, ma inaspettatamente capiente, ogni sorta di cibarie: piccoli wurstel, aringhe, carne in scatola, pane, patè vari, oltre a diverse bottiglie d’acqua. Nella ripida salita che ci aveva portato sulla cresta dove ci trovavamo avevo notato una piccola, deliziosa cascata di acqua limpidissima (con tutto quello scoglio!) e gelata. Questa rarità, in un ambiente tipicamente desertico, deve certo rappresentare un richiamo irresistibile per gli ibex. Infatti le guide ci hanno spiegato che nel pomeriggio questi sarebbero scesi dai picchi dove si mantenevano per venire a bere. Così ci siamo predisposti all’attesa. Le guide erano sicure: gli stambecchi, prima o poi, non sarebbero mancati all’appuntamento; Bek pretendeva di conoscere anche l’orario, e ci ha detto che gli animali sarebbero scesi intorno alle 16,00. L’attesa (saranno state le 12,30) si preannunciava lunga. Il tempo, non vedendo più stambecchi, non passava mai.
Intorno alle 17,15 mi ero annoiato più che a sufficienza. Francamente ero anche un poco deluso (per non dire seccato), essendo solito, nelle cacce di montagna, andarmi a trovare gli animali, mentre noi eravamo stati tutte quelle ore appollaiati su quello sperone in attesa degli stambecchi, ma questi, dopo gli avvistamenti del mattino, non si erano più visti. Non sarebbe stato meglio andarli a cercare? Oppure avevamo sbagliato in qualcosa, e gli animali si erano allarmati? Così mi sono alzato, e mi sono diretto verso le guardie e mio figlio, accovacciati qualche metro dietro di me. Volevo tornarmene al campo, convinto com’ero che ormai per quella sera (il sole era già dietro le rocce) poco si poteva fare. Invece Goffredo e le due guardie mi hanno detto di starmene riparato, perché avevano visto, proprio in quel momento, le corna di un maschio dietro il crinale, in alto, di fronte a noi. Col mio 10x32 EL ho visto (erano illuminate dall’ultimo sole) le maestose corna di un ibex. In effetti si vedevano solo le corna, perché l’animale era dietro le rocce con tutto il corpo. Al di là di una cresta rocciosa spuntavano due lame ricurve, due scimitarre, che luccicavano colpite in pieno dal sole radente. La restante montagna era già in ombra, così che quelle corna, di per sé già grandi, spiccavano sul paesaggio circostante al punto che, sebbene le avessi telemetrate a oltre 500 metri, si potevano individuare facilmente a occhio nudo. Il portatore di quel trofeo è rimasto in quella posizione per un tempo a me parso interminabile. Non si decideva a scendere. La precedente lunga attesa adesso si era trasformata nella speranza che quell’animale, proprio sopra noi, si avvicinasse.
Dopo non so quanto, finalmente l’ibex ha scavalcato la cresta, e – molto, molto lentamente – ha iniziato a scendere il ripido pendio. Dopo qualche minuto sono apparsi altri due ibex, anch’essi maschi adulti, che si sono accodati al primo. Un poco più celermente discendono tutti il fianco della montagna, esattamente di fronte a noi. Impossibile tirare (erano ancora a oltre 450 metri, e si spostavano) ma forse, con un po’ di fortuna ci sarebbero passati davanti a circa 350 metri se avessero seguito quei piccoli sentieri, facilmente visibili anche senza binocolo, che migliaia di zoccoli, nel corso dei secoli, hanno segnato su quei terreni impervi. Si trattava di tre bellissimi ibex, tutti portatori di trofei più o meno importanti. E di lì a poco avrei forse avuto la possibilità di tirarne uno!
Non sono un tipo ansioso, e in queste situazioni di solito sono calmo e riflessivo; ma mi trovavo di fronte a degli animali che da anni (forse decenni) sognavo di poter insidiare, e ora, finalmente, li avevo (quasi) a portata di mano .…. Così mi sono un poco agitato, ma credo che tanti al mio posto avrebbero fatto peggio; e, complice anche la visibilità ormai abbastanza precaria, ho faticato molto a seguire i tre animali, anche perché si spostavano in varie direzioni, sia pure sempre scendendo. Tenerli sotto mira con il reticolo del mio 18x50 non era proprio facilissimo. Sempre saltellando da una roccia all’altra, i tre animali si sono portati a distanza più abbordabile. Solo che non erano mai fermi. A un tratto uno dei tre, non sapevo più quale fosse, mi si è posto proprio davanti, purtroppo in posizione frontale. Era a 330 metri. L’animale è fermo, immobile: regolo la torretta balistica uno scatto in più dei 300 metri. Poi mi chiedo: ma sarà prudente sparare a un animale di punta? Mentre faccio questi ragionamenti armo la mia R93 e – più o meno consapevolmente – tiro il grilletto.
Nonostante il freno di bocca non riesco a vedere la reazione dell’animale: invece la reazione dei due guardia è immediatamente percepibile; cominciano a imprecare in russo, e capisco che non ho tirato al più grosso. Io, in preda ad un travaso di adrenalina, grido più di loro, dicendo primo, che per loro era più facile seguirli, perché li vedevano con i binocoli, e io con il cannocchiale (in più, con quella poca luce); secondo, che tanto non li capivo, quindi era inutile che si agitassero. Con tutta quella confusione, non mi avevano neanche detto che il mio colpo era andato a segno! (In realtà avevo tirato a quello che dei tre si poteva definire il medio, né il migliore né il peggiore). Sono stato pervaso da quel sentimento complesso, misto di soddisfazione e tristezza, che sempre si impadronisce di noi cacciatori un istante dopo aver spento la vita di un animale. E più la vittima è rara e desiderata, più il sentimento è intenso.
Bek e Marat a quel punto ci hanno invitato a tornare al fuoristrada, mentre loro avrebbero provveduto a recuperare l’animale. Io avrei preferito il contrario, ma si era fatto scuro, e la discesa verso il pulmino era tutt’altro che agevole. Così io e mio figlio, più leggeri (in tutti i sensi!) che al mattino, ci siamo avviati sullo stesso sentiero che avevamo percorso qualche ora prima. Alla sorgente ho bevuto come un cammello. Avevo la gola secca, e quell'acqua, di per sé squisita, dopo la mia fortunata caccia mi e' parsa ineguagliabile. Lungo il sentiero abbiamo incrociato le due guardie, che faticosamente scendevano trascinando il mio ibex. Finalmente potevo vederlo! Che animale splendido, che bella caccia avevo vissuto, che esperienza - per me - straordinaria da conservare fra i ricordi più vivi e cari. . . Purtroppo ormai era quasi buio, e le immancabili foto ne hanno risentito. Ma la mia soddisfazione, il mio entusiasmo erano tali al punto che, tornando in macchina al campo, mi sentivo il padrone del mondo!
Dopo un giorno di meritato riposo, venerdì siamo tornati a caccia; abbiamo visto numerosissimi stambecchi, ma nessuno da tirare. Erano tutti maschi adulti, ma le guide li hanno giudicati troppo giovani. Ci saranno passati davanti, a un tiro ragionevolissimo (tra i 300 e i 230 metri) decine di ibex, ma tutti non sparabili. Anche sabato non ho avuto alcuna possibilità. Venerdì sera, senza conoscere quindi come sarebbe andata il sabato, avevo già preso accordi con l’interprete: sarebbero venuti a prenderci per riportarci in città domenica, all’ora di pranzo. Avevo preso un bell’ibex, cominciavo ad essere un po’ stanco, sentivo la necessità di farmi una doccia; tutte ragioni più che valide per rientrare un giorno prima a Almaty. Sabato sera quindi, mentre tornavamo al campo, tra uno scossone e l’altro pensavo che la mia avventura venatoria kazaka era comunque positiva. Avrebbe avuto un senso tirare un altro ibex solo se fosse stato migliore di quello, già più che discreto, che avevo preso mercoledì. Ancora una volta, ignoravo quello che il destino mi riservava.
Domenica mattina, all’alba, abbiamo subito constatato che il tempo era cambiato. I giorni precedenti erano stati caratterizzati da un tempo splendido, perfino troppo caldo. Invece quella mattina il cielo era coperto, e spirava un vento teso, che andava continuamente rinforzando. Comunque non pioveva, e questo era l’importante: immagino quanto sarebbe stato pericoloso camminare su quelle rocce rese viscide! Avremmo cacciato solo fino a mezzogiorno, e risalendo in auto un canyon dove non eravamo mai stati nei giorni precedenti, abbiamo cominciato a vedere stambecchi, ma femmine e piccoli. Finita la pista, ci siamo inerpicati su un sentiero davvero da stambecchi, (purché in buona forma…), sulla costa di una parete davvero ripida, che precipitava su un piccolo corso d’acqua, venti o trenta metri più in basso. Con qualche mio imbarazzo siamo arrivati in un punto del sentiero dove giaceva una roccia sporgente; pareva messa lì apposta per nascondervisi dietro, e aveva l’altezza giusta per appoggiarvi la carabina. Una volta al riparo, subito Marat mi spiegò a gesti che sarebbe andato più avanti, per smuovere eventuali ibex. Le pareti del canyon, e quindi anche quella di fronte alla nostra posizione, erano ripidissime; non invidiavo davvero Marat. Lui comunque non se ne è dato per inteso; è partito come una freccia, e in pochi salti è sparito.
Dopo pochi minuti vediamo arrivare un grosso ibex, che correva lungo la parete opposta alla nostra. Su questa parete esisteva un solo percorso dove un animale avrebbe potuto camminare, una sorta di scalino nella roccia (a circa 180 metri, proprio di fronte a me, e dove l’aspettavo). Purtroppo però l’animale non mi ha mai dato il tempo di tirare. Fortunatamente sono riuscito a seguirlo, sperando che si fermasse; e così è stato. Proprio un attimo prima che mi si celasse alla vista, dietro uno sperone di roccia, ho tirato il grilletto. Impossibile vedere l’esito del tiro, (lo stambecco era sparito); ma non avendo visto l’ibex proseguire la sua corsa (lo sperone di roccia era di pochi metri) ho avuto subito incoraggianti sensazioni. Controlliamo la parete, per vedere se l’animale usciva da dietro il nascondiglio: niente. Nel frattempo era tornato Marat, che aveva sentito il mio sparo.
Passano i minuti, l’ibex non riappare, io non posso certo arrampicarmi su quella parete verticale; Marat decide di andare a dare un’occhiata, parte, supera il torrente e comincia a inerpicarsi sulla parete a picco. C’è anche un ghiaione che non facilita certo l’ascesa …. Arrivato sull’anschuss (che ho misurato, sono 222 metri), Marat comincia a cercare tutt’intorno. Ad un tratto lo vediamo fare ampi gesti: ha trovato l’ibex! Allora l’avevo colpito….. Come sempre, mi tornano in mente le parole del grande William Arkwright, che nel suo libro dedicato al pointer, a proposito di una fortunata caccia alla beccaccia dice: “e se essa cade, pensate che non c’è mai stato un tiro migliore, né uno sport migliore della caccia”. Con questi sentimenti aspetto che si recuperi l’animale. Bek parte subito per aiutare il collega; ma certo, non sarà facile portare tanto più in basso un animale massiccio come un ibex, su uno strapiombo che fa paura. Comunque dopo una diecina di minuti sono di fronte a noi, dall’altra parte del canyon. L’ibex mi è parso monumentale… un poco più grande del mio primo, certo molto più complicato da sparare prima e da recuperare poi. Ero felice, soddisfatto, entusiasta, anche se ora si presentava un altro problema, tra parentesi solo mio: dovevo assolutamente passare il torrente, arrampicarmi dall’altra parte e fare qualche foto per ricordare quel momento straordinario. Non potrò portare la carabina, dato che dovrò salire mani e piedi. Andiamo un poco più avanti, lungo la parete del canyon, riusciamo a scendere fino al torrente, e passiamo dall’altra parte. Qui troviamo Bek, che mi aiuta a inerpicarmi su una roccia nuda, una parete praticamente verticale. Questa deve essere attraversata, approfittando di qualche sua piccola sporgenza, fino ad arrivare al terreno. Ripensandoci adesso, non so proprio come posso avercela fatta. Era veramente difficile, e anche pericoloso. Piano piano ho superato la roccia, e sono finalmente arrivato dove Marat aspettava a fianco della mia preda.
L’ibex è magnifico, e gli appoggio le mani sulla groppa, per rendergli l’ultimo saluto. Così, dopo anni di attesa, avevo cacciato, tirato e recuperato due bellissimi stambecchi (Mid Asian Ibex); essi erano stati sacrificati per soddisfare la mia passione di cacciatore. Come sempre, quando abbatto un animale, anche stavolta non mi ero dimenticato di domandargli perdono per averlo ucciso. Allo stesso tempo avevo ringraziato quei due magnifici ibex della forza, della vitalità, della fierezza che speravo di avergli sottratto. Nonostante i miei quasi sessant’anni ero riuscito a portare a casa due trofei che mi mancavano, e ciò era avvenuto in un ambiente selvaggio e bellissimo; avevo potuto condividere la gioia di quei momenti indimenticabili con mio figlio; il sole ci aveva sempre accompagnato; non si era verificato alcun problema; le mie ginocchia, messe a dura prova tra quelle rocce e su quelle pendenze, non mi avevano tradito. Quanti motivi in più ho per ringraziare il Padreterno! Fatte le doverose proporzioni, ringrazio anche Anna Romero e Narciso Biondi, che hanno saputo organizzarmi un viaggio e un’esperienza indimenticabili.
Filippo Duranti
"Il Fratellone" del Nostro Marco