“Ciao Adolfo, com’è andata ieri?”. “Bene abbiamo trovato diversi cinghiali, ma presi solo tre”. “Ottimo. Tu hai tirato?” “No. Me n’è venuto uno ad una trentina di metri, lo vedevo male, non riuscivo ad inquadrarlo bene, l’ho accompagnato un po’ col Red Point, ma poi non gli ho sparato!” Non ho domandato ad Adolfo perché non avesse sparato, perché il motivo lo conoscevo già, e forse potreste immaginarlo anche voi. Adolfo, sicuramente per paura di “padellare”, ha preferito evitare di azzardare il tiro perché non era sicuro al cento per cento di far centro, questo è quanto! Oggi è così, tutti dicono che muoiono dalla voglia di tirare ad un cinghiale, ma quando se lo vedono arrivare davanti cominciano a farsi prendere dalla fobia della padella, dal terrore dello sfottò, della gogna mediatica. Un’abitudine questa, vecchia almeno quanto la caccia, ma che sta diventando un vero e proprio problema nelle squadre di cinghialai, anche piuttosto serio perché non appaga certo il gran lavoro che fa la bracca per scovare i selvatici e per mandarli a tiro.
Purtroppo quando si caccia in tanti ci sono sempre dei problemi diciamo..sociali da risolvere. Infatti, è molto difficile che tutti siano contenti allo stesso modo durante una battuta di caccia, c’è sempre chi la vuole cotta e chi la vuole cruda, chi si lamenta e chi non si accontenta mai. Poi, ho assistito a scene di pura e semplice cattiveria, di gente che ha infierito con ferocia su chi aveva sbagliato un colpo mortificandolo per ore ed ore a voce, per radio e persino sui social. Questa secondo me è davvero una brutta cosa, indegna. Ho deciso di sollevare la questione perché durante una recente battuta di caccia al cinghiale sono accaduti due fatti decisamente insoliti: il primo è stato che un mio carissimo amico ha sbagliato clamorosamente a fermo da tre metri di distanza un grosso cinghiale e poi che tutta la scena è stata addirittura ripresa da un giovane fotografo professionista! Quindi, oltre al danno anche la beffa... Devo ammettere che le foto erano davvero bellissime, ma purtroppo hanno fatto il giro della provincia mortificando terribilmente il povero protagonista. Capisco le risate, un po’ di sfottò, qualche battuta sagace e commenti fuori luogo, ma l’accanimento non è certo da persone civili. Anche perché, come dicevano i vecchi in Maremma:”Chi ferra inchioda!”, nel senso che chi spara può anche sbagliare… Per questo motivo non deve essere certo messo in croce chi spara e sbaglia, perché almeno ha tentato il tiro.
Volete sapere chi non sbaglia? Chi non spara! Perché fallire è una delle cose più umane del mondo fin dalla notte dei tempi. Come ho già sostenuto in molte altre occasioni, le squadre di cinghialai sono composte da tre categorie di persone: la prima è quella dei nostalgici, dei vecchi, di chi magari ha praticato solo quella caccia nella vita, come prima di lui suo padre e prima ancora suo nonno.
Di solito è brava gente che gode del cameratismo, della compagnia, dell’atmosfera, delle antiche tradizioni e si crogiola nei ricordi. Quei cacciatori sono appassionati di cani, di strategie venatorie ed amano le belle e serrate canizze, se poi ci scappa anche un po’ di ciccia allora sono davvero contenti e felici. La seconda categoria è quella composta dai veri appassionati della Cacciarella, da quelli che aspettano il primo novembre come gli scolari la fine della scuola. Sono dei veri e propri “estremisti” che ben di rado si dedicano ad altre forme di caccia. Per loro la squadra è sacra, come una seconda famiglia con la quale mantengono strettissimi rapporti trecentosessantacinque giorni l’anno.
Amano tantissimo la caccia al cinghiale, anzi la venerano, la rispettano e sanno come comportarsi dopo aver ben definito il ruolo che hanno scelto di fare: posta, canaio, bracciolo o tuttofare. Infine c’è la terza categoria, l’ultima, quella che amo meno, quella composta da gente annoiata, a volte anche un pochino maldestra, gente che sta bene solo quando si sente protetta dal branco, dalla moltitudine e dall’anonimato.
Di solito sono persone che hanno abbracciato la passione della caccia in tarda età, dopo aver provato di tutto, compresa la barca a vela, il tennis e il golf e che adesso si definiscono provetti cinghialai solo perché hanno comperato una semiauto in grosso calibro accessoriata con un cannocchiale e/o un punto rosso d’ultima generazione acquistato on line perchè sponsorizzato massicciamente in video…
Ecco, quest’ultimi sono i più accaniti quando c’è da mortificare un povero compagno di caccia che purtroppo ha padellato. Di solito sono proprio quelli i più accaniti, i più sadici con gli sventurati compagni di caccia che almeno hanno avuto il coraggio di tentare il tiro contro uno dei selvatici più scaltri, più veloci, più scorbutici e più coriacei che siano mai esistiti.
Durante le battute di caccia al cinghiale accade spesso che molti preferiscono girarsi dall’altra parte quando sentono o vedono un cinghiale avvicinarsi, fingendo di non averlo né visto né sentito proprio per non correre il rischio di sbagliarlo e quindi di sorbirsi le terribili critiche che loro stessi amano fare agli altri. Credo che la questione “sfottò” sia ormai diventata una piaga sociale abbastanza seria, perché oltre ad essere meschina e incivile limita molto anche il corretto svolgimento della battuta, dall’inizio alla fine. Siamo tutti grandi e vaccinati e, come dice il vecchio proverbio nazionale: “Lo scherzo è bello quando dura poco!”. Oggi invece, con Whats App, Facebook, Instagram, etc, è come fare cyber bullismo contro chi alla fin fine di colpa ne ha davvero poca.
Per ritornare al motivo che mi ha spinto a scrivere questo pezzo, la meravigliosa (perché è stata davvero da record mondiale!) padella fatta dal mio caro amico, difficilmente riuscirà a dimenticarla perché amici e conoscenti lo braccano (è proprio il caso di dirlo!) per farsi raccontare l’accaduto per poi ridere come pazzi. No, queste cose non dovrebbero accadere, specialmente quando la persona in oggetto è anche anziana con i riflessi che non sono più quelli di una volta. Vorrei concludere dando un consiglio a tutti gli amici cinghialai ed anche uno ai Capocaccia. Ai miei colleghi chiedo cortesemente di essere spiritosi, ma senza cattiveria, di dosare ilarità e sarcasmo nel modo giusto, mentre ai Capocaccia chiedo di essere più ferrei con chi non ha rispetto verso i sentimenti altrui, perché un minimo di sfottò non ha mai ucciso nessuno, ma che non diventi l’occasione per sfogare le nostre frustrazioni. Solo il grandissimo e indimenticato Lallo di Canino era un vero signore quando c’era da riprendere una posta che aveva padellato: “Nun sei stato bono ad’azzoppinne uno!”
Marco Benecchi