La licenza di caccia l’ho presa un secolo fa, quando avevo sedici anni e con il consenso di mio padre, e fino ad oggi credo di aver praticato, con impegno, quasi tutte le forme di caccia, “dal passero all’alce”, più o meno come lo stramitico “mitraglietta” Adelio Ponce De Leon, autore del libro: “Dall’allodola all’elefante”. Ho sottolineato quasi tutte le cacce, perché dove vivo, non essendoci purtroppo zone palustri, c’è sempre stato poco movimento di anatidi e poi la mia passione per le cacce vaganti con i cani da ferma mi ha impedito di praticare alcune forme di caccia come, appunto, quella alle anatre, quella ai turdidi con i richiami, quella ai colombi dal capanno, quella alle allodole, ecc.
Ovviamente, durante la mia lunga carriera di cacciatore, m’é capitato d’abbattere occasionalmente porciglioni, folaghe, trampolieri vari, beccaccini e due (si, avete capito proprio bene) due soli germani reali. Li catturai una fresca mattina d’ottobre, mentre ero a caccia di fagiani nella parte bassa di Capalbio, un maschio ed una femmina. Feci una bella coppiola mentre s’involavano da un folto canneto, reso paludoso dalle precedenti piogge torrenziali, sotto la ferma dei miei setter con tanto di beeper, ed i tiri non furono affatto impegnativi, anzi. Prima di sparare dovetti persino aspettare che le anatre si allontanassero un poco per paura di sciuparle. Ma avevo sempre sentito dire che il tiro alle anatre è uno tra i più difficili in assoluto, che impegna molto il cacciatore e dove s’evidenziano i veri tiratori. Mai e poi mai avrei immaginato che alla soglia dei cinquant’anni, sparando a quelle saette alate avrei fatto ancora così tante padelle! In novembre rinunciare ad una battuta al cinghiale per andare a cacciare in un lago sembrerebbe per me quasi un sacrilegio, ma dopo esserci stato ammetto che n’è valsa veramente la pena. Al rientro dalla Bielorussia, con Renzo e Mario, i miei due compagni d’avventura, avevamo deciso di organizzare un pranzo per scambiarci i cd con le foto e per rivivere in allegria i bei momenti trascorsi insieme.
L’idea di vederci a due passi da Todi, nell'azienda Montenero, Tenuta Todini, per una cacciata alle anatre, era venuta a Renzo, che per l’occasione avrebbe portato anche suo padre Rocco ed altri quattro amici desiderosi da fare la nostra conoscenza. Il fatidico giorno in cui dovetti rivedere tutte le mie convinzioni in materia di tiro al volo, (anche se nel resto d’Italia imperversava il maltempo), nella bella e folcloristica cittadina umbra, ci diede il benvenuto un sole meraviglioso. Trovammo un tempo così mite e bello che, strano a dirsi, invece di farci sentir meglio contribuì negativamente sull’esito della battuta. Col senno di poi, posso dire che forse fu meglio cosi, almeno moltissimi animali si poterono salvare! Dopo aver consumato una ricchissima colazione (che avrei definito meglio come un pranzo completo!), ci fecero appostare nei pressi di un laghetto di circa cinque – seicento metri di diametro. Tutta l’organizzazione era perfetta ed ipotizzai anche super collaudata, ma guardando verso la direzione da dove sarebbero dovute arrivare le anatre, mi accorsi con orrore che avremmo avuto il sole in piena faccia. Feci qualche prova imbracciando a dritto, a destra e a manca, e vidi che avrei avuto molta difficoltà nel prender bene di mira. Quando Angelo il guardacaccia vide quante cartucce m’ero portato dietro (una cinquantina), si mise a ridere a crepapelle. “Ha soltanto quelle?” disse, “Le basteranno sì e no per un paio d’anatre”. Devo ammettere che anche se era chiaro che stesse scherzando, la sua battuta mi offese nell’intimo. Ho sempre preferito la carabina al fucile a canna liscia, ma credo di potermi reputare un discreto tiratore, e poi non sono neanche uno di quelli che sprecano le cartucce. Di lì a poco glielo avrei fatto vedere io ad Angelo & C. come si usa un buon semiautomatico Benelli M 1 Super 90! In fin di conti, non dovevo far altro che capire le regole del gioco ed adattarmi di conseguenza, ma visto che ho sia l’età sia la modestia necessaria per capire quando è il caso di ascoltare i consigli degli altri, quasi con indifferenza presi dal mucchio uno dei tanti zainetti stracolmi di cartucce che Renzo aveva portato per l’occasione. Dal suo peso stimai che la mia Santa Barbara personale era stata incrementata almeno del cinquecento per cento.
Non sto qui a discutere questo genere di caccia, primo perché non ne ho il diritto e secondo perché una volta tanto non è male ricorrere a delle oneste AVF far stare in buona compagnia. Quagliodromi, anatrodromi, Drive a pernici e fagiani, battute ai cinghiali in recinto da cento capi ok, ben vengano, ma che non siano un’abitudine. Sono sempre stato una persona molto pratica, più amante del fare che del dire, sono uno che non si tira mai indietro e che quando c’è da impegnarsi in qualsiasi cosa, lo faccio sempre con estrema serietà così, quando fui solo nel mio appostamento fatto di canne e tela parasole, cominciai a prepararmi cercando di abbinare la mia esperienza alla teoria. Avvitai una strozzatura a tre stelle sulla canna del Benelli e poi lo caricai con una cartuccia del 7 in canna e due del 5 nel serbatoio. Con una combinazione simile potevo affrontare il mondo intero. Una volta con una cartuccia del sette (RC Caccia serie Piccione Oro), ci fulminai addirittura un cinghiale di una quarantina di chili da dieci–quindici metri di distanza. “Eccole che arrivano!” gridò qualcuno. Mi girai verso il sole e come previsto non vidi niente, ma le sentii! Degli esseri volanti di natura indefinita mi passarono sopra a diecimila chilometri all’ora prima di gettarsi nel lago. Mizzeca! Quando arrivarono le altre cercai di non farmi cogliere impreparato. Con il mio berrettino ben calcato sulla fronte per cercare un minimo di riparo agli occhi dai crudeli raggi solari, presi la mira alla meglio e sparai tre colpi. Risultato? Tre padelle! Niente male come inizio…
Non ricordo bene (o forse si, anche se cerco di dimenticare!) se il primo germano riuscii a buttarlo giù con la quindicesima o con la ventesima botta. Che figuraccia stavo facendo! Il famoso Marco Benecchi che svuota il suo bel zainetto di pelle “Made in Tolfa” senza grandi risultati. Mi consolai un poco vedendo che anche i miei compagni di caccia non si stavano comportando molto meglio, ma se volevo salvare la faccia dovevo rivedere immediatamente tutta la mia strategia. Velocissimo, nonostante la canna del Benelli fosse talmente calda da non poter essere toccata, sostituii la strozzatura con una ad una stella (10/10), scelsi dalla mia piccola Santa Barbara personale una sola marca di cartucce (Fiocchi Demi Magnum da 42 grammi) con piombo del 5 e del 2, ricaricai l’M1 ed attesi il prossimo stormo di saette alate.
Ne arrivarono cinque, una dietro l’altra, erano perfette per fare quel che avevo in mente. Misi il mirino due metri avanti alla prima e sparai. Niente. Accorciai la mira di una trentina di centimetri sulla seconda e sparai di nuovo. Ancora niente. Demoralizzatissimo tirai l’ultima Fiocchi del 2 un metro e mezzo circa davanti al lungo collo di un germano reale e lo centrai in pieno facendolo cadere con un tonfo. Ricaricai veloce, un 5 e due 2 ed aspettai fiducioso. Tre colpi, tre anatre a terra. Finalmente era arrivata l’ora della riscossa. D’ora in poi avremmo fatto sul serio. Chi ha litigato con il fucile da giovane muore che ancora non ha imparato a sparare, ma chi invece ha sempre dormito con la doppietta sotto al cuscino (io con l’automatico Browning Auto 5) si adegua facilmente alla situazione. Negare che mi sia divertito tantissimo sarebbe da ipocriti. E’ stata una bellissima giornata, specialmente dopo aver recuperato tutti i capi abbattuti compresi quelli da ribattere. Nonostante tutto (i miei amici mi hanno fatto giurare di non dire quante cartucce sono state sparate, per la gioia di Fiocchi, Maionchi, Clever, Winchester, RC Caccia, ecc!) il carniere finale è stato di tutto rispetto. L’Umbria è ancora una splendida regione ricchissima sia di belle AVF si di tante zone libere molto vocate per la caccia. Semmai dovesse ripresentarsi l’occasione di ritornarci lo farò sempre con piacere, chissà, forse anche se dovessero invitarmi per il primo di novembre.
Marco Benecchi