Fino a qualche anno fa era ancora possibile cacciare all’interno del meraviglioso Parco della Maremma, meglio conosciuto come Parco dell’Uccellina. Ora non più! Nessuno ne conosce il motivo, chissà, forse perché dopo un attentissimo monitoraggio della specie, i competenti Dirigenti dell’Ente Parco hanno deciso che i Selecontrollori non erano più idonei a contenere la popolazione di daini presenti sul territorio, affidando l’arduo e ingrato compito alle stesse Guardie del Parco. Questo nonostante tutti quelli che hanno avuto la fortuna di andarci si siano sempre comportati impeccabilmente, sia come persone sia come cacciatori. E per dimostrarlo voglio raccontarvi una delle ultime avventure che ho vissuto in quell’angolo di paradiso sul litorale Toscano.
La caccia nella zona protetta si esercitava a turni di dieci Selecontrollori alla volta, in base ad una rigida graduatoria che teneva conto di molteplici fattori, come il punteggio ottenuto agli esami e la dedizione personale di ogni singolo cacciatore a questo tipo di attività. Di solito i Selecontrollori venivano convocati una sola volta l’anno, ma poteva capitare, come successe a me, di ritornarci per sostituire un collega assente. Il regolamento interno del Parco prevedeva che, se un cacciatore di turno non poteva esercitare la caccia di contenimento per inderogabili impegni personali, affinché non venisse penalizzato nella graduatoria generale doveva provvedere lui stesso a trovare un sostituto.
I Tecnici faunistici del Parco avevano saggiamente deciso di consentire la caccia nei giorni di martedì e di venerdì per evitare interferenze con altre attività venatorie in corso nella zona, così la mia insolita avventura iniziò un giovedì sera, sul tardi. Daniele, un “collega” oltre che amico da sempre, mi telefonò per comunicarmi con rammarico che suo padre non stava molto bene e che l’indomani avrebbe dovuto accompagnarlo ad una visita specialistica. Purtroppo quel venerdì, al colmo della sfortuna, era anche di turno al Parco e quindi mi chiese se potevo sostituirlo. Accettai con tale entusiasmo che d’impeto gli promisi di ricaricargli almeno un centinaio di colpi per la sua carabina preferita! Non mi mancava certo l’occasione di andare a caccia in molte altre zone, ma, credetemi, la natura all’interno del Parco dell’Uccellina è talmente incontaminata e meravigliosa che tutte le volte che avevo l’occasione di ritornarci lo facevo sempre con immenso piacere. Il giorno prefissato raggiunsi il luogo d’incontro presso il Podere Spergolaia con largo anticipo ma trovai le guardie già pronte ad aspettarci con la lista dei cacciatori per il sorteggio delle poste.
“E’ lei che sostituisce il cacciatore che non è potuto venire?” mi chiese il Comandante Luca Tonini quando gli consegnai il porto d’armi. Annuii pregandolo di estrarre lui la posta per me; cosa volete, ognuno ha le proprie superstizioni, specialmente a caccia. Mi mostrò un pallino con sopra il numero undici, decisamente una buona zona. Sapevo dove si trovava, ai margini di un uliveto secolare cresciuto tra due immense e intricatissime macchie. Tutti noi dieci cacciatori convocati per quel mattino salimmo su tre fuoristrada in base alle nostre rispettive destinazioni. Del gruppo di cui facevo parte fui l’ultimo a scendere dall’automezzo, così pregai il conducente di rallentare e di farmi scendere “al volo”, consapevole, che anche a notte fonda tutti i nostri movimenti erano controllati a vista dalla consistente popolazione selvatica. Mi illudevo di non segnalare troppo la mia intrusione nel loro territorio.Veloce raggiunsi l’appostamento assegnato e silenzioso mi sedetti a ridosso di un grosso ulivo con la carabina adagiata sul bipede, carica e in sicura, e con il binocolo 8 x 50 BN a portata di mano. Non faceva molto freddo, ma me ne stetti ugualmente raccolto e ben riparato nel mio giaccone in attesa che il primo chiarore della nuova alba mi permettesse di definire almeno i contorni della zona.Ben presto, anche con quella pochissima luce intravidi un branco di cinghiali, due istrici ed ebbi il sospetto che lo sgranocchiare metodico e persistente alle mie spalle fosse provocato da uno dei numerosi scoiattoli presenti sul territorio.
Finalmente il giorno nascente e l’eccellente qualità del mio strumento ottico mi permisero di controllare se qualche daino era già fuori dal bosco o se magari stesse rientrando. Pazientemente osservai tutti gli angoli più recessi con la speranza d’individuare un selvatico, spaziando con il binocolo da destra a sinistra e viceversa ma senza successo. Era la seconda o la terza volta che guardavo verso una piccola radura distante un centocinquanta metri dalla mia postazione quando mi sembrò di aver visto un daino. Si presentava di punta e con il muso abbassato si confondeva con la potatura degli alberi. Fu soltanto dopo un attento controllo che in quella sagoma grigio–bruna riconobbi una giovane femmina. Non persi tempo ed imbracciai subito la mia Remington 700 BDL LH calibro 7 mm RM, regolai i piedini del bipede nella giusta posizione e attraverso le limpide lenti del mio 6 x 42 continuai a spiare l’ignaro animale mentre brucava la magra erbetta cresciuta rada al confine del bosco. Aspettavo impaziente che si mettesse meglio, con la rugiada che mi bagnava le gambe attraverso i pantaloni. Trascorsero degli attimi interminabili durante i quali cercai di non rimanere troppo in punteria per non affaticare la vista, ma cominciai a temere che la giovane daina potesse rientrare nel bosco senza neanche avermi dato l’opportunità di sparare.
La distanza era buona, la mia arma era estremamente precisa e quindi per una volta decisi comunque di tentare il tiro anche se l’animale non si presentava perfettamente di fianco, a “cartolina”. Misi il reticolo tra il collo e la spalla, controllai il respiro ed infine sfiorai il grilletto. La luce ancora incerta e il vigoroso rinculo della 7 millimetri m’impedirono di veder bene l’esito del colpo, ma notai una femmina di daino corrermi incontro per poi deviare a sinistra con la sua caratteristica corsa saltellante. Ricaricai velocemente mentre contemporaneamente lanciai un lungo fischio modulato. La daina rallentò la corsa fino a fermarsi del tutto dopo qualche metro. Una precisa palla Nosler Partition da 160 grani la colpì sulla spalla fulminandola sul posto. Non seppi giustificarmi come mai l’avessi fallita col primo colpo, ma fui comunque soddisfatto del secondo tiro e di constatare che almeno la taratura dell’ottica non si era alterata. Raccolsi i bossoli sparati e ricaricai la Remington senza muovermi dalla mia posta. Sperai che quei due colpi non avessero arrecato troppo disturbo alla zona e mi rimisi in paziente attesa.Quando caccio all’interno del Parco il tempo trascorre troppo velocemente. Non mi godo appieno l’uscita perché sono sempre in apprensione e controllo l’orologio in continuazione. Il regolamento è molto rigido: alle nove in punto è obbligatorio interrompere la battuta e riporre l’arma scarica nella custodia in attesa di venir recuperati dalle guardie, senza scuse o eccezioni.
I timidi raggi di sole cercavano invano di farsi strada tra cupi nuvoloni mentre io smaniavo dalla voglia di vedere da vicino il selvatico abbattuto. Ma non osai muovermi perché per esperienza ben sapevo che i daini si sarebbero potuti presentare all’improvviso nell’uliveto in qualsiasi momento. Soffro della sindrome dello “sbinocolatore”, così quando ho con me il mio fidatissimo binocolo non riesco a togliermelo dagli occhi e pur consapevole che a caccia non devo distrarmi, non disdegno mai d’ammirare qualsiasi forma di vita si aggiri nelle vicinanze. Lontano da dove giaceva la femmina di daino abbattuta mi colpì un fugace movimento. Concentrai la mia attenzione in quella direzione e immediatamente vidi tre giovani daini “calvi” che costeggiavano il confine tra l’uliveto ed il bosco, sicuramente in cerca di un comodo passo per rientrare nel folto. Mi sdraiai di nuovo in punteria per osservare i movimenti dei tre selvatici attraverso il cannocchiale della carabina. I daini camminavano lentamente vicino alla macchia, quindi se volevo tentare un tiro dovevo essere al contempo veloce e preciso. La caccia di contenimento dei branchi è qualitativa e quantitativa e include tutte le classi di età, così quando il primo daino della fila fece un piccolo stop non ebbi esitazioni e lasciai partire la pesante palla. Lo vidi accasciarsi al suolo come se avesse inciampato, mentre gli altri due sorpresi dall’insolito comportamento del compagno sembrarono indecisi sul da farsi, fermandosi a loro volta. Quelle rarissime occasioni non vanno di certo sprecate. Ricaricai velocemente e sparai ancora al daino che si presentava meglio. Non cadde, ma mi sembrò che accusasse il colpo ed ebbi la quasi certezza di aver sentito il sordo impatto della palla sul suo corpo. Con pochi salti i due daini si eclissarono all’interno dell’intricatissima vegetazione mediterranea. Avevo tirato quattro delle sei cartucce che avevo con me e per un momento mi venne il sospetto ed il timore di rimanere senza colpi. Mancava più di mezzora alle nove e pensai cos’altro mi avrebbe riservato quella meravigliosa mattina. Decisi di resistere ancora alla tentazione di controllare anche l’esito di quell’ultimo tiro. Trenta minuti trascorsero in fretta senza ulteriori emozioni e allo scoccare dell’ora prefissata finalmente mi avviai verso il bosco. Raggiunsi il daino che avevo abbattuto con un colpo preciso. La palla aveva colpito proprio dove avevo mirato. Lo valutai come un maschietto dell’anno ancora senza accenno di trofeo. Pochi metri più il là vidi una spolverata di pelo ed alcune gocce di sangue, e fatti pochi passi all’interno della macchia trovai anche l’altro daino al quale avevo tirato. Le micidiali Nosler Partition, se ben piazzate, difficilmente fanno feriti. Anche questo animale era un giovane calvo praticamente identico al primo e me ne compiacqui, perché al fine selettivo l’abbattimento era stato corretto. Ambedue i daini erano stati colpiti esattamente dove avevo posizionato il reticolo del 6 x 42 e così mi venne di nuovo da pensare come mai avessi sbagliato clamorosamente la femmina tirata in prima mattina. Rammentai che era stato il colpo più meditato della giornata e che senz’altro doveva risolversi diversamente.
Trascinai i due capi vicino all’appostamento e poi andai al recupero della daina abbattuta. La trovai dove l’avevo vista cadere e la rigirai meticolosamente per controllarla, volevo accertarmi che non avesse addosso tracce visibili del primo colpo. Non trovai nessun segno equivoco, così mi rassegnai di averla involontariamente “volata” ma senza apparente motivo. Misi i tre capi in posa per offrirgli l’ultimo pasto e per scattare le immancabili foto ricordo ma dentro di me sentivo ancora che qualcosa non quadrava e che i conti non tornavano. Prima di riporre tutte le mie attrezzature decisi di andare a vedere dove fosse finito il mio maldestro primo colpo. Volevo cercare la palla nel terreno per capire cosa fosse successo. Tra la volata dell’arma e il selvatico non c’erano stati ostacoli, la palla (permettetemi di dirlo) era stata magistralmente ricaricata, come avessi potuto “padellare” quella daina non riuscivo ancora a spiegarmelo.
Arrivato ad una quarantina di metri dalla piccola radura dove brucava la femmina alle prime luci dell’alba intravidi una sagoma bruna dell’aspetto familiare. In un attimo capii cosa era successo e tutto mi fu chiaro. Le femmine al pascolo erano due, ma io ne vedevo soltanto una. Il mio primo tiro era stato preciso e micidiale ma aveva spaventato la seconda daina che non vista precedentemente era uscita allo scoperto. Ripensandoci col senno di poi, a caccia sono cose che succedono e se io non fossi stato talmente sicuro del mio tiro, le spoglie di quel selvatico sarebbero servite come alimento per volpi, cinghiali e corvidi. Con un ennesimo sforzo recuperai anche il quarto animale, appena in tempo prima che la guardia arrivasse per prendermi a bordo del fuoristrada. Dei dieci cacciatori che eravamo usciti in quella memorabile mattina avevamo tirato soltanto in due abbattendo un totale di nove capi. Ai miei quattro daini se ne aggiunsero ben cinque tirati dall’amico Luca Rinaldi con la sua bella Sako calibro .264 Winchester Magnum. La sera prima chi se lo sarebbe mai immaginato che invece di recarmi in ufficio avrei trascorso una splendida giornata così ricca di emozioni e di nuove esperienze? Telefonai a Daniele per comunicargli l’esito dell’uscita e per ringraziarlo ancora per avermi chiesto e dato l’opportunità di sostituirlo. Come ulteriore coronamento di quel giorno felice mi disse anche che Pietro, suo padre, stava molto meglio e che la visita di quel venerdì mattina aveva dato ottimi risultati.
Marco Benecchi