Se c’è qualcosa che accomuna tutti i cacciatori, indipendentemente dal tipo di caccia che praticano, sono senz’altro le riflessioni di inizio-fine stagione. Quando ci s’interroga sempre su come sono andate le cose durante l’anno appena trascorso e su come potranno andare in quello in corso. Del tipo: il nostro fisico ha risposto adeguatamente alle aspettative? Gli ausiliari sono stati all’altezza dei loro compiti gravosi? Il carniere è stato gratificante? E quelle tre o quattro clamorose padelle sui cinghiali si potevano evitare? In Italia il cinghiale è (o almeno dovrebbe essere) l’unico ungulato che si caccia in battuta. A differenza di caprioli, camosci, daini e cervi, al re della macchia si deve, quasi sempre, tirare mentre è in movimento, anzi, quando più assomiglia ad un missile nero che ad un normale quadrupede. Non voglio annoiarvi raccontandovi da quanti anni pratico la caccia al cinghiale o di quanti ne ho abbattuti nella mia vita, ma è mia intenzione cercare di dare qualche piccolissimo consiglio a chi ha veramente dei seri problemi a prendere di mira l’irsuto ungulato. Perché, credetemi, conosco dei bravi cacciatori e dei provetti tiratori che sul cinghiale portano delle medie veramente disastrose. E non dobbiamo farci beffa di chi non ha molta propensione nel tiro a palla in battuta, io ad esempio sono negato nel tiro al colombaccio, purtroppo nessuno è perfetto!
Le principali cause dei colpi andati a vuoto durante una “cacciarella” sono sostanzialmente tre: prima tra tutte l’emozione; a volte può essere così forte che quando finalmente hai “un faccia a faccia” con quel fascio di muscoli e pelo, perdi la concentrazione e purtroppo ti ritrovi a guardare il superbo animale piuttosto che ad allineargli contro tacca di mira e mirino. La seconda causa è dovuta all’arma utilizzata, perché troppo spesso “non ci viene bene”, specialmente se imbracciamo una carabina che nel 95% dei casi è oscenamente sbilanciata in avanti (in particolare quelle Magnum). Il terzo motivo, forse il più importante per cui si fanno pochi centri, è senza dubbio l’inadeguatezza dei sistemi di mira. Le mire metalliche montate sulle armi destinate alla caccia al cinghiale sono di due tipi: quelle con bindella e mirino da battuta e quelle con tacca micrometrica e mirino fine per il tiro di precisione. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad una normale mezza bindella recante una “V” molto aperta e ad un mirino ben marcato in fibra ottica di colore rosso acceso, molto visibile e di rapida acquisizione. E’ un buon impianto, ma nell’attimo cruciale dobbiamo sempre ricordarci di come erano posizionati i riferimenti quando li abbiamo tarati (se di tipo regolabile) o semplicemente provati al poligono, perché, viste le loro dimensioni grossolane, vantano una precisione molto approssimativa oltre una certa distanza. D’altro canto, la tacca di mira regolabile, se ben fatta, può essere molto accurata, e consente di tirare anche relativamente lungo, ma non è certo l’ideale quando si hanno a disposizione pochi attimi per inquadrare un bersaglio mobile come un cinghiale lanciato nel sottobosco. Da queste riflessioni che cosa se ne deduce? Che il sistema di mira migliore per la caccia in battuta deve essere una combinazione di precisione e di facilissima acquisizione.
Tanti anni fa in America nacque il tiro pratico (o dinamico) con la pistola, una disciplina questa dove i tiratori si cimentavano in prove di precisione e di velocità. Per ridurre i tempi d’ingaggio del bersaglio alcune ditte specializzate inventarono un puntatore elettronico che aveva come caratteristica principale quella di proiettare su un vetro un punto circolare di colore rosso, comunemente chiamato “Dot”, molto visibile e di precisa regolazione. Questa piccola ma geniale invenzione permetteva ai tiratori di puntare velocemente la loro arma, di allineare il vistosissimo punto rosso sul bersaglio e di tirare il grilletto in un lasso di tempo elevatissimo, risparmiando molto tempo nel “cercare” la tacca di mira ed il mirino, nel posizionarli a dovere e nel puntarli contro il Target...
Come spesso accade, il passaggio dal tiro sportivo alla caccia pratica fu breve. I tiratori-cacciatori che intuirono le potenzialità del nuovo accessorio per la caccia in battuta furono molti e negli anni a seguire il Punto rosso conobbe moltissimi estimatori. Il successo di questo rivoluzionario accessorio fu immediato e vertiginoso tanto che ad oggi tre cacciatori di cinghiali su cinque lo utilizzano sulle loro carabine semiautomatiche ed anche, perché no, sui combinati e sugli express. Il collimatore elettronico a Punto rosso è uno strumento relativamente semplice, sia come concezione elettro-meccanica che come uso e manutenzione. Assomiglia ad un comune cannocchiale, ma di dimensioni molto ridotte. Non ha ingrandimenti perché progettato per il tiro ad occhi aperti a brevissima distanza, ma mantiene le due torrette di regolazione (alzo e deriva) come gli impianti ottici classici. Solitamente ha un potenziometro graduato che serve a regolare l’intensità del punto luminoso, mentre alcuni modelli possiedono un’ulteriore ghiera che permette di modificare anche le dimensioni del “Dot”. Non ha regolazioni diottriche ed è sempre a fuoco. I modelli più comuni vengono forniti completi di attacchi fissi in alluminio, di prolunghe adattatrici e di filtro polarizzatore per oscurare le lenti in presenza di troppa luce.
Ne sono stati costruiti con tubi di cinque diametri: da 1” (25,4 millimetri), da 30 millimetri, da 34, mm, da 40 mm e addirittura da 50 mm. Tra i tubi prediligo i 30-34 mm , perché a mio avviso sono il miglior compromesso tra campo visivo ed ingombro, ma ognuno può comperare quel che vuole in base ai propri gusti personali. A dimostrazione di quanto sia stato positivo il progetto e di quanto sia stato il suo successo c’è da ricordare che persino famose ditte europee, come la Leica, la Zeiss e la Docter-Noblex, la Delta e la Kite hanno in catalogo accessori di questo tipo, altrimenti la quasi totalità dei punti rossi disponibili sul mercato sono prodotti in oriente anche se di progettazione svedese o statunitense. Io sono molto appassionato di caccia al cinghiale in battuta (spero ve ne siate accorti leggendo i miei articoli!), e come tale possiedo una nutrita batteria d’armi espressamente concepite per questa disciplina. Con la sola esclusione dei mie express (doppiette e sovrapposti) tutte le carabine semiautomatiche che utilizzo sono dotate di collimatore elettronico a punto rosso. Lo provai “sul campo” oltre vent’anni fa, e ne rimasi talmente soddisfatto che ad oggi non potrei più farne a meno. Voglio raccontarvi come andarono le cose quel giorno, in modo da invogliare chi ancora è scettico o titubante a provare un buon “Punto rosso”. Ero stato invitato a partecipare ad una battuta al cinghiale in un bellissimo recinto di oltre 180 ettari, dove s’immettevano periodicamente dei capi di cattura provenienti dal Parco dell’Uccellina, quindi selvatici veri con la “V” maiuscola. Al sorteggio mi toccò una buona posta, ma purtroppo situata in uno stretto sentiero non più largo di due–tre metri. Per l’occasione avevo con me una carabina Heckler & Koch calibro 308 Winchester sopra la quale, incuriosito dal nuovo accessorio, avevo montato un “punto rosso” della Shirstone, così, tanto per provarlo. Nel bel mezzo della battuta udii una serratissima canizza venire verso la mia posta, doveva essere composta da una ventina di cani e in base alla mia esperienza intuii che il cinghiale che avevano scovato, semmai avesse attraversato il mio sentiero, lo avrebbe fatto “volando”, senza neanche toccare terra. Già mi preparavo a giustificare ai perfidi amici quella padella preannunciata quando imbracciai la fida H. & K. Sentii i rami rompersi violentemente poco oltre la mia destra mentre intravidi un missile nero arrivare a tremila chilometri all’ora. Ebbi soltanto il tempo di sollevare l’arma, puntare il vistoso punto rosso su una sagoma nera che saltava la cessa e tirare due volte il grilletto prima che rientrasse nel folto. Cercai di confortarmi ripetendo a me stesso che era impossibile colpire un cinghiale così veloce e che quel tiro non poteva assolutamente essere annoverato come una padella!! Nel frattempo arrivarono i cani, compatti e famelici, e appena il capo muta attraversò lo stretto sentiero iniziò a ringhiare e a mordere qualcosa. Scesi di corsa dal palchetto perché sapevo cosa stava azzannando e non volevo farglielo rovinare. Lo trovai sul cinghiale morto, era un giovane verro con addosso tutti e due colpi i miei colpi, distanziati l’uno dall’altro di una diecina di centimetri. Fui sbalordito da quel che era successo, perché mai e poi mai avrei immaginato di averlo colpito. Riconobbi tutto il merito di quell’abbattimento al collimatore elettronico e fu così che dopo quel giorno non ne avrei più cacciato il cinghiale in battuta senza!
Marco Benecchi