Come spesso accade, anche la bella e rocambolesca avventura che mi appresto a raccontarvi ebbe inizio per puro caso, anzi potrei confidarvi che tutto dipese da una cena un po’ troppo abbondante a base di fagioli in umido con cotiche e salcicce! Ma credo che dovremmo cominciare dall’inizio…
Il caro amico Loredano di Murci, un piccolissimo paesino del grossetano che si trova a due passi dal Monte Amiata, aveva deciso di chiudere l’azienda di famiglia, una macelleria, per acquistare un terreno da adibire ad Azienda Faunistico Venatoria. Loredano, padre di tre bellissimi figli maschi, voleva avviare un’attività per poterli impegnare adeguatamente tutti e soprattutto per poter dar libero sfogo alla loro grande passione comune. Loredano & Sons, nonostante fossero partiti veramente da zero, nel giro di pochissimo tempo riuscirono a creare dal nulla la riserva del Fantone, tuttora famosa in tutta la Maremma, con il sottoscritto che non gli fece mai mancare tutto l’aiuto possibile. Come quando, dopo molte fatiche e dopo aver fatto appello a tutte le mie conoscenze, riuscii a fargli prendere all’asta una grossa partita di selvaggina in una zona di ripopolamento e cattura. Loredano, che non s’è mai fatto guardar dietro, una sera mi telefonò per invitarmi a cacciare da lui, per ringraziarmi del lavoro svolto: “Marco, mi raccomando vieni di pomeriggio che daini, mufloni e cinghiali escono solo al calar della notte.” “Tranquillo” gli risposi “ Ci vediamo domani nel primo pomeriggio, magari porto anche mio padre!”.
Abbassai la cornetta, eccitato come può esserlo soltanto un grande appassionato di caccia a palla in procinto di un’importante battuta, quando accadde l’imprevisto. La mia dolcissima moglie, accortasi del mio repentino cambio di umore, per completare l’opera mi chiese addirittura cosa volessi per cena. Fu un fatto piuttosto insolito, perché essendo come si dice di bocca buona, ho sempre mangiato quel che trovo nel piatto senza mai lamentarmi. Un po’ per scherzo, un po’ per davvero, gli risposi: “Desidero un bel piattone di fagioli con cotiche e salcicce”. Per intenderci, come quelli che si contendevano Terence Hill e il compianto Bud Spencer nei loro simpaticissimi film. M’aspettavo che mi mandasse a quel paese, invece annuì rispondendomi: “ E che problema c’è, per così poco”.
Il problema invece ci fu, ed anche bello grosso, perché i fagioli e tutto il resto erano troppo buoni e soprattutto tutt’altro che pochi. Quando andai a coricarmi non avevo neanche iniziato a digerirli. Fu una notte da incubo. Mal di pancia, sete, rigurgiti, diarrea. M’ero comportato male e ne stavo pagando le conseguenze. La cosa più brutta fu che, con il mio malessere, stavo disturbando parecchio anche mia moglie, non facendola dormire e, quel che è peggio, non se lo meritava davvero. Alle quattro in punto non ce la feci più cosi decisi di alzarmi. Cosa può fare un uomo adulto solo in casa alle quattro del mattino? Specialmente chi non è appassionato di tv? Dal giardino sentii provenire sommessi i guaiti dei miei cani, che dovevano essersi eccitati subito dopo aver visto accendersi le luci. E sia, mi dissi, hanno diritto anche loro di andare a farsi una bella galoppata. Così, dopo aver preso solo un caffè, caricai in macchina armi, bagagli e cani poi cominciarono le solite elucubrazioni mentali. Ed ora dove vado?
Eravamo ai primi di novembre con una temperatura talmente mite da sembrare più settembrina che invernale. Il passo delle beccacce non c’era ancora stato e non mi andava di recarmi in Toscana visto che avrei dovuto tornarci nel pomeriggio. Decisi di dare una “strusciata” al confine della Riserva di Santa Severa per vedere se ne fosse uscito qualche fagiano. Arrivai che era ancora buio così me la presi comoda con i preparativi. Mi concessi un ultimo bisogno fisiologico poi feci scendere i mie tre ausiliari che fremevano impazienti. A quei tempi non esistevano ancora i localizzatori satellitari, così misi un beeper a Drago il mio setter maschio e due campanelli a Kira e Luna, le due setter femmine.
Era da parecchio che non battevo quella zona, ma la tecnica di caccia sarebbe stata sempre la stessa. Avrei fatto un ampio giro intorno al confine col divieto ispezionando le zone più impervie, sperando che la bravura dei miei setter portasse qualche frutto. Girai in lungo e in largo per un paio d’ora senza che nessuno dei miei generosissimi ausiliari muovesse la coda più del necessario. Nel frattempo avevo praticamente smaltito tutta la luculliana cena e stavo già assaporando il piacere “indescrivibile”, come disse il grande Wilbur Smith, di appostarmi in una radura armato con la mia fedele Remington 7 mm Magnum, in attesa che si presentasse il regalo promessomi dall’amico Loredano, magari sotto forma di un imponente palancone o di un forte ariete, quando in lontananza sentii i primi abbai. Un sospetto mi saltò subito in mente e cercai d’individuare da dove provenissero per averne conferma. Ed infatti ecco che li udii di nuovo! Erano le due cagne che abbaiavano a fermo, nella loro maniera, in modo cadenzato, regolare e soprattutto inconfondibile. Velocissimo sostituii le cartucce a pallini fino nel mio automatico con tre palle asciutte e mi accertai della direzione del vento. Poi presi ad avanzare verso le setter, facendo coincidere i miei passi con i loro abbai, finché riuscii a scorgerle. Erano madre e figlia, molto affiatate tra loro ed avevano già avuto a che fare con TUTTI i selvatici presenti sul territorio, così sapevo con certezza che quando abbaiavano lo facevano perché dovevano aver scovato delle istrici oppure dei cinghiali. Ma da come avevano il pelo ritto sulla schiena e dalla loro aggressività, non ebbi più alcun dubbio a chi fossero indirizzati i loro latrati.
Dentro quel forteto di lentisco doveva esserci sicuramente almeno un cinghiale ed io ero in ottima posizione e a vento buono. Purtroppo ero indeciso sul da farsi e mentre cercavo l’ispirazione per fare la prima mossa, accade l’imprevisto. Drago, uditi gli abbai delle sue compagne, arrivò come una furia e deciso s’infilò nel bosco scatenando un putiferio. Immediatamente intravidi un cinghialotto di una quarantina di chili allontanarsi nel sottobosco alla mia destra senza però lasciarmi il tempo di tirargli, poi ne sentii un altro stridere. Drago è forse stato il setter più aggressivo che io abbia mai avuto in tutta la mia vita. Era un cane davvero molto forte e aggressivo, sia contro gli altri cani sia addirittura verso le persone. Mio nonno un giorno mi disse che ogni tanto nascevano dei cani così: “Con il dente avvelenato!”, dotati di un’innaturale aggressività nonostante la razza. Drago doveva essere stato uno di quelli, perché in passato aveva morso anche ad alcuni miei compagni di caccia e una volta aveva messo in riga un … cane da pastore! Quel giorno però stava davvero facendo bene il proprio lavoro. Nel frattempo le cagne, avvertita la mia presenza e incoraggiate dalla forza del compagno, acquistarono coraggio ed andarono ad abbaiare fin dentro al fitto macchione, provocando il giusto risentimento da parte degli inquilini. Sentii un violento sfrascare e contemporaneamente vidi i rami del sottobosco piegarsi rapidi verso le cagne, che indietreggiarono terrorizzate fino a venirmi addosso.
Imbracciai il Benelli M 1 Super 90 puntandolo deciso nella direzione del rumore e quando finalmente vidi il grosso selvatico arrivare lo inchiodai da due metri di distanza con un preciso colpo al collo. Dopo la schioppettata avvenne il finimondo! Dal rumore che sentii giungere dal forteto capii che dovevo essermi imbattuto in un bel branco. Sentii sfrascare praticamente da tutte le parti, così mi preparai di nuovo. Un porcastrone uscì dal bosco come una furia proprio nello stesso punto dove, poco prima, avevo visto allontanarsi incolume il primo cinghiale. Ma questa volta ero pronto, così non mi feci sorprendere! La prima Gualandi gliela tirai un tantino alta, facendolo ruzzolare ferito in terra, ma come vidi che il colpo non era mortale, gli spedii rapidissimo l’ultimo colpo che m’era rimasto in canna per finirlo.
Il cinghiale non aveva ancora smesso di dare gli ultimi calci alla vita che Drago gli era già alla gola. Anch’io corsi là per ammirarlo da vicino ma fui leggermente deluso delle sue dimensioni, constatando che era più o meno la metà dell’altro. Quello che avevo abbattuto per primo era veramente un animale meraviglioso, tanto che a prima vista, dalla mole e dalla conformazione, l’avevo quasi scambiato per un solengo quando invece era una grossa scrofa.
Anche se quella memorabile battuta di caccia, partorita da una cena particolarmente “calorica”, s’è svolta diversi anni fa, a quei tempi ero già “discretamente esperto” in quel genere di cose, così non mi persi d’animo e cominciai ad organizzarmi sia per il rientro sia soprattutto per il recupero delle due inaspettate ma benvenute prede. Il cinghiale più piccolo avrei potuto trascinarlo tranquillamente da solo legato con i guinzagli fino alla macchina, mentre per smacchiare la scrofa avrei dovuto organizzarmi diversamente, perché da solo era riuscito a malapena a girarla! Decisi di tornare in città per chiedere aiuto, ma poco prima che arrivassi alla macchina incontrai un coppia di vecchi amici che mi confidarono di aver sentito tutto: dal primo abbaio all’ultimo sparo e che sarebbero stati ben felici di aiutarmi a trasportare il grosso animale fino alla mia macchina, in cambio di una parte dei capi abbattuti. Dopo aver caricato i due cinghiali salutai gli amici promettendogli che gli avrei fatto avere il dovuto, perché anche se tutti dicono che vanno a caccia solo per passione, alla fine trenta quaranta chili di buonissima carne sono sempre ben accetti da tutti. Quando mi sistemai comodo nella mia diesel fradicio di sudore, tutto imbrattato di fango e sangue rappreso, ero davvero molto felice. Il primo pensiero che mi venne in mente fu per il mio vecchio, caro genitore e alla faccia che avrebbe fatto quando gli avrei raccontato tutta la storia. Così, prima di andare al canile per rimettere i cani ed iniziare il trattamento delle spoglie dei capi abbattuti, feci un salto da lui. Rispose al secondo squillo. “Chi è”? “Pà sono io” gli dissi, “Scendi che ho preso due bei cinghiali da solo, con i setter”. E lui, con la sua solita flemma (anche se sapevo che se la stava già facendo addosso dell’emozione e dall’orgoglio) mi rispose: ”Ancora co stì cignali! Eppure lo sai che non li mangio! Ma non sarebbero stati meglio quindici tordi? ”.
Per la cronaca, il mio viaggio verso Murci per andare a trovare Loredano al Fantone lo dovetti rimandare al giorno seguente, ma ne valse la pena perché abbattei veramente uno splendido muflone……
Ma questa è un’altra storia!
Marco Benecchi