Il mio primo cinghiale l’ho abbattuto sui monti della Tolfa quasi quarantacinque anni fa! Quanto tempo è passato da allora! I miei boschi, le mie macchie, tutto quel bellissimo territorio da Bracciano a Tarquinia, dalle colline al mare, è sempre stato nel mio cuore. Solo che poi i tempi cambiano. Nel giro di pochi anni, quelle stesse zone che in gioventù mi hanno deliziato la vita, sono diventate talmente aride di selvaggina da farmi addirittura trasferire come residenza venatoria nella vicinissima Toscana. Ma, come si sa, il primo amore non si scorda mai! Sui monti sassosi e brulli che circondano l’incantevole paesino di Allumiere ci ho lasciato davvero il cuore. Da sempre sono state le mie zone di caccia preferite che conosco come le mie tasche. Ricordo ancora vivamente dove poter andare a fare il trapasso ai tordi, dove fare la posta serale alle beccacce (quando si poteva) e dove cercarle di giorno nelle rimesse, dove mettermi per balzellare una lepre e dove appostarmi quando soffia la tramontana e il maestrale per tirare ai colombi. Poi conosco ancora alla perfezione dove sono le lestre, dove passano i cinghiali e dove vanno a rifugiarsi se padellati. Insomma, per molti anni i Monti della Tolfa–Santa Severa sono stati il mio parco giochi, la mia palestra e il mio oratorio salesiano sin da giovanissimo. Così, come spesso accade agli immigrati nostalgici di tutto il mondo, anch’io un bel giorno decisi di ritornarci, per vedere cos’era cambiato in tutti quegli anni di lontananza e come se la stavano cavando oggi i miei irriducibili amici montanari. Comunque, nostalgia a parte, è stato anche un altro il motivo per cui decisi di ritornare sui miei passi, alle mie origini: che col passare degli anni la situazione s’era davvero capovolta. E’ accaduto che in Toscana ci siamo ritrovati com’era diversi anni prima nell’Alto Lazio. La tanto odiata “Specie Cinghiale” era stata drasticamente ridotta se non addirittura decimata. Vuoi per la caccia di selezione vuoi per gli abbattimenti indiscriminati in art. 37 tutto l’anno, la specie ne ha risentito parecchio e di conseguenza anche le squadre di cinghialai si sono ritrovate a conseguire carnieri piuttosto deludenti. Mi sono riunito volentieri con i vecchi compagni Laziali che oggigiorno, alla fine di una buona stagione di caccia abbattono quasi il doppio di cinghiali di quelli una grande squadra di cinghialai Toscani.
Quando chiesi di essere ammesso nella squadra, Sandro, il presidente storico, disse una sola parola: “Bentornato”! Poi, prendendomi sottobraccio, mi confidò, scherzando ma non troppo, che avevano proprio bisogno d un “buon fucile”, perché la media dell’età delle poste era circa settantanni. Lo ringraziai per l’accoglienza e per i complimenti dandoci appuntamento per la domenica successiva alle otto nel Punto Presa del bosco. Quando arrivai fu come se il tempo si fosse fermato ad almeno quindici anni prima. Fu sbalorditivo rivedere tanti vecchi amici con molti più anni sulle spalle, con i capelli brizzolati, bianchi o, peggio ancora….assenti! Riconobbi a stento qualcuno che era diventato molto più robusto come chi invece s’era dimagrito di ottanta chili! Cose da non credere. Per il resto mi sembrò che il tempo si fosse fermato a prima dell’avvento dell’euro! Trovai diversi cacciatori già radunati intorno al fuoco. Alcuni erano volti noti, mentre altri li conoscevo soltanto di vista, ma tutti animati dalla stessa passione. Mentre annotai il numero del mio porto d’armi sulla lista dei partecipanti alla battuta, qualcuno alle mie spalle mi porse pane e salciccia con un bicchiere di vino talmente scuro che sembrava inchiostro (alle otto del mattino!). Mi voltai per ringraziare l’inatteso benefattore e con piacere riconobbi Franco, che era stato un caro amico addirittura di mio nonno! Classe 1934!! Mentre attendevamo che Sandro e i suoi capocaccia rientrassero dalla tracciatura, ci raccontammo le nostre ultime avventure e di come aveva da poco compiuto ottantasei anni. Poi, forse per farmi partecipe nel discorso, mi chiese che arma avessi dietro quel giorno, se usavo sempre la Heckler & Kock 770 a canna corta in calibro 308 Winchester. Gli risposi di no. Che ora stavo cacciando con la mia nuova Benelli ARGO Compact Black in calibro 30.06 equipaggiata con un collimatore a punto rosso montato fisso su una basetta progettata da me, ma realizzata dai fratelli Contessa di Marcheno. Franco sorrise perché in tutta la vita ha usato sempre una vecchissima doppietta Beretta, e a malincuore mi confidò sottovoce che gli mancavano troppo i pallettoni, specialmente ora che i riflessi e la vista non erano più quelli di una volta!!!
Finii il panino appena in tempo per il raduno delle poste. I tracciatori erano rientrati e tra non molto saremmo partiti per i “dolci sentieri”. Fu deciso di battere un monte abbastanza comodo così li vidi organizzarsi su come piazzare strategicamente una decina di poste in una stretta attaccatura tra due macchie, mentre tutte le altre sarebbero state schierate nei campi. Tra Sandro e il capocaccia ci fu un impercettibile scambio di sguardi, ammiccando verso la mia direzione. Non c’era bisogno di essere dei geni per capire di cosa stessero parlando. Non sapendo di quale dei due schieramenti avrei fatto parte, presi dalla macchina lo zaino, lo sgabellino e la carabina e poi aspettai paziente d’esser convocato. L’attesa durò poco perché un Mauro, un ragazzone che conosco da un vita, mi fece segno di seguirlo. Assieme al nostro gruppo camminammo in salita per una buona mezzora ed appena raggiungemmo un bosco fittissimo cominciarono a fermarsi i primi i cacciatori. Dopo una curva a gomito del sentiero, il mio giovane amico cominciò a sgranare le poste come un rosario, una dopo l’altra perfettamente equidistanti, lungo quel breve tratto strategico. Fece fermare anche me in un buon posto augurandomi di divertirmi. Persino un novellino avrebbe capito che, se il vento si fosse mantenuto buono, lungo tutta la cessa avremmo avuto delle ottime probabilità di tirare.
Una volta solo, con calma eseguii le stesse operazioni che ripeto ormai da oltre quarantacinque anni. Piazzai lo sgabellino, controllai che la pila del mio “punto rosso” fosse carica, feci scorrere nella canna della mia Benelli una palla originale Winchester Silvertip da 168 grani, ne stipai altre quattro nel caricatore, poi, con un seghetto apribile e con le forbici da potatore, diedi una leggera pulita davanti agli ipotetici passi per avere una visuale migliore. Per ultimo controllai anche dove fossero i miei due vicini di posta scambiandoci un saluto. Quella macchia è molto vasta e soprattutto piuttosto lunga, così l’avvio della battuta arrivò per radio piuttosto che a voce.
Dopo neanche una mezzora sentii scoppiare il finimondo. Spari, berci e canizze da tutte le parti. Che musica pensai, e quando mai l’avevamo sentita una cosa simile in passato. E’ proprio vero.. i tempi cambiano, oggi ci sono molti più cinghiali nella maremma laziale, ma le tecniche di caccia sono sempre le stesse. Ipotizzai che i primi a tirare dovessero essere le poste messe a vento buono nella larga e così fu. In seguito venni a sapere che in due sole poste avevano tirato a più di quindici animali. I segugi maremmani dei miei vecchi amici Claudio e Sandro Papa li riconobbi immediatamente. Erano famosi in tutto l’Alto Lazio non solo per la loro bravura, ma anche per il loro coraggio e per la loro aggressività ; stavano forzando i cinghiali verso di noi veloci come fulmini. Sopra di me tirarono una bella scarica e subito dopo sentii alcuni cani oltrepassare la linea delle poste. Pensai che il fortunato-sfortunato cacciatore che doveva aver tirato era proprio una testa di legno. Quante volte il capocaccia s’è raccomandato di parare sempre i cani e di rimetterli in cacciata quando un cinghiale viene padellato?
Per fortuna gli animali erano più d’uno e la giornata era bella con un vento piuttosto mite. Nel bosco regnava il silenzio, si sarebbe sentita camminare anche una merla, figuriamoci un cinghiale. Infatti riconobbi subito il rumore provocato da un grosso selvatico in avvicinamento. Il verro veniva zitto zitto, così alzai la Benelli al petto e mi concentrai fiducioso sui trottoi che avevo davanti. Dopo pochissimi secondi concentrato verso la direzione da dove proveniva il rumore, tra il lentisco ed il corbezzolo intravidi la sagoma di un bel cinghiale, lo inquadrai veloce col red point nel fitto e deciso strinsi il grilletto. Il cinghiale, invece di cadere sterzò per riguadagnare il folto, ma ero pronto così non mi feci sorprendere e gli sparai altri e due colpi. Dal rumore che fece allontanandosi capii che doveva essere stato preso bene, ma non sapevo né quanto fossero gravi le ferite né quale fosse la sua reale mole. Nella penombra del bosco mi era sembrato piuttosto grosso, ma a volte è facile ingannarsi. Spesso sei convinto di aver tirato ad un solengo quando magari era un cinghialotto modesto, mentre viceversa a volte giureresti di aver sparato ad una scrofetta e poi invece ti ritrovi tra i piedi un mostro zannuto. Per fortuna la muta arrivò subito dopo e mi rassicurai subito perchè la sentii ringhiare e mordere. Segno inequivocabile che il cinghiale doveva essere morto poche decine di metri all’interno del fitto. Purtroppo (o per fortuna!) la battuta era ancora in corso, così dovetti farmi coraggio ed aspettarne la fine per andarlo a vedere.
Il resto della mattinata trascorse senza ulteriori emozioni e come arrivò l’ora di pranzo mi concessi un bel panino ed una banana. Finalmente mi sembrò di percepire che la battuta stava volgendo al termine. Dato che uso molto di rado la radiolina perché mi disturba sia il chiacchiericcio in sottofondo sia il filo dell’auricolare, poco dopo ebbi la certezza che la cacciata era finita, perché vidi il mio vicino di posta che scaricava la sua arma e la riponeva nella custodia. Lo imitai e poi veloce andai a vedere a cosa avevo sparato e soprattutto se ancora il cinghiale era ancora “dove speravo che fosse” perché, anche se ero certissimo sull’esito dei miei colpi, con i cinghiali non si sa mai.. Ne sa qualcosa il mio povero padre che dopo una battuta andò a raccogliere un cinghiale che aveva “ucciso” ed invece … non lo trovammo mai più. Mi feci largo nell’intricatissima macchia mediterranea ed appena raggiunsi il punto dove credevo di aver sentito ringhiare i cani, non trovai né l’animale morto né nessun’altro indizio che potesse indicarmi qualcosa. Vidi solo una raspata sul terreno pochi metri più in là , così m’incamminai carponi in quella direzione. Dopo una decina di metri scorsi una scivolata sulle foglie e poi, su un ramo, spiccò nitido un piccolo rubino rosso accesso. Una minuscola goccia di sangue. Proseguii accucciato in quell’inferno di foglie morte e rovi, ma dopo pochi passi dovetti fermarmi perché trovai il sentiero ostruito da una montagna di setole nere ed infangate….. Mamma mia quanto era grosso!
Dalle nostre parti non abbiamo né l’attrezzatura necessaria né l’abitudine di pesare i cinghiali, ma posso soltanto dirvi che per smacchiarlo ci vollero cinque persone e per caricarlo su un fuoristrada Toyota faticammo parecchio. Dalle foto spetta a voi l’ardua sentenza. Gli amici sinceri furono tutti concordi nello stimarlo sui centocinquanta chilogrammi, mentre i meno simpatici giurarono che arrivava “solo” a centotrenta. Io, per non far torto a nessuno dico che non poteva pesare meno di 140 chilogrammi. Comunque, etto più etto meno, avevo abbattuto davvero un bellissimo, meraviglioso figlio della maremma! Quando abbatti un cinghiale come quello la fine di una battuta di caccia ha tutto un’altro sapore, non è vero? Dai suoni che mi giungevano compresi la metamorfosi che c’era stata in quegli anni. Rombi di fuoristrada, gracchiare di radioline, squilli di cellulari, quante cose erano cambiate! Tanti anni fa nessuno possedeva fuoristrada, radioline, carabine e punti rossi, poi dovevamo essere fortunati, per trovare una “scrofata” di quattro–cinque cinghiali in una macchia di cinquecento ettari. Quel giorno invece stimai che se ne fossero trovati tanti e presi più di una decina. Ero proprio contento di essere ritornato alle mie origini: dove tutto era iniziato! Fui felice di constatare che i tempi erano davvero cambiati e per una volta in meglio. Il tableau finale infatti fu di ben dodici capi, tutti belli, dai quarantacinque chili in su. Un paio di porchetti li presero i cani ma ci può stare.
Ecco, questo è stato il mio ritorno a casa, in quei boschi che mi hanno visto crescere e che continuano a rappresentare molto per me. Le proprie origini, i vecchi insegnamenti e le ataviche culture non si dimenticano mai…….
Marco Benecchi