Sempre più spesso mi viene chiesto come è iniziata la mia carriera venatoria, le prime armi che ho acquistato e come sono diventato un “Consigliere di uomini di buona volontà”, come ora impropriamente definiscono gli Influencer!
Era la vigilia di Natale ed io, come tutti i bambini, non vedevo l’ora di scartare i miei regali. Avevo appena compiuto otto anni e, chissà, forse ero pronto a ricevere in dono l’oggetto che avrebbe condizionato inesorabilmente tutta la mia vita. Mio padre mi chiamò, mi prese per mano e disse: “La cena non è ancora pronta, andiamo a trovare il nonno che deve darti una cosa.”
Trovammo nonno Sigismondo che ci aspettava in sala da pranzo, dove nel bel mezzo del tavolo spiccava una scatola rettangolare di cartone con sopra scritto in tedesco “Dianawerke”. Il nonno con gli occhi velati dalla commozione mi disse: ”Perché non apri subito il regalo che Babbo Natale ha lasciato qua da me? Sono curioso di vedere se ti piace.” Con il cuore in gola sollevai il coperchio della scatola e rimasi incantato ad ammirare il mio primo “vero” fucile da caccia: una bellissima carabina ad aria compressa calibro 4,5 Diana modello 27. Fu una delle più grandi emozioni che provai in tutta la mia vita! In quel momento non avrei di sicuro immaginato che un giorno, passo dopo passo, sarei arrivato a possedere tantissime altre armi da caccia, troppe a sentire mia moglie! Con la Diana 27 in tanti anni ho sparato qualche milione di piombini, sia ai barattoli sia ai piccoli volatili. Le mie prede preferite erano le allodole. Le cacciavo con una tecnica tutta personale. Prima le alzavo correndo per le stoppie, poi guardavo dove si posavano ed infine le gattonavo a fermo. Se ero fortunato a trovare un appoggio per la pesantissima carabina difficilmente fallivo il colpo. Poi, crescendo, iniziai ad essere molto più esigente e la scarsissima potenza della piccola Diana cominciò a palesarsi.
Così, dopo aver martoriato nonno e papà con una serie infinita di lacrimose richieste, per il dodicesimo compleanno arrivò la Beretta Super Sport semiautomatica calibro 22, un piccolo gioiello della meccanica tecnico–balistica. La Beretta era, e credo sia tuttora, una vera arma da caccia, con la sua letalità e quindi anche con la sua pericolosità. Da quel momento le cose si facevano davvero serie. Ho sempre sostenuto che un buon cacciatore a palla non può definirsi tale se prima non s’è fatto le ossa con una carabina calibro 22, al poligono, ma molto più spesso in aperta campagna.
La 22 Long Rifle è un’arma perfetta per addestrarsi al tiro, per prendere confidenza con lo scatto, con l’imbracciatura, con le posizioni di tiro e soprattutto col…reticolo del cannocchiale! L’aver contratto la febbre della caccia con un’arma rigata deve aver contribuito molto a fare grande la passione che ho oggi per la caccia a palla.
Poi a sedici anni presi il porto d’armi e con esso mi si aprì un universo nuovo. Col 12 liscio ci fai “quasi” tutto quello che vuoi, ma non proprio tutto. Era giunta l’ora di fare il grande passo, di acquistare una Vera carabina da caccia che, essendo in Maremma, non poteva che essere una Browning FN BAR semiautomatica. Mio padre me la regalò per la maturità in calibro 270 Winchester, con una nutrita scorta di munizioni commerciali (Remington, Norma e RWS) che acquistammo nell’armeria Bonvicini di Roma. Dieci scatole di cartucce mi durarono forse un mese, se non meno; così, per non andare fallito (a quei tempi le munizioni metalliche costavano molto care), dovetti farmi coraggio ed andare ad imparare la difficile arte della ricarica da un ragazzo di Livorno già molto bravo e appassionato. Era la fine degli anni settanta. Avere in rastrelliera una Diana 27, una Beretta 22, una BAR 270, una pistola Franchi LLama 7,65, due automatici lisci ed una doppietta 12 poteva sembrare un arsenale per quei tempi, ma ….ancora non mi bastava.
La mia fantasia volava e i miei sogni viaggiavano verso il futuro. Per la caccia in battuta al cinghiale alternavo la BAR al Browning Auto 5 cal. 12 caricato a pallettoni, ma quando portavo l’uno mi mancava l’altro, era sempre così. Così, con la prima “tredicesima” decisi di acquistare un bellissimo combinato Antonio Zoli cal. 12 – 8 x 57 JRS. Una bellissima arma con un perfetto connubio tra liscio e rigato. Con quel sovrapposto ho fatto davvero tanti abbattimenti, lo rimpiango ancora.
A quei tempi internet doveva essere solo nelle menti geniali di Jobs e di Gates, così io m’intossicavo di riviste di Caccia, di armi e di munizioni. Acquistavo per corrispondenza anche Guns & Ammo dall’America, per tenermi sempre informato sulle novità prima ancora che arrivassero in Italia. Leggevo e rileggevo articoli e vecchi racconti, ma con un grande occhio critico, perché nella mia vita ho sempre cercato di metterci molto del mio prima di bermi tante “panzanate” come oro colato.
E fu così che un bel giorno mi sentii vulnerabile, quasi disarmato, perché non avevo ancora una carabina Bolt Action ad otturatore scorrevole–girevole. La prima che fece il suo ingresso in casa Benecchi fu una Winchester XTR modello 70, ovviamente in calibro 270 Winchester, visto che mi aveva tanto soddisfatto nella semiautomatica. Nel frattempo crescevo, sia fisicamente sia culturalmente, tanto che in breve ricaddi nella solita, vecchia, atavica depressione. Ma se un domani mi fosse dovuto capitare di dover cacciare grossi cervi a lunga distanza oppure grossi orsi ed imponenti alci il 270 W sarebbe sufficiente? Grazie a Dio, ma anche alla mia preparazione, riuscii a vincere il concorso per entrare all’ENEL come Perito Meccanico Assistente di Manutenzione e quale occasione migliore per festeggiare l’evento se non comperarmi una nuova carabina? Il calibro l’avevo scelto già da molto tempo:l’8 x 68 S Shuler! E la cabina non poteva che essere una Steyr Mannlicher modello S. Da lì a possederne ora circa una sessantina il percorso è stato lungo, meditato e sempre carico di passione e d’entusiasmo. Oggi possiedo armi camerate dal piccolo 222 ai grandi mostri di potenza come il 416 Rigby, il 458 WM e il 470 Nitro Express. Le ho usate quasi tutte sia al poligono sia sul campo: “dall’Allodola al Toro Maremmano” in una infinità di occasioni e spesso con ottimi risultati.
Ma qualcuno dei miei amici lettori si sarà domandato come e quando iniziò la mia carriera di scrittore, giornalista pubblicista....più o meno bravo non spetta certo a me dirlo. Quel che posso giurare è che sono sempre stato un fedelissimo narratore delle mie avventure e un caparbio e sincero collaudatore di armi, munizioni ed accessori. Il primo racconto lo pubblicai sulla rivista Sentieri di Caccia per un concorso aperto ai lettori: “Un muflone da Medaglia!”, mentre il primo approccio nel “variegato” mondo degli “Esperti di Armi e di Munizioni” lo ebbi dopo aver letto un articolo sull’impiego della carabina per la caccia al cinghiale e dei calibri più idonei da utilizzare in essa. Ero già satollo di quei lettori che nelle Rubriche “L’Esperto Risponde” chiedevano: “Il 30.06 ed il 308 w sono idonei per la caccia al cinghiale?”.“Per cacciare il cinghiale uso un calibro 30.06 con palle R.N. da 220 grani, dove posso reperire delle munizioni con palle più pesanti da 250 grani?” “E’ meglio una doppietta Slug o una Winchester a leva 30.30?” e così via! Fu quello che lessi in una bella rivista (la più Bella!) a farmi decidere di intervenire.
L’Esperto di turno, ad un lettore che gli chiedeva, in qualità di aspirante cacciatore di cinghiali con la carabina, quali fossero l’arma ed calibro più idonei, lui rispondeva: “Volendo utilizzare un’arma semiautomatica, non mi sento di consigliare un calibro inferiore a 338 W.M. con palla da 275 grani, mentre se si è intenzionati ad usare una Bolt action il calibro ideale sarebbe il 375 HeH Mag. o meglio un buon 416 Rigby. Queste personalissime opinioni, che io definirei eresie, scritte su una rivista specializzata, per poco non mi fecero venire un embolo! Scrissi alla famosa Rivista esprimendogli tutto il mio disappunto, consigliando all’allora Direttore di accertarsi che quando un giornalista osa parlare di caccia e peggio ancora di dare preziosi consigli…abbia almeno la licenza. Perché, come venni a sapere in seguito, l’esperto in questione non l’aveva, ma si limitava a scopiazzare a destra e manca vecchi articoli sia nazionali sia esteri. Con mia grande sorpresa, invece di offendersi, la direzione della rivista mi offrì di collaborare con loro. Fu così che ebbe inizio, che presi a tormentare tanti poveri lettori, colpevoli soltanto di essere impossessati della mia stessa passione.
Ora vorrei dire qualcosa sui calibri che ho usato in tantissimi anni di caccia, davvero assidua. Credo di averli provati più o meno tutti, molti mi hanno deliziato come precisione, potenza e letalità, altri meno. Nei piccoli–medi calibri ho avuto grandissime soddisfazioni dal 243 W, dal 270 W, dal 257 WM, dal 7 MM RM e dall’8 x 68 S. La superiorità del 308 W e del 30.06 in semiauto non si discute, almeno per cacciare il cinghiale in battuta. Ma forse il calibro che più di ogni altro mi ha davvero sorpreso (forse perché lo sto usando moltissimo) è sicuramente il 375 Holland & Holland Magnum, la vecchia munizione inglese tanto amata da molti cacciatori professionisti che l’hanno usato persino sui grandi portatori di avorio. Pur possedendone due di carabine camerate in 375 HH, lo uso prevalentemente camerato in carabina Blaser R 93 Professional Grey , per contenere i bovidi selvatici, dannosi e/o pericolosi presenti in tutta la Maremma Laziale.
Sono stato incaricato dalla Procura d’intervenire, accompagnato dalle autorità competenti, quando questi grossi bestioni diventano un problema serio per persone, cose o animali. Chi non ha mai avuto a che fare con un selvatico simile non può immaginare di cosa possano essere capaci. Posso confidarvi in tutta sincerità che la meccanica Staight pull è stata in alcuni casi…vitale. Nel senso che forse mi ha persino salvato la vita... Ma questa è un’altra storia che cerco di dimenticare!
Col 375 HH è possibile cacciare di tutto, da un grosso cervo a buona distanza (anche 200 mt) al grande elefante, a patto di usare sempre la giusta tipologia di caccia. Ha potenza e radenza da vendere, abbinati ad un rinculo gestibilissimo, alla portata di tutti. Per rendere l’idea, posso dirvi che il mio amico fraterno Filippo, durante un collaudo del suo Brno–Concari camerato in questo splendido calibro, si è esibito in una velocissima serie di cinque colpi consecutivi in meno di 5–6 secondi, sempre rimanendo in mira sul bersaglio. Casa impossibile da fare con qualsiasi altro calibro da caccia grossa africana.
Marco Benecchi