Strano ma vero, il selvatico che preferisco cacciare di selezione in Maremma è il daino. Principalmente perché lo ritengo, almeno nelle zone che normalmente frequento, molto più scaltro e diffidente sia dei caprioli sia dei cinghiali, ma anche per la maestosità e il fascino del selvatico. A dispetto di quelli che definiscono i Dama Dama come dei Bamby, poco più che animali domestici, i daini sono dei selvatici verissimi con abitudini imprevedibili, furtive e molto particolari. Infatti, può capitare di vederli pascolare in un campo aperto a mezzogiorno per diverso tempo e poi, quando invece ti appresti a dargli la caccia, non riesci a vederne uno, magari per mesi, perché escono e rientrano dal forteto solo a notte fonda. Abbattere un daino ed in particolare un bel maschio da trofeo non è certo facile, credetemi. Per me, catturare femmine giovani o maschi, fusoni, balestroni e palanconi è sempre stato indifferente, quello che m’interessa maggiormente è l’azione di caccia. Oddio, sarebbe da ipocriti negare che il maschio portatore di trofeo è sempre più ambito e desiderato ma come spessissimo ripeto agli amici, l’emozione della caccia e del tiro è lo stesso sia se prendiamo di mira una giovane femmina sottile sia un imponente palancone.
I bollettini venatori di “Radio Maremma” diffusi dal passaparola tra i selettori non erano certo entusiasmanti, di daini se ne vedevano pochi e quei pochi avvistati erano quasi tutte femmine accompagnate dai piccoli dell’anno e da qualche sporadico fusone. Persino nelle zone migliori nessuno aveva avvistato grossi maschi, ma, si sa, la speranza è sempre l’ultima a morire ed io sono sempre stato fiducioso. Si fa presto a dire:”Gli animali non si vedono, che ci vado a fare? Meglio se resto a casa a dormire!”. No, quello mai, non diamo per scontato l’esito di una battuta di caccia a tavolino. Nel nostro distretto di caccia GR 7 Sud, la selezione al daino si pratica secondo un rigoroso calendario interno. Gli appostamenti sono limitati e quindi ci si può andare a rotazione solo seguendo un rigido calendario. Di conseguenza io, essendo stato fortunato lo scorso anno, avevo avuto un appostamento decente dopo un mese che la caccia era aperta, con le zone già ampiamente sfruttate e inquinate per lungo e per largo. Ma, come ho già specificato all’inizio, per me ogni uscita al daino è sacra, sempre! Non ci rinuncerei neanche se coincidesse col 1° di Novembre, con l’apertura della caccia al cinghiali in battuta! Così un caldissimo lunedì di fine settembre, invece di far uscire i miei tre setter al top della forma, che smaniavano nel canile e che avrebbero preferito scorrazzare a fagiani lungo l’argine di un fiume, decisi di tentare una uscita al daino. Era il mio turno nel capanno delle “Vasche”, chiamato così per il fatto che nelle vicinanze c’è un grossissimo allevamento ittico di piscicoltura. La zona è sempre stata molto buona per i daini perché arrivano facilmente dal vicino Parco della Feniglia, ma la vegetazione, essendo fittissima, non concede grandi avvistamenti. Una macchia mediterranea bassa, impenetrabile, fatta di lentischio, di corbezzolo, di cerro, di ornello, di crognolo, di leccio, di olivo selvatico ma anche di querce e sughere secolari, divenute, a ragione, un patrimonio culturale. Boschi intricatissimi, dove solo avvistare un selvatico è davvero molto difficoltoso. L’unico prato, se così possiamo definire una striscia di incolto lunga duecento metri per cento, è più una zona di transito che di pascolo, che comunque ti consente una certa visibilità. Nella caccia al daino il fattore più determinante è la direzione del vento. Se la brezza non è favorevole tanto vale starcene a casa.
Come raggiunsi la zone delle Vasche, la prima cosa che feci fu accendere l’accendino e quello che vidi non mi piacque per niente. La fiammella si spostava nella direzione sbagliata a quella che avrei voluto. A quel punto decisi di ricorrere al vecchio trucco di ritornare di corsa alla macchina e di fare un lungo giro per accedere al prato col vento a favore. Così facendo però persi del tempo prezioso che mi costrinse ad accelerare i preparativi. Tolsi di corsa dal fodero la mia carabina Bergara B 14 Green Hunter calibro 308 W, equipaggiata con uno cannocchiale 2,5 – 15 x 56 HD. Per il daino prediligo delle palle ricaricate con ogive Nosler Ballistic Tip da 165 grani che, come vedremo più avanti, si sono dimostrate micidiali. Ho sempre scelto di cacciare tutti gli ungulati al mattino presto, all’alba piuttosto che la sera tardi, per un motivo molto semplice. Cacciando al mattino vai incontro al sorgere del sole e quindi al far del giorno, mentre viceversa cacciando all’imbrunire vai incontro al buio, alla notte fonda. Immaginate di dover recuperare uno grosso selvatico di notte e magari da solo. Per non parlare poi di andarlo a cercare ferito. L’ho fatto centinaia di volte, se non migliaia.. e spero di continuare a farlo all’infinito perchè “veder sorgere l’alba in campagna” è un brivido davvero primordiale che mi emoziona ancora molto.
Oltre all’arma in assetto operativo ed al binocolo, avevo dietro due buoni coltelli: un pugnale ed un serramanico e nient’altro. Trascinarsi dietro zaini stracolmi di oggetti e appesantirsi portando nelle tasche accessori vari non è un bel modo per affrontare selvatici scaltri e diffidenti come i daini. Lo stesso vale per la scelta dell’orario. So di certi cacciatori che raggiungono la zona di caccia due–tre ore prima del sorgere del sole, con la convinzione di essere stati più furbi del selvatico che vogliono cacciare, senza sapere che l’uomo è un pessimo predatore diurno, figuriamoci quando decide di cacciare di notte. Il segreto del successo in questo genere di caccia è quello di riuscire ad arrivare in zona in quel breve arco di tempo che precede l’alba, possibilmente con il sole che sta sorgendo alle nostre spalle ed è auspicabile che il vento sia a favore. La prima ispezione delle zone di pascolo deve essere fatta - strumenti ottici permettendo (sia il cannocchiale montato sull’arma sia il binocolo) - appena si riesce a distinguere la sagoma di un selvatico. MAI prima, perché potrebbe capitare che mentre noi siamo convinti di guardare in un campo deserto, un numeroso branco di animali si è appena dileguato non visto. Bisogna fare “capolino” nelle zone di pastura con la massima cautela possibile e controllare meticolosamente tutto il perimetro, senza tralasciare nessun angolo o ombre sospette. Aspettai che ci fosse luce a sufficienza, poi mi affacciai nella strisca di prato incolto che si trova ad un tiro di schioppo dalla Laguna di Orbetello. Mi sdraiai in terra ai margini del campo e, dopo aver puntellato i gomiti e incollato il binocolo agli occhi, iniziai la perlustrazione. Riuscii a intravedere subito una sola sagoma degna di nota ma che dall’andatura poteva essere soltanto un istrice o un grosso tasso. Di selvatici importanti, a “zampa lunga” neanche l’ombra. Il fatto non mi stupì più di tanto, perché il prato non aveva molto da offrire ai daini come pastura. Strizzai gli occhi alcune volte per adattarli alla penombra poi presi a binoculare anche verso il bosco con l’intento di captare qualche movimento tra la fittissima vegetazione. Quello che invece attirò la mia attenzione fu un’ombra scura in un buco nel sottobosco. Sembrava proprio che avesse le dimensioni e le fattezze di un daino. Era ad oltre cento metri e col solo ausilio del binocolo non capii se fosse un maschio balestrone o palancone oppure una grossa femmina o un fusone. Per accertarmene meglio usai direttamente il cannocchiale che avevo sulla carabina per sfruttare gli ingrandimenti maggiori, ma il risultato fu lo stesso. Comunque non ebbi più dubbi. Si, per me era proprio un daino, immobile come una statua, anzi no, come uno di quei bersagli che riproducono la sagoma del selvatico a grandezza naturale, perché era davvero messo molto bene, a “cartolina”. Chissà, forse doveva aver avvertito la mia presenza perché dalla sua postura sembrava che mi stesse guardando. Decisi di non perdere altro tempo prezioso e di prepararmi subito al tiro. Quando c’è da tirare in condizioni di luce precarie, permettetemi di darvi un prezioso consiglio. Al mattino presto, appena la luce è sufficiente per una corretta identificazione del capo e quindi anche per eseguire il tiro, tentate SUBITO l’abbattimento, non perdete troppo tempo, perché per esperienza so che i selvatici che pascolano tranquilli e sereni possono diventare sospettosi e allarmati in pochi secondi con l’aumentare della luminosità.
Con la mia Bergara B 14 Green Hunter tarata a 200 metri non fu il caso di fare molti calcoli. Decisi di tenermi col reticolo leggermente sotto la linea immaginaria di mezza spalla e quando il piccolo dot illuminato fu perfettamente immobile, sfiorai il delicatissimo grilletto. Il modesto rinculo del 308 e gli ingrandimenti del cannocchiale non molto alti (di solito caccio sui 10–12x), non mi permisero di conoscere ugualmente l’esito della fucilata direttamente attraverso l’ottica, ma il rumore della palla quando impatta contro qualcosa di solido che mi giunse di rimando fu confortevole. Ricaricai veloce ma, invece di rimanere in punteria, lasciai l’arma adagiata sul bipiede per vedere col binocolo ed anche per ascoltare se il selvatico si stava allontanando ferito o se stava scalciando sul posto. Zero assoluto. Niente rumori e nessun movimento. Una volta scomparso l’eco dello sparo nella zona era ritornato un silenzio tombale. L’esperienza acquisita in tanti anni di caccia ai grossi selvatici m’impose di aspettare che facesse giorno per bene, per avere la luce giusta per individuare delle tracce. Volete sapere cosa mi manca cacciando da solo? Un amico, un collega o un semplice accompagnatore che sappia darmi delle indicazioni da lontano quando devo lasciare il punto di sparo per recarmi sull’Anchuss, sul punto dove è stato colpito il selvatico. Spessissimo parto talmente di fretta ed ottimista che poi non riesco più ad orientarmi. Sono cose che succedono anche dopo anni ed anni di caccia, nessuno è perfetto! Specialmente quando tiri da buona distanza e sull’albeggiare una volta entrato nel bosco perdi l’orientamento.
Come accadde a me quel giorno. Mi toccò ritornare sul punto dove avevo sparato due volte, fare delle triangolazioni strane coi monti circostanti e poi riprendere la cerca. Finalmente mi sembrò di aver individuato lo spiraglio dov’era il daino al momento del tiro perché vedevo il punto dov’ero appostato, ma sul terreno non trovai niente, né sangue né pelo, né un raspare frenetico di zampe. Mannaggia! Quanto mi dispiaceva non trovare quell’animale, eppure ero certissimo di averlo colpito. Per una volta nella vita sentii il bisogno di un buon cane da traccia! Lo ammetto, anche se non mi sono mai piaciuti molto, cosa avrei dato per averne uno, magari il mio Jagd Terrier. Fui quasi tentato di chiamare qualche amico conduttore di cani da sangue ma poi ci ripensai perché cominciarono a venirmi dei seri dubbi che avessi davvero fallito il colpo. Sono cose che succedono, ma a me dispiaceva moltissimo perché ero curioso di sapere a che animale avessi sparato. La sagoma m’era sembrata massiccia, ma poteva essere stata anche una grossa femmina. Mi sedetti su una pietra per fare il punto della situazione. Ricapitolando le cose stavano cosi: il daino non poteva essere venuto verso il campo perché altrimenti avrei dovuto vederlo, non era andato né verso destra né verso sinistra perché altrimenti avrei dovuto sentirlo, l’unica strada che poteva aver preso era quella verso il monte, praticamente dritta a me. Era l’unica direzione che non avrei potuto controllare. Col morale sotto la suola degli scarponi decisi di farmi forza e di continuare a cercare meglio. Fu così che vidi un piccolo sentiero tra i rovi e decisi di seguirlo. Non ebbi il tempo di fare neanche venti passi che intravidi subito una grossa sagoma rossiccia. “Ammazza che bella femminona che ho preso” gridai ad alta voce! Ancora oggi, a freddo, non capisco perché mi venne da pensare in quel modo, ma quando poi andai a guardare meglio rimasi letteralmente senza fiato. Presi a ridere da solo come un matto. Fu davvero un momento d’intensa, intimissima felicità. Ma guarda che regalo m‘era stato fatto! Avevo abbattuto un daino palancone meraviglioso, davvero eccezionale per quella zona.
In seguito, dopo che ebbi spedito i dati biometrici e alcune fotografie all’ATC, anche il loro tecnico faunistico mi fece i complimenti per averlo abbattuto. Da dove aveva ricevuto il colpo a dove era caduto aveva percorso forse trenta metri. Praticamente lo spazio di un paio di salti che se non fossi stato insistente e molto fortunato sarebbero bastati per farmi perdere una preda stupenda. Indipendentemente dal calibro usato, le Nosler Ballistic Tip non mi hanno mai deluso e non l’hanno fatto neanche stavolta, ma quel daino superava abbondantemente il quintale ed era molto robusto! Anche se non esagerato, il suo trofeo era perfetto, bello, pulito e con un ottimo colore. Fu davvero una giornata di caccia meravigliosa che ricorderò per sempre e che conserverò gelosamente nell’album delle catture più importanti. Perché quel giorno fui doppiamente baciato dalla fortuna: quando individuai il selvatico nel varco del bosco e soprattutto perché riuscii anche a trovarlo. Per recuperare il maestoso animali dovetti farmi aiutare dall’amico Gelso. Anzi, voglio cogliere l’occasione di ringraziarlo pubblicamente, non solo per l’impegno dato quel giorno ad Ansedonia, ma anche per la sua disponibilità, la sua infinita pazienza e per essere riuscito ad imparare bene a fare delle fotografie decenti col telefonino!
Marco Benecchi