Sono orgoglioso delle mie origini, delle mie tradizioni e soprattutto della mia Terra, tanto che quando ne sono lontano sento parecchio la sua mancanza. Ma allora come si spiega lo smisurato amore che ho per la montagna e la mia grandissima passione per la caccia al camoscio? Il camoscio, la mia “Croce e Delizia”, quell’animale bellissimo, elegante (specialmente in manto invernale), dall’odore inconfondibile durante l’estro, che vive in territori meravigliosi ma che si sta facendo sempre più difficile da cacciare! Ho contratto la febbre per la caccia in montagna tantissimo tempo fa sulle montagne trentine ed ancora oggi continua a manifestarsi puntuale ogni anno, di solito verso la prima quindicina di novembre. Vado a caccia praticamente tutto l’anno, da gennaio a dicembre in Italia, finché è permesso, altrimenti mi reco ben volentieri anche all’estero, l’importante è non star mai fermi. E quando non è proprio possibile uscire né armato né accompagnato dai miei amati ausiliari (non dimentichiamo che la legge italiana autorizza l’addestramento dei cani un solo mese l’anno, poco prima dell’apertura della caccia), mi piace ugualmente andar per macchie, per boschi e per montagne col solo binocolo al collo. E’ un’attività che faccio molto volentieri perché mi aiuta ad adempiere ad un duplice scopo: quello di tenere sotto controllo le mie abituali zone di caccia e quello di mantenermi in costante allenamento fisico. Durante le escursioni, scelgo sempre percorsi difficoltosi e in salita, che mi aiutino ad arrivare all’appuntamento di novembre ben allenato, perché non voglio farmi trovare impreparato per il periodo degli amori dei camosci! A novembre si apre anche la caccia al cinghiale, ma se io non faccio almeno un’uscita in montagna, mi sento male, provo una vera e propria sofferenza! Almeno per un “misero” fine settimana mi piace sostituire l’HK 770 calibro 308 W o le BAR 30.06 con le Weatherby 257 e 270 WM. Poi c’è anche la voglia di rivedere le montagne più belle del mondo…le nostre Alpi !
Ecco, l’ho ammesso, pur abitando a cento metri dal mare sono un accanito e fervido cacciatore di camosci. Dobbiamo dar ragione agli esperti: le stagioni non sono più le stesse. Se continua così le giacche imbottite ed i piumini d’oca potremo tranquillamente relegarli in soffitta. I camosci, anche se sono animali forti e molto adattabili, di certo non amano il caldo afoso, quindi, se la temperatura è più vicina ai venti che ai dieci gradi, vederli in movimento non è affatto facile. Quel novembre, un clima più primaverile che autunnale, non se lo aspettava neanche Andrea, un amico di Roma che mi accompagnava in questa avventura. Con Andrea e suo padre Pietro c’eravamo conosciuti anni addietro ad una battuta di caccia al cinghiale, ed era bastato trascorrere insieme poche ore per far nascere una vera, seria e lunga amicizia. Andrea era già un buon cacciatore di camosci, così fu facile convincerlo di partire per cacciarlo insieme sulle splendide montagne cuneesi. Fu così che un bel mattino ci vedemmo consegnare i tesserini venatori della Regione Piemonte con i permessi giornalieri di caccia. La zona che ci era stata assegnata era magnifica, molto coreografica, ricca di animali, ma…. durissima da raggiungere e per farlo sarebbe stato necessario superare un dislivello di quasi millecinquecento metri ed in breve tempo.
Con Andrea decidemmo di cacciare insieme con un solo accompagnatore, Massimo, vero montanaro doc, grande esperto di camosci e di caccia in alta montagna. Massimo, per non smentire la sua fama di duro, partì subito in quarta, concedendoci sì e no due misere soste in quasi due lunghe e terribili ore di marcia. Per quando giungemmo in prossimità di una malga diroccata oltre quota 2000 m’ero già cambiato due T-shirt! Che quello fosse un giorno decisamente particolare ce ne accorgemmo subito dalla scarsissima selvaggina che avvistammo durante la salita: nessun capriolo ed una sola femmina di camoscio, in una zona dove abitualmente eravamo sempre circondati da branchi di animali. Massimo scuoteva la testa in continuazione, ripetendo in silenzio che il fatto era inspiegabile. Pazienza, avremmo dovuto apprezzare il lato positivo della cosa. Stava sorgendo un sole meraviglioso, la temperatura si era fatta accettabile, avevamo a disposizione due-tre giorni di caccia, quindi non dubitavamo che anche quella volta saremmo riusciti a guadagnarci dei buoni trofei. Controllai l’orologio e vidi che erano appena le otto e trenta del mattino. Dall’altro versante della valle giunse distinto uno sparo. Qualche cacciatore doveva aver fatto un buon incontro. Iniziammo a binocolare perlustrando tutta la zona circostante ma con scarso risultato. Nonostante il periodo favorevole, i camosci ancora non si rincorrevano e quei pochi che riuscimmo ad avvistare stavano talmente in alto che per averli a tiro avremmo avuto bisogno di un elicottero oppure... delle ali! Verso le undici facemmo colazione e poi riprendemmo a salire. Le gambe tiravano bene, pur sapendo che l’indomani i miei poveri muscoli avrebbero reclamato un sano e meritato riposo. In tanti anni di caccia ai camosci, non mi era mai capitato di veder così pochi animali. Praticamente non c’era quasi soddisfazione nella caccia alla cerca. Giunti ai margini dell’ennesima valletta Massimo decise che forse era meglio cambiare strategia. Entrambi avevamo la netta impressione che gli animali fossero in zona, ma che a causa del caldo preferissero muoversi poco. Che stagione del cavolo!
Ci sistemammo comodi per modificare la nostra tecnica di caccia. Avremmo cacciato i camosci all’aspetto, tecnica che tutto sommato non è così male quando comincia a farsi sentire la stanchezza. Quasi schiena contro schiena, impugnammo i nostri binocoli e riprendemmo il paziente binocolare. Non mi vergogno ad ammetterlo, sfruttai quella sosta per mettere ad asciugare le mie magliette fradice di sudore. Il sole era cocente, tanto che avrebbe fatto la felicità degli amanti dell’abbronzatura in alta montagna. A poche decine di metri da noi un gallo forcello s’involò spaventato da chissà che cosa. Le condizioni per trascorrere una piacevole giornata c’erano tutte, peccato che avevo dietro anche una Weatherby Ultralight calibro 270 W Magnum e che mi sarebbe piaciuto anche usarla. Con Andrea avevamo deciso che il primo a tirare sarei stato io, così puntai la mia carabina munita di bipiede Harris verso un costone in ombra con quattro larici spelacchiati, con il colpo in canna e la sicura inserita, pronta per qualsiasi evenienza. Quella era pur sempre una zona ricchissima di animali, una delle più belle di tutto il distretto e non mi avrebbe stupito veder apparire, da un momento all’altro, un grosso branco di camosci. Quel pomeriggio l’eterna competizione per chi avvistava per primo l’animale giusto la vinse come al solito Massimo. Quel ragazzone ha davvero degli occhi di falco ma sapeva anche dove guardare. C’indicò un camoscio proprio nella penombra del costone, talmente nascosto dalla vegetazione che impiegai diversi secondi prima d’individuarlo anch’io. Per deformazione professionale lanciai subito l’impulso laser del mio 8 x 42 per conoscere a che distanza si trovava: sui 250 – 260 metri. Se il camoscio fosse stato quello giusto, la distanza sarebbe stata accettabile. Massimo abbandonò il binocolo per prendere lo spektive che aveva nello zaino, ma io, già attraverso il massimo ingrandimento dello 25 x 52 montato sulla carabina, avevo identificato la bestia. Era una bel maschio adulto... Proprio quello che stavamo cercando! Se Massimo avesse dato l’ok, l’avrei abbattuto molto volentieri, indipendentemente dall’importanza del trofeo. In quel comprensorio alpino le percentuali d’errore sono rarissime, se non addirittura nulle. I suoi guardacaccia–accompagnatori sono espertissimi e molto meticolosi nella valutazione dei capi da prelevare. Massimo, prima di autorizzarmi al tiro, voleva essere certo al cento per cento che l’esemplare che stavamo esaminando fosse proprio quello giusto. Il becco si muoveva con una lentezza esasperante. Per percorrere pochi metri impiegò diversi minuti. Brucava pigro i rododendri e l’erba olina stando sempre semicoperto dalla vegetazione. Finalmente il guardia prese una decisione. ”Marco, il capo è buono. Preparati per sparare”. Stetti sdraiato dietro l’arma qualche minuto, poi mi sentii toccare una spalla, “Ok! Quando vuoi”.
In pochi secondi ricontrollai tutto. Che il correttore di parallasse fosse sui 250, che l’appoggio del bipede fosse stabile e che la volata della Weatherby fosse libera. Infine tolsi la sicura, armai lo stecher, mirai due dita sopra la mezzeria della spalla sinistra del camoscio e quando ritenni che la respirazione fosse normale, trattenni un attimo il fiato e strinsi il grilletto. Con l’ingrandimento sui 20 x non vidi né sentii arrivare la palla a segno e, a dir la verità, neanche Massimo riuscì a capire un granché. Così ricaricai veloce ed aspettai alcuni minuti in punteria ma non accadde nulla. Raccogliemmo tutte le nostre cose (comprese le T-Shirt stese ad asciugare!) ed andammo a vedere. Non si arrivava mai sul punto esatto dov’era il camoscio al momento del tiro, tanto che mi venne quasi il sospetto che l'ottica si fosse rotta e che la distanza a cui avevo tirato fosse sensibilmente maggiore.
Giunti nel canalone dov’era il becco, cominciarono e venirmi delle strane idee, non ero più tanto convinto del mio tiro. Cercammo tra i rododendri, alti e fittissimi per un po’, finché Massimo non prese dalla tasca il bollino giallo per contrassegnare i capi abbattuti. “Bell’amico che sei! Ma mi vuoi far prendere un colpo? Potevi dirmelo subito che l’avevi trovato!”, gli dissi con falso cipiglio. Il maschio era caduto sul posto sparendo in quel mare verde. La palla Hornady Spire Point BT da 130 grani gli aveva procurato una morte istantanea. Era un bell’animale e dal controllo del trofeo alto, stretto e regolare calcolammo che doveva avere all’incirca cinque anni. Ottimo abbattimento, perfetto in tutti i sensi. Ci abbracciammo tutti, io felicissimo, Andrea…speranzoso! Ora sarebbe toccato a lui ma il tempo era davvero poco. Il mio caro amico non vedeva l’ora di usare la sua bella Remington 700 SPS in acciaio inox e polimeri, in calibro 7 mm RM con sopra un vecchio, ma sempre validissimo, 18 x 50 P. Eravamo tutti soddisfatti del successo che io avevo ottenuto, che era stata una bellissima giornata, ma era nostro dovere cercare di sfruttarla tutta anche per rispetto di Andrea.
Dopo aver eviscerato velocemente il camoscio ed averlo appeso per le corna ai rami bassi di un larice, Massimo decise di andare a controllare una zona poco distante, convinto che quell’unico sparo non doveva aver spaventato gli animali più di tanto. Infatti, nel costone opposto, vedemmo uscire dal bosco in una radura un bel camoscio. Anche quello era un bel maschio, che si muoveva furtivo come un capriolo quando esce al crepuscolo nei nostri prati maremmani! Max ed io impugnammo subito i binocoli, Andrea…. la Remington! In un attimo era a terra, pronto col dito sul grilletto. Il camoscio si trovava a circa 160-170 metri , in posizione perfetta, Andrea aspettava solo il via, il semaforo verde per poter sparare. Cominciava ad essere molto tardi quindi sarebbe stato auspicabile eseguire un tiro più che preciso.
Quando il nostro accompagnatore diede il consenso all’abbattimento, Andrea non ci deluse! Perché, nonostante la sua giovane età, oltre ad essere un provetto cacciatore è anche un ottimo tiratore. Fu così che anche quel giorno, nonostante un inizio non proprio entusiasmante, riuscimmo ugualmente a guadagnarci due buoni capi. La caccia è così..semplicemente imprevedibile. Raccogliemmo veloci tutte le nostre cose e quando, con una certa difficoltà, raggiungemmo il camoscio, fui doppiamente felice sia per come s’era svolta la caccia sia per la qualità del trofeo. Era un maschio più o meno come il mio, tanto per non fare torto a nessuno. Scattammo qualche misera foto poi Massimo se lo caricò sulle spalle e ci avviammo veloci per recuperare l’altro. Rientrammo, stremati, che era quasi l’ora di cena e tra tutti i cacciatori il più raggiante, neanche a dirlo, non potevo che essere io.
Il giorno seguente, mentre percorrevamo l’Autostrada per ritornare a casa, i nostri sentimenti erano contrastanti, come sempre... Non sapevamo se essere felici per il buon esito della caccia oppure essere tristi per aver lasciato quelle magiche montagne. Ancora una volta ero riuscito a ritornare a cacciare i camosci su quelle montagne che tanto amo, in compagnia degli amici del cuore. Come dice quel proverbio: “Una mela al giorno toglie il medico di torno”. Io mi accontento di un camoscio l’anno!
Marco Benecchi