Nel corso della mia lunga e avventurosa carriera di cacciatore a palla ho avuto la fortuna ed il piacere di aver cacciato moltissimo i daini. Specialmente in ottobre ho trascorso non so quante ore, sia all’alba sia al crepuscolo, ascoltando il loro sgraziato, gutturale bramito che, anche se non è affascinante e possente come quello dei cervi, è pur sempre bellissimo, almeno per gli appassionati della caccia al nobile dama dama. Ho voluto esordire così, perché desideravo chiarire subito che se vogliamo insidiare con successo un bel palancone da trofeo, occorre farlo durante il periodo degli amori, quando i grossi maschi si muovono in continuazione per radunare le femmine pronte per l’accoppiamento. Mentre per il cervo l’estro dura circa un mese, per il daino ho sempre avuto l’impressione che il periodo del bramito sia notevolmente inferiore. Infatti, chi si sarà dedicato all’osservazione di questi nobili selvatici durante l’estro, avrà sicuramente notato che i “segni premonitori” come bramiti, fregoni e corse frenetiche, a volte sono molto evidenti mentre altre volte ti sembra che in zona non ci siano selvatici. Può capitare di avvistare molti capi durante un violento temporale come durante una giornata molto mite completamente assolata e lo stesso vale nel caso che faccia un caldo torrido o un freddo polare. Ancora oggi non sono riuscito a comprendere bene quali possano essere le ragioni che spingono i grossi maschi a bramire maggiormente oppure a starsene completamente inattivi in silenzio! Quella che segue è, come mia abitudine, la fedelissima cronaca di come si svolse una memorabile battuta di caccia al daino in Maremma, nella splendida Tenuta delle Forane di Capalbio durante il periodo del bramito, che si è conclusa con l’abbattimento di un palancone davvero molto particolare, se non unico nel suo genere; di sicuro molto ma molto raro a vedersi!
Che quella fosse un’ottima stagione ne avevo avuto la conferma dal gran numero di animali che avvistavamo durante le solite uscite perlustratici con Giampiero e suo figlio Cristiano, all’interno dell’azienda. I daini erano in pieno bramito e nei boschi i suoni caratteristici provocati dai selvatici, in particolare al mattino molto presto e all’imbrunire, erano udibili pressoché dappertutto. Nei giorni precedenti erano già stati catturati degli esemplari molto belli, con dei trofei molto importanti, che emanavano un afrore inconfondibile. Fu così che un bel giorno Cristiano, forse impietosito dal fatto che mi era saltata una tanto ambita avventura in terra magiara a cervi per gravi motivi di salute del mio compagno di viaggio, mi propose di fare un’ uscita per cercare di abbattere un daino da carne, da preparare alla “cacciatora” in novembre, con cui avremmo potuto sfamare i tanti cacciatori che presto sarebbero arrivati da ogni angolo dell’Italia per partecipare alle imminenti grandi battute al cinghiale, che alle Forane si organizzano da sempre. Accettai con immenso piacere perché, dar la caccia ad un daino, indipendentemente che sia un femmina sottile o un grande maschio da trofeo, è sempre un’esperienza bellissima. Fu così che la sera della memorabile cattura Cristiano ed io decidemmo di appostarci presso una tagliata situata lungo il confine nord dell’azienda. Con me avevo la mia carabina da “daini”, quella che mi permette di andare a segno da cinquanta a trecento metri anche in cattivissime condizioni di luce senza troppi problemi: la bella e supercollaudata Remington modello 700 BDL Left Hand Mancina cal. 7 mm R.M., con un’ottica 15 x 56 HD con il reticolo illuminato. Appeso al collo avevo il mio compagno di sempre, il binocolo 8 x 42 HD.
Dove eravamo appostati è il vero cuore della Maremma Toscana, dove i daini sono presenti sin dalla notte dei tempi, almeno da quando fece la prima apparizione il puro, scorbutico cinghiale maremmano e la scaltra lepre italica. Chi li ha immessi o da dove siano venuti, credo che nessuno lo sappia davvero con precisione. Chissà, forse dal poco distante parco della Feniglia o da quello dell’Uccellina – Parco della Maremma, ma sta di fatto che, insieme al cinghiale e al capriolo, oggi il daino è una innegabilmente quanto bellissima realtà in tutta la Toscana.
A me è sempre piaciuto cacciare più al mattino presto che in tarda serata per ovvie ragioni. Quando si va incontro al sorgere del sole, qualsiasi situazione, più o meno imprevista, che potrebbe presentarsi da risolvere, si affronterebbe sempre meglio, ma anche cacciare al tramonto ha il suo innegabile fascino. Nella riserva delle Forane-Caprai si usa appostare gli animali selvatici dove maggiori sono i segni di presenza. Non essendoci altane fisse, di solito si usa posizionare in modo strategico delle rotoballe di paglia, da utilizzare sia come riparo sia come appoggio per la carabina. Io e Cristiano ci posizionammo invece protetti solo dal fogliame del sottobosco su un crinale che dominava un’ampia tagliata all’interno di un bosco fittissimo. Scelta con cura la zona che meglio rispondeva alle nostre esigenze, adagiammo in silenzio i nostri zaini a terra e dopo aver dato un rapido controllo al vento, feci scorrere nella canna della Remington una cartuccia ricaricata con palla Nosler Partition da 160 grani, innestai la sicura, regolai l’ingrandimento del cannocchiale sui 10 x e poi provai qualche imbracciatura stando sdraiato in terra con l’arma sul bipiede tattico Harris. Feci anche qualche misurazione del perimetro per conoscere in anticipo a quale distanza si fosse trovato un selvatico appena sarebbe uscito dal bosco. Guadagnare dei secondi preziosi, specialmente con scarse condizioni di luce, può essere determinante nella caccia a palla. L’esperienza mi ha insegnato che è sempre meglio appostarsi con largo anticipo, ma bisogna farlo con giudizio, altrimenti si corre il rischio di essere più svantaggiati che favoriti. Svantaggiati perché più si soggiorna in zona, maggiori sono le probabilità d’essere percepiti dalla selvaggina; favoriti, perché giungere all’appostamento in anticipo ci permette di posizionarci con più calma e soprattutto senza rischiare di trovare gli animali già fuori a pascolare nei prati. Quando si è in due, è molto più facile combattere la noia, ma vanno assolutamente evitati movimenti e mormorii inutili. Con cautela, decidemmo di distanziarci l’uno dall’altro di pochi metri e di alternarci nel controllo della zona, sperando che il sole tramontasse presto. Approfittai di quella quiete sublime per mandare dei messaggi su WhatsApp, ma con un occhio rivolto al mio giovane accompagnatore, sempre col binocolo agli occhi e alla zona sottostante.
Dopo una ventina di minuti trascorsi in santissima pace, sentii un leggero fischio e capii subito il significato di quel sussurro! Guardai Cristiano che ammiccò, indicando la tagliata con la testa ed a quel punto avvistai subito anch’io una femmina di daino con il suo piccolo al seguito. Era un bell’animale che per ovvie ragioni non rientrava nei nostri interessi, MAI sparare ad una femmina accompagnata dalla prole. La sua presenza comunque fu di buon auspicio, perché dimostrò che eravamo messi bene e con il vento a favore. Appena i due selvatici presero a pascolare, contemporaneamente dal bosco udimmo i primi bramiti. Uno, in particolare, c’impressionò per la sua potenza e la sua insistenza. Non bisognava essere dei geni per capire che quell’animale era il re incontrastato del bosco, il sultano dell’harem più numeroso. Mentre ci godevamo quei momenti di caccia pura, primordiale, in lontananza avvistammo un bel balestrone. Cristiano lo valutò attentamente, poi sorridendo mi sussurrò con un filo di voce: “Semaforo verde! Se vuoi puoi sparare a quello”.
Solo a sentir quelle parole mi commossi. Con Giampiero e Cristiano va sempre a finire così. T’invitano ad andare a trovarli per un saluto e poi te ne torni a casa con un trofeo! Quel saggio che ha detto: “Chi trova un amico trova un tesoro” andrebbe fatto santo subito… Mi posizionai per il tiro, ma con molta calma..fin troppa! Tolsi la sicura alla 7 mm RM e presi tranquillamente a traguardare il bellissimo selvatico attraverso le limpidissimi lenti dell'ottica. Anche se non stava fermo un attimo lo avrei potuto abbattere come e quando avessi voluto, ma..…stranamente… non me la sentii di tirare, non mi sembrò giusto. Quel balestrone era un bellissimo e promettente esemplare, che a breve sarebbe diventato un imponente palancone che magari in seguito avrebbe deliziato un cacciatore altrettanto appassionato come me. E poi la volete sapere la verità? Non me la sentivo di approfittare della gentilezza infinita dei miei amici che comunque di caccia ci vivono. Già stare con la carabina nel bosco con il mio “nipote prediletto” al fianco era un piacere bellissimo. I tramonti autunnali sono tra i più belli e suggestivi in assoluto, ma anche i più rapidi, passi dal giorno alla notte in pochissimi minuti senza quasi rendertene conto. Specialmente nella tagliata le ombre cominciarono a confondersi con la vegetazione. La visibilità stava diminuendo in modo allarmante, e quel che è peggio senza che la zona ci avesse regalato altre emozioni. Ma sono un cacciatore abbastanza esperto da sapere che in quel periodo, quando il bramito raggiunge il suo culmine, non devi mai abbassare la guardia. Sperai soltanto che le qualità ottiche del mio strumento fossero all’altezza quando le condizioni di luce sarebbero diventare davvero proibitive. Fu allora che tra gli alberi vedemmo arrivare quasi correndo un branchetto di femmine, tra cui spiccava una melanica robusta come un fusone (o magari lo era davvero e noi non eravamo riusciti a vedere né il pennello né il trofeo?). “Ok, a quella gli tiro volentieri vai, non la perdere d’occhio”, dissi a Cristiano. Sono sempre contentissimo di abbattere un daino palancone, un balestrone, un fusone, ma anche quando si tratta di tirare ad una femmina o ad un piccolo, perché nonostante la comune bramosia per il trofeo importante, non dobbiamo mai dimenticare che la caccia di selezione interessa tutte le fasce di sesso e di età e qualcuno deve provvedere. Ma proprio mentre cercavo d’inquadrarla nell’ottica dietro del branco apparve una “cosa strana”, che non sembrava neanche un animale. Ma che cos’era?
Nella penombra del bosco vedemmo una cosa chiara, quasi bianca che procedeva lentamente, come un uomo vecchio, claudicante e dai folti capelli candidi. Dato che ero già sdraiato in terra col bel calcio della carabina appoggiato alla spalla decisi di controllare “l’essere” attraverso il cannocchiale e cosa vidi? “Accidenti! E’ un palancone, con qualcosa di chiaro impigliato nel trofeo, come se fosse una parrucca bionda! Ed è anche zoppo!”. Nonostante la giovane età Cristiano è un grandissimo professionista che sa far bene il suo lavoro di accompagnatore. Non solo aveva già identificato, catalogato e controllato attentamente il grosso selvatico ma mi diede il via libera comunicandomi l’esatta distanza che ci separava da lui ”Ma! Sono circa 200 metri esatti. Spara pure quando vuoi.” Zoommai tutti e quindici gli ingrandimenti sulla possente spalla, diedi un piccolo pallino d’illuminazione al reticolo ed appena mi sembrò che tutto fosse al posto giusto strinsi il grilletto della Remington 700.
Un daino palancone in bramito è notoriamente uno tra i selvatici più robusti e grandi incassatori ai colpi di carabina. Il superbo selvatico, colpito perfettamente dove avevo mirato, barcollò ma non cadde. Ebbe ancora la forza di percorrere una quarantina di metri prima di arrendersi alla violenza della potente Nosler Partition da 160 grani. Dopo pochissimi minuti nella zona calò l’oscurità totale e con essa anche la nostra adrenalina rientrò nei limiti! Era fatta! Eravamo partiti per abbattere una femmina o magari un fusone per un fine alimentare ed invece ci ritrovammo ad ammirare ed a rendere gli onori ad uno splendido palancone che, sicuramente goloso di fieno, doveva aver strappato le corde che legano le balle con le corna arrotolandosele irrimediabilmente nel trofeo. La zoppia invece doveva essere stato dovuta ad un ferimento durante i cruenti combattimenti che i grossi maschi fanno per la conquista delle femmine. Quella magica sera rimarrà impressa indelebilmente nella mia mente come nel mio cuore! Rammenterò spesso sia il bel tiro sia la maestosità del selvatico, ma soprattutto la grande amicizia che mi lega ai miei due cari amici Capalbiesi. Giampiero e Cristiano che non hanno mai smesso di volermi bene e di dimostrarmi il loro affetto. Ancora grazie di tutto miei cari Amici….!
Marco Benecchi