Attivamente la categoria dei cacciatori si impegna, più o meno, su larga scala, a metter in campo delle iniziative di prevenzione, tutela e soprattutto salvaguardia dell’ambiente che ci circonda, perché senza ambiente favorevole (ambiente tutelato e “curato”) non esisterebbero manco le specie da cacciare.
La terra Calabrese, purtroppo la fa da padrone, avendo un primato, ovvero quello delle superfici boschive incendiate più estese del meridione e purtroppo questo trend aumenta di anno in anno.
Ebbene che non si dica che in Calabria la cura del territorio, dell’ambiente ed ancora di più del paesaggio non sia un tema sentito dalla categoria dei cacciatori, persone amanti della natura e dell’ambiente rurale. Fra di loro si parla di misure di prevenzione e di tutela dell’ambiente che hanno portato a conclusioni valide e proposte utlili a mitigare il problema in questione.
Quando si parla di misure o di proposte valide per il mantenimento e la salvaguardia del benessere dei territori, non si può non parlare di controllo degli incendi boschivi o di aree pianeggianti estese.
Per rimediare a tale conseguenza, spesso e volentieri causata per mano dell’uomo, si deve andare alla fonte del problema e quindi parlare di selvicoltura preventiva.
E’ proprio questo l’obiettivo della selvicoltura preventiva: ridurre l’infiammabilità del bosco per aumentare la sua resistenza alle fiamme, accelerare la ripresa della vegetazione nelle aree colpite, incrementare la sicurezza e l’efficacia delle operazioni antincendio.
Per capire quali strategie adottare, pensiamo all’ultima volta che abbiamo acceso un fuoco, una stufa o un caminetto scoppiettante. Per ottenere una fiamma brillante dovremo usare non solo la giusta quantità di legna (il “carico” di combustibile); la migliore combustione si ottiene anche scegliendo la legna più secca, quella più piccola, e formare una struttura con più strati continui che permettano allo stesso tempo il passaggio dell’aria. Sono proprio queste le caratteristiche“bersaglio” della selvicoltura preventiva: il carico della vegetazione combustibile, il suo grado di secchezza, le dimensioni dei suoi elementi, e la sua distribuzione orizzontale e verticale.
E’ possibile allora provare a “calmare” il comportamento degli incendi futuri: aumentando lo spazio tra un albero e l’altro (è l’obiettivo del diradamento e della creazione di viali tagliafuoco), riducendo la vegetazione che potrebbe permettere al fuoco di risalire le chiome degli alberi (con le spalcature dei rami secchi o con il pascolo prescritto della componente arbustiva), eliminando parte del carico di combustibile fine e secco depositato a terra sotto forma di lettiera o piccoli rami (ad esempio con la tecnica del fuoco prescritto). Si tratta di interventi impattanti sull’ecosistema bosco? Certamente sì. Ma hanno il potere di impedire eventi ancora più dannosi per il bosco e la sua biodiversità, come è stato dimostrato nelle aree trattate con selvicoltura preventiva nei grandi incendi che in Italia negli ultimi vent’anni hanno portato a perdite boschive di ettari ed ettari.
Non è necessario estendere queste operazioni su superfici molto ampie; basta partire nella gestione forestale di “piccoli” appezzamenti, per riportare ad un primo riequilibrio dell’ecologia forestale che ovviamente si rifletterebbe anche sulla fauna selvatica. Fondamentalmente si tratta di creare aree “libere” tali da aumentare le zone con assenza di ramaglie e di residui forestali che eviterebbero il cosiddetto “passaggio in chioma”, interrompendo il passaggio del fuoco e dando maggiore tempo di intervento per eventuali soccorsi.
Sono questi, insieme alla gestione delle aree immediatamente circostanti le case, i campeggi e le strade a alta percorrenza, i settori strategici dove intervenire; aree circoscritte, dove dare priorità alla sicurezza pubblica può risparmiare dalle fiamme ampie porzioni di paesaggio e della sua biodiversità.