Ho deciso di scrivere questo articolo sulla scia di quelli già pubblicati nei quali mi sono avventurato nel consigliare quali fossero a mio avviso le armi ed i calibri migliori per la caccia ad alcune specie selvatiche. Ammetto che per me è stato un azzardo trattare di carabine e di munizioni per la caccia al camoscio, perché da buon “Maremmano” purtroppo non ne ho abbattuti molti e soprattutto non ho potuto studiarli nel loro habitat naturale quanto avrei voluto.
D’altro canto, senza falsa modestia, ho un’esperienza quasi trentennale nell’uso della canna rigata (a caccia!!) ed ho anche la cocciutaggine necessaria che mi spinge ad aggiornarmi in continuazione, che mi stimola ad informarmi sulle novità e a collaudare tutto quello che gravita intorno alla nostra passione. Per questo motivo ho cercato di mettere sulla carta non solo le mie limitate esperienze, ma anche quelle di tanti amici e conoscenti che mi hanno arricchito con le loro preziose opinioni. Come nostra abitudine, cerchiamo di conoscere meglio “l’oggetto del desiderio” di molti cacciatori.
Ecco l’identikit del signore delle vette. Classe: Mammiferi; ordine: Artiodattili; famiglia: Bovidi; sottofamiglia: Caprini; tribù: rupicaprini; genere: Rupicapra Blainville 1816; specie: Rupicapra rupicapra Linneo 1758. Alcuni studiosi affermano che selvatici decisamente simili al nostro camoscio sarebbero esistiti addirittura due milioni di anni fa! Se ne conoscono oltre dieci sottospecie distribuite in tutta Europa, e grazie ad una massiccia introduzione, anche in Nuova Zelanda attualmente si contano oltre 30.000 capi. Un maschio adulto può arrivare a 140 cm di lunghezza e 85 cm di altezza al garrese. Il suo peso si aggira sui 40 chilogrammi. Il camoscio ha una temperatura corporea alta, intorno ai 39°. Può superare in quindici minuti un dislivello di 1500 metri anche alla velocità di 45 – 50 chilometri orari! Questo grazie alla sua possente muscolatura e al suo apparato cardiocircolatorio pressoché perfetto e molto efficiente.
La sua frequenza cardiaca a riposo è di 80 – 90 pulsazioni al minuto, ma durante gli sforzi può superare addirittura i 200 battiti. Il trofeo, com’è noto, è presente in ambedue i sessi ed è permanente con anelli di accrescimento annui. Il camoscio è un selvatico di medie dimensioni forte e robusto, buon corridore ed eccellente arrampicatore. Conseguentemente alla sua costituzione è anche un notevole “incassatore”.
La resistenza alle palle di carabina dipende molto dallo stato emotivo in cui si trova quando viene colpito. Se riusciamo a portarci a tiro di un becco senza disturbarlo eccessivamente, magari mentre pascola, riposa o rumina tranquillo a ridosso di una roccia, una palla di piccolo - medio calibro che abbia un’energia di circa 1300 joule a duecento metri (come un 22-250 ad esempio) è più che sufficiente per abbatterlo pulitamente sul posto. Se invece il capo è allarmato il discorso cambia. Potrebbe accadere di vederlo allontanarsi ferito pur se ben colpito da un calibro più potente.
La caccia al camoscio è sinonimo di tiri lunghi e lunghissimi. Dagli insegnamenti che ho ricevuto, sono più che mai convinto che la massima distanza dalla quale è conveniente sparare ad un selvatico sono i canonici duecentocinquanta metri. Tiri più lunghi li ammetto soltanto se si cerca di finire un animale ferito oppure, in casi eccezionali, per tentare un colpo proprio “al capo specifico”, che mancava per completare il piano d’abbattimento. Oggigiorno esistono delle combinazioni arma – ottica – munizione in grado di centrare tranquillamente un camoscio fino ed oltre cinquecento metri di distanza.
Carabine preparate come auto da corsa, ottiche a fortissimi ingrandimenti, multireticoli, dotati di compensatori di caduta e calibri tesissimi si vedono sempre più spesso sulle nostre splendide montagne. Ma abbiamo il coraggio di definire le “performance” di armi simili come delle normali azioni di caccia? A me sembra piuttosto che chi li utilizza pratichi il tiro a segno alle sagome viventi!! Ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere grandi cacciatori di camosci, come Carlo Berti, titolare della ditta Bignami, Giorgio Barbero, che non credo abbia bisogno di presentazioni; Claudio Betta, il presidente dei cacciatori trentini; Ivano Dezulian, il presidente dei cacciatori della comunità di Canazei; Tarcisio Rason, il presidente dei cacciatori di Pozza e Pera, Paolo Shina e Luciano Scacchetti, i segretari dell’UNCZA; guardacaccia e guide slovene, croate ed austriache e tanti altri appassionati di caccia in montagna che sono stati tutti concordi con me nel ritenere poco sportivo e di cattivo gusto, per non dire eticamente scorretto, azzardare dei tiri a distanze elevatissime.
Condivido fermamente chi sostiene che un camoscio è a tiro finché riusciamo a “vedergli bene l’occhio”, altrimenti è nostro dovere cercare di avvicinarci, oppure sarebbe molto più sportivo rinunciare a sparare in attesa di un’occasione migliore. Anni fa per la caccia in montagna si utilizzavano dei calibri molto radenti, per evitare che le palle finissero immancabilmente tra le zampe dei camosci.
La stima della distanza era sempre approssimativa perché non esistevano i telemetri portatili di precisione. Oggi, con l’avvento dei nuovi strumenti laser, non è più un problema misurare con esattezza le distanze. Questo enorme aiuto ci permette di utilizzare anche dei calibri meno tesi, basta affidarci alla precisione della nostra arma, alle tabelle balistiche delle munizioni scelte e conseguentemente fare le dovute regolazioni.
Calibri vecchi ma supercollaudati come il 30.06, il 308 Winchester, il 7 x 64, il 6,5 x 57 e tanti altri che non spiccano certo per linearità della loro traiettoria, sono ad oggi ancora ammessi per azzardare dei tiri a lunga distanza (max 250 mt!) a patto di compensare perfettamente la caduta delle loro palle in funzione della distanza del bersaglio. Cercherò di farmi capire meglio. Se per la caccia al camoscio utilizziamo dei calibri come il 6,5 x 68, il 264 WM, il 240 WM e il 257 WM, che tarati a duecento metri con una palla di medio peso hanno un calo a trecento metri di soli 12 - 15 cm, non ci preoccuperemo più di tanto se il selvatico si trova tra i 200 e i 300 metri, perché è sufficiente mantenere il reticolo sulla metà alta e anteriore del corpo dell’animale per essere certi di colpire il bersaglio.
Se invece utilizziamo un calibro molto meno radente, è obbligatorio conoscere esattamente la distanza tra noi e il camoscio per effettuare le giuste regolazioni sull’alzo. Torneremo sulla scelta dei calibri più tardi, adesso vorrei dedicarmi all’arma che riteniamo idonea alla caccia al signore delle vette. In montagna si deve camminare a lungo e in zone impervie, spesso su terreni in forte pendenza e sdrucciolevoli. Talora è necessario aiutarsi anche con le mani o con l’alpenstock, quindi ci occorrono armi leggere, compatte e ben bilanciate. Inoltre devono essere precisissime, dotate di una incassatura che si presti molto bene ai tiri con appoggio e devono possedere uno scatto eccellente che non ci tradisca nell’attimo cruciale.
Le carabine Bolt Action sono la scelta migliore, ma non possiamo escludere anche i basculanti come i kipplauf, i combinati e i drilling, ognuno con i propri pregi e con i propri difetti. Sulla carabina ad otturatore non c’è molto da dire perché è perfetta sotto ogni punto di vista; quel che importa, come già accennato, è la sua precisione, la sua robustezza e il suo peso, che non dovrebbe superare, completa di ottica, attacchi, cinghia e munizioni (ed anche di bipiede, per chi lo usa), i 4 – 4,2 chilogrammi. Combinati e drilling, con il loro ingombro e peso, non sono certo l’ideale, ma sono ancora ammessi più che altro per il fascino e per la tradizione che traspirano.
Come si fa a non annoverarli tra le armi da camosci quando i cacciatori di mezza Europa ce ne hanno abbattuti a centinaia per decenni? Oggi non li usa più nessuno, ma in passato molti vecchi “Jagertiroler” partivano da casa al mattino con i loro preziosi “ferri tuttofare”, per ritornare al tramonto con un bel becco e con un gallo forcello (oppure con una coppia di pernici bianche) nello zaino!! Il Kipplauf è un’arma superba, splendida, leggera, elegante, maneggevole, precisa, meccanicamente perfetta e molto altro ancora, ma per spararci con successo è necessario avere una certa pratica e un appoggio impeccabile. Ho constatato di persona che non è facile tirare con un’arma leggerissima e dotata di un’astina poggiamano molto esile, perché fai veramente fatica a tenerla ferma. L’altro accessorio indispensabile ed estremamente importante per la caccia al camoscio è l’ottica da mira. Un buon cannocchiale deve essere: robusto, impermeabile, dotato di meccanica precisa, di lenti nitide e luminose, essente da errori di parallasse, leggero, compatto e che abbia un minimo di 6 ingrandimenti per arrivare ad un massimo di dodici. Può avere gli ingrandimenti fissi oppure variabili e un obiettivo intorno ai 42-50 millimetri è più che sufficiente.
Due parole sul reticolo. Avete presente le ottiche variabili di produzione tedesca e austriaca? Quelle che con l’aumentare degli ingrandimenti aumentano anche le dimensioni del reticolo? Io le ho provate e utilizzate per vent’anni, ma mi sono sempre chiesto: ma non sarebbe meglio il contrario? Scusate, ma a me sembrano un controsenso: ai bassi ingrandimenti (che si usano in battuta e/o per i tiri a breve distanza) hanno un reticolo piccolissimo, mentre con il salire degli ingrandimenti (che dovrebbero servire per tirare a lunga distanza contro bersagli piccoli) il reticolo diventa grosso e ben marcato. Per questo motivo se dovessi scegliere un’ottica variabile per la caccia al camoscio opterei per uno che abbia i seguenti ingrandimenti: 3 – 9, 2,5 – 10, 4 – 12, 5 – 15, e che sia di costruzione Statunitense, (come gli ottimi Leupold, Redfield e Burris).
Altrimenti sceglierei un’ottica europea, ma sempre in versione “America” che, con qualsiasi ingrandimento utilizzato, il reticolo manterrà intatte le sue dimensioni. Questi cannocchiali sono facilmente riconoscibili perché di solito hanno il tubo da un pollice. E ritorniamo alla scelta del calibro. Qui lo dico e qui lo nego, conosco dei “bracco…baldi” cacciatori che hanno abbattuto molti camosci con delle carabine calibro 22 Hornet, 222 Remington e 5,6 x 50 R Magnum, anche intorno ai centocinquanta metri! Per quanto un camoscio possa essere robusto, tenace e grande incassatore, è pur sempre un selvatico di quaranta chili! Se non avessimo a che fare con i venti trasversali, con le correnti ascensionali e con la distanza elevata, calibri come il 224 Weatherby, il 22-250 Remington, il 5,6 x 57, il 5,6 x 61 Vhom Hofe Super Express andrebbero più che bene, ma visto che esistono delle munizioni che risentono molto meno dei suddetti problemi, scegliamone una compresa tra i 6 e i 7 millimetri.
Tutti quelli che possiedono una discreta radenza vanno molto bene, come: il 243 Winchester, il 6 mm Remington, il 240 WM, il 6 mm Freres, il 25.06, il 257 WM, tutti i 6,5 mm (x 55, x 57, x 65, x 68, -284), il 264 WM, i 270 (W. WM, WSM), la grande famiglia dei 7 mm (x 61 S.H., x 64, x 65, x 66 VHSE, x 75 R, 280 R, R.M., WM, WSM, STW). Includerei soltanto il buon vecchio 30.06 e la sua controparte europea: il 30 R Blaser con proiettili leggeri. La scelta della palle è soggettiva. Per il camoscio sceglierei una palla che abbia una veloce espansione con una deformazione abbastanza rapida.
Danneggia la carcassa un po di più di una normale SP, ma quando sparo ad un selvatico a lunga distanza preferisco fermarlo sul posto, per non incorrere nello spiacevole inconveniente di non trovarlo quando finalmente lo raggiungo, a volte dopo un’ora di cammino. Spesso il lavoro svolto da una buona palla sopperisce anche alle nostre piccole carenze di mira! Una delle preghiere più famose recita: “Dacci il nostro pane quotidiano”. Io mi accontento di un camoscio l’anno. Se poi sono particolarmente fortunato anche due!
Marco Benecchi
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