Ripensando alla stagione venatoria appena trascorsa, in particolare alla caccia al cinghiale in battuta, mi vengono in mente due vecchi proverbi maremmani: “Meglio pochi ma buoni” e “Tirare al cinghiale in battuta è un fenomeno….annuale!”. Parole sacrosante, primo perché preferisco abbattere pochi cinghiali ma belli grossi e magari portatori di ottimi trofei, piuttosto che una moltitudine di porcastri; secondo, perché alla fortuna davvero non si comanda! Ci sono degli anni che tiri sempre, ovunque ti mettano di posta, come altri in cui la sfortuna ti perseguita implacabile, nonostante scaramanzie o strategie che decidi di adottare. Purtroppo, o per fortuna.. questa è la caccia, anzi è proprio il “bello della caccia!”.
Come stavamo dicendo, la stagione venatoria appena trascorsa è stata molto avara d’incontri ma benevola come “qualità”! Infatti, dei pochi cinghiali abbattuti (appena dodici), molti erano davvero belli sia come mole sia come trofei. Ma iniziamo dall’inizio, dall’apertura generale! Di fagiani e di lepri ne avevo trovati il minimo storico, figuriamoci cosa avevo scovato poi ad ottobre. Speravo di rifarmi con la caccia al cinghiale, ma quando ti dice sfiga o merd.. come dicono i toscani, non devi far altro che rassegnarti, stringere i denti e sperare che vengano tempi migliori. Ho partecipato ad una lunga serie di battute, trascurando parecchio i miei cani da ferma, durante le quali non solo non ho visto l’ombra di un cinghiale, ma puntualmente tiravano sempre le poste che avevo a fianco, sia a destra sia a sinistra. Così oltre al danno anche la beffa, con la solita speranza che prima o poi la sorte sarebbe dovuta cambiare, ma quando?
Grazie a Dio la nostra è una passione sana, primordiale, che ti abitua a situazioni simili, devi solo pazientare e sperare nella clemenza “congiunta” di Diana e Sant’Umberto e di tutti i santi dei boschi perché, come disse un giorno il mio mentore, il compianto dott. Leonardo Chiri: “Ogni battuta che ti dice male è un buono di fortuna che accumuli”! Con gli anni ho dovuto dargli ragione, perché la sorte cambia sempre, a volte in bene a volte in male, ma non bisogna mai disperare ed essere sempre fiduciosi.
Dopo una apertura eclatante in Val d’Orcia, ad un “ tiro di schioppo” da Montalcino, dove ho abbattuto un bellissimo verro con un altrettanto bel tiro da lunga distanza per una larga, nelle dieci battute successive d’interessante ho visto soltanto una bella volpe! Intendiamoci bene, non pretendo di sparare tutte le volte che partecipo a una braccata, perché godermi una spettacolare canizza e una coreografica Cacciarella Maremmana è più che sufficiente ad appagare la mia passione venatoria, ma non posso certo negare che quando imbraccio una delle mie Browning BAR o la Benelli ARGO spero sempre di avere un magico faccia a faccia con il “ Re della Macchia“.
Comunque, il cinghiale più bello, il più grosso della stagione, l’ho abbattuto a Mantauto, nella riserva consorziale gestita magistralmente con passione, impegno ed anche.... tanta pazienza, dai miei cari amici di Manciano: Davide, Ivaldo, Alberto, Jones, Marco, Luca etc. . tanto per citarne qualcuno. Nella riserva si caccia soltanto la domenica, ovviamente il giorno di festa, ed ogni battuta, indipendentemente dal carniere, è davvero sempre un evento piacevole perché alle quattordici, raramente più tardi, ci si ritrova tutti insieme intorno ai fuochi per fare baldoria.
Un’altra nota positiva della AFV di Montauto è il sorteggio delle poste, così non si fa torto a nessuno. E non solo, se ti organizzi bene con gli amici più intimi, riesci a metterti di posta insieme, vicini. Quella domenica mattina, al ritrovo trovai Mirto e Maurizio che avevano già preso i bigliettini delle le poste per tutti e tre. A Mirto toccò la 28 a Maurizio la 29 e a me la 30, uno dei miei numeri preferiti. Non a caso il mio povero padre era nato nel 1930, io nel 1960 e mio figlio Giuliano nel 1990. Stando ai bene informati le nostre dovevano essere delle buone poste, piazzate a vento favorevole lungo un tratto di macchia intricatissima che s’affaccia sul mare di Pescia Romana e Fiorentina a due passi da Capalbio e l’Argentario.
Il primo a fermasi fu Mirto, che salutai con un “in bocca al lupo“ e come risposta ricevetti il solito.. “crepi”. Poi toccò a Maurizio e una trentina di metri più in basso presi posizione anch’io. In quella macchia non c’ero mai stato, quindi non conoscevo né il verso della battuta né tantomeno la potenzialità della mia posta. Durante una battuta al cinghiale è fondamentale cercare di ipotizzare sia dove possono essere le lestre dei selvatici sia le direzioni che potrebbero prendere una volta scovati. Così persi un po’ di tempo per fare il punto della situazione.
Controllai dove fossero i miei vicini per essere certo di sparare in completa sicurezza. Con occhio esperto studiai la macchia circostante per cercare d’individuare da quanti e quali passi sarebbe potuto arrivare un cinghiale e dovetti ammettere che la sorte mi aveva assegnato veramente un’ottima postazione. La visibilità era discreta fino a una trentina di metri, cosa alquanto eccezionale per essere nella macchia mediterranea.
Dopo aver sistemato lo zaino in modo che non m’intralciasse i movimenti, posizionai lo sgabellino a treppiede, diedi una rapida pulita con le forbici per potare alle ipotetiche linee di tiro e mi sedetti con la fida Browning BAR Composite calibro 30.06 di traverso sulle gambe. Mancava solo il suono del corno, che non tardò ad arrivare, allorché arretrai l’otturatore per camerare una Winchester Supreme Ballistic Silvertip originale da 168 grani in canna, controllai che la mia ottica da puntamento fosse accesa e poi cercai di rilassarmi in paziente attesa. Numerose mute dei cani vennero immediatamente liberate sopra le impronte fresche dei cinghiali, mentre i battitori si schierarono a ventaglio con il vento alle spalle. Non passarono neanche cinque minuti che dopo una brevissima abbaiata a ferma esplose la canizza.
La sentivo lontanissima, era appena percepibile, ma avanzava inesorabilmente. La grande macchina venatoria s’era messa in moto nel migliore dei modi. Man mano che il tempo passava la canizza era sempre più forte, ma non era lei a preoccuparmi, bensì l’involarsi di tordi, merli e ghiandaie. Infatti fu proprio il chioccolare delle merle che m’indusse a guardare in fondo al bosco verso la mia sinistra, dove vidi una coppia di cinghialotti di una quarantina di chili attraversare un breve tratto scoperto. Imbracciai la BAR ma dalla direzione che avevano preso stavano andando dritti in bocca a Mirto, così li lasciai stare. Il rispetto del tiro è per me la regola più sacra nella caccia in battuta. Poco dopo sentii uno sparo, un grugnito e vidi rotolare in discesa il primo cinghiale Pochi attimi dopo la scena si ripeté ed anche il secondo andò a fare compagnia al primo. Bravissimo Mirto.
Aveva fatto una coppiola stupenda, anzi memorabile, se si considera che usa un express Zoli sovrapposto. Two shots two kills! Stando agli spari ipotizzai che sul versante opposto del monte si stessero divertendo parecchio. Pensai alle poste in alto con un pizzico d’invidia, curioso di sapere come stesse andando la battuta da quelle parti. Comunque a ogni secondo che passava l’abbaiare dei cani si faceva sempre più vicino, avevano addirittura superato il crinale.
Cosa avrei dato per conoscere il vantaggio che il cinghiale aveva sulla muta! Cominciavano a sudarmi le mani, così imbracciai la Browning per controllare che il punto rosso fosse acceso, poi la riabbassai ma sempre pronta. Ora la canizza era a meno di cento metri! Concentrai tutti i sensi in quella direzione ed ecco che sentii quello splendido, emozionantissimo rumore che provoca un cinghiale quando si avvicina alle poste. Si, perché se qualcuno mi chiedesse quali sono le cose che più mi appassionano di una battuta gli risponderei: la canizza, il lavoro dei bracchieri e dei battitori e soprattutto il passo furtivo di un cinghiale quando si avvicina alla posta. Quel trotto inconfondibile, silenzioso ma non troppo, che ti fa saltare il cuore in gola quando lo senti e quando lo riconosci. Quell’animale doveva essere anche grosso. Con la coda dell’occhio vidi che anche Maurizio doveva averlo sentito, perché era pronto col fucile ben imbracciato.
Intanto la canizza veniva verso di noi veloce, troppo per avere davanti un cinghiale grosso. Di solito i verri o meglio i vecchi solenghi vengono più piano, camminano quasi svogliati perché sono restii a lasciare le lestre, spesso ingaggiano lotte furiose con gli ausiliari e difficilmente scelgono di fare lunghe fughe. Così mi preparai aspettandomi di veder apparire da un momento all’altro un cinghialotto di media mole come quelli abbattuti da Mirto, invece… La macchia sembrò esplodermi davanti, lasciandomi appena il tempo di mettere il red dot del Leica su una grossa sagoma pelosa di colore grigio-bruno e tirare due colpi prima che mi travolgesse. Benedettissima combinazione BAR, Tempus, Winchester Ballistic Silvertip!
Avevo abbattuto un grosso solengo che stimai bel oltre il quintale, portatore anche di discrete difese. Era proprio quello che ci voleva per farmi dimenticare il lungo periodo di magra. La muta sopraggiunse come un fiume in piena e prese a ringhiare e ad azzannare il cinghiale morto. Nonostante mi fossi premunito di una grossa frasca, riuscii a stento a rimandarli tutti i cacciata.
Nelle ore che seguirono fu tutta una cacofonia di canizze e di spari. Non avvistai più cinghiali ma quella massa di setole, muscoli e zanne che avevo ai piedi era la conferma che finalmente la fortuna stava proprio girando. Intanto le canizze si susseguirono e, con il morale alle stelle mi stavo godendo la battuta come soltanto i canai di Montauto sanno organizzare.
La mattinata era molto assolata ma nel sottobosco regnava una cupa penombra. Ai margini del mio campo visivo mi sembrò di percepire qualcosa d’insolito. Dove prima c’era un raggio di sole ora c’era un’ombra scura. Un capriolo si stava avvicinando furtivo per cercare di forzare la linea delle poste. Portai lentamente la BAR alla spalla e lo mirai col dito ben lontano dal grilletto. Giusto per il piacere di tenerlo un po’ sotto mira. L’astutissimo animale, come avvertì la mia presenza scattò subito verso il fitto e con pochi lunghi salti si guadagnò la libertà.
Come passa il tempo quando ci si diverte! Non mi ero accorto che si era fatto tardi, da lì a poco avremmo dovuto smettere per andare a pranzo al Rialto, dove dei vecchi amici, improvvisati cuochi, erano impazienti di mettere a scaldare le loro specialità. Dapprima arrivarono i cani seguiti poi dai loro bravi conduttori, che mi aiutarono mettere in posa il grosso solengo per le immancabile foto di rito.
Questa bella avventura che ho avuto la fortuna di vivere nei boschi di Montauto, nel cuore della Maremma Toscana, deve essere da monito per tutti quei colleghi cacciatori di cinghiali che a volte vengono presi dallo sconforto se per un lungo periodo non sparano al cinghiale. Date retta a me, non arrendetevi, non rassegnatevi ma continuate ad andare a caccia con serietà e passione e vedrete che le soddisfazioni non mancheranno di arrivare. Dimenticavo..per smacchiare il cinghiale occorsero più di dieci persone e chi volesse vedere quel goliardico recupero può farlo guardando il mio filmato su you tube!
https://www.youtube.com/watch?v=7xR3OyIII9I
Marco Benecchi