“Quando vai a caccia non sai mai cosa la vita ha riservato per te quel giorno!” Ho ripetuto talmente tante volte questa frase da averne perso il conto, perché è inutile fare progetti, studiare nuove tecniche o sperimentare stravaganti strategie, tanto alla fine è sempre il destino, o il fato a dir si voglia, che determina il risultato finale di una battuta, nel bene e nel male, senza se senza ma. Nell’ambiente venatorio di un certo livello è noto che esistono grandi cacciatori, che pur di catturare un selvatico molto raro o dal trofeo particolarmente importante spenderebbero una fortuna, sia in fatto di tempo sia in vil denaro. Sarebbero capaci di tutto pur di togliersi la soddisfazione di essere riusciti dove in molti hanno fallito.
Personalmente credo che questo non sia un fenomeno da criticare, anzi, caso mai dovrebbe essere il contrario, perché quando si possiede una grande passione e i mezzi necessari per appagarla con impegno e serietà è sempre un bene. Ovviamente manie e fissazioni sfiorano la malattia ma se un cacciatore desidera cacciare un selvatico particolare, senza arrecare alcun male agli altri, perché non può farlo? Detto ciò, senza scomodare le grandi pecore asiatiche, i trofei europei Kapital e le anomalie che si possono trovare in natura come melanismo, albinismo e altre forme strane, chi di noi non ha mai avuto un sogno, diciamo venatorio, nel cassetto? Magari un cinghiale dalle difese spaventose, un camoscio di vent’anni dal grande trofeo uncinato, un cervo coronato di tredici chilogrammi o un capriolo col palco da oltre 700 grammi di peso?
Personalmente ho cacciato moltissimo il Folletto Rosso dei boschi, riuscendo addirittura ad abbattere due esemplari albini, una femmina con le corna ed un piccolo col trofeo di un adulto, ma il mio sogno è sempre stato quello di catturare, o almeno riuscire semplicemente di vedere, un capriolo parruccaio, oppure un maschio dal trofeo particolarmente interessante, raro, anzi magari…unico, senza averlo mai cercato né visto prima! Immagino l’emozione che un cacciatore possa provare quando accadono questi fenomeni, se capisci oppure no l’immenso regalo che ti viene fatto dalla vita. Ecco, io sono uno di quei, spero tanti cacciatori a cui per l’ennesima volta il destino ha voluto fare ancora un splendido regalo, chissà, forse come premio, per quanta passione ed impegno ha dedicato alla caccia in tutte le sue sfumature per tutta la vita. La caccia di selezione al cinghiale è aperta più o meno tutto l’anno, mentre quella estiva al capriolo procedeva nell’intero ATC piuttosto male, forse a causa della tremenda siccità che imperversava, ma anche sicuramente per l’eccessiva, devastante presenza di branchi di famelici lupi, ormai divenuti una piaga dilagante in tutta Italia.
Dal registro interno del nostro distretto sapevo che erano stati abbattuti alcuni maschi ma non mi risultava che tra essi ci fossero portatori di trofei eccezionali. Anche io, come tutti i cacciatori del comprensorio, ero geloso delle mie zone, che monitoravo frequentemente sia il mattino sia la sera, ma di movimento di selvatici ne vedevo sempre meno e più di cinghiali che di caprioli. Fu così che decisi di dedicarmi maggiormente alla caccia dell’irsuto piuttosto che a quella al timido cervide. E una fresca mattina di metà giugno (si fa per dire..), presi dalla rastrelliera la mia ultra fidatissima carabina Bergara B 14 Green Hunter calibro 308 W, equipaggiata con un bellissimo cannocchiale Delta Titanium HD 2,5 – 15 x 56 con reticolo illuminato e me ne andai speranzoso a cacciare in una zona dove sapevo che qualche cinghiale era solito frequentare un campo seminato a biada. Come mia abitudine arrivai in zona presto, ma non prestissimo, controllai che la direzione del vento fosse favorevole e poi cercai di far coincidere al minuto il raggiungimento dell’appostamento con la luce necessaria per poter tirare con precisione. Volevo essere operativo appena sarei arrivato nel punto esatto da dove avrei avuto una completa visuale del campo seminato, pronto ad ogni evenienza con la carabina carica, senza sicura e i copri lenti dell’ottica aperti.
All’alba da quelle splendide colline si ha una vista davvero mozzafiato, tanto che se ti soffermi a guardarla può capitare anche di distrarti. Mi riscossi dal torpore provocato da quella visione idilliaca per impugnare il mio Leica Geovid 8 x 56 HD e nelle limpidissime lenti avvistai immediatamente una singola, quanto inconfondibile sagoma, china a cibarsi dei ghiotti, succulenti chicchi di biada. Evidentemente il grosso cinghiale doveva essere già fuori nel campo chissà da quanto tempo, perché mangiava e camminava contemporaneamente, avvicinandosi lentamente al limitare del bosco. Il selvatico doveva aver già riempito il suo grande stomaco e sicuramente non vedeva l’ora di rientrare nel folto per riposare tranquillamente nella penombra del suo forteto. Ma la sua ingordigia e la sua golosità gli costarono la vita. Mollai il binocolo, impugnai veloce la Bergara già pronta al tiro con in canna una cartuccia ricaricata con palla Nosler Ballistic Tip da 165 grani, cercai un buon appoggio dove adagiare il bipiede Harris e mi preparai al tiro. La distanza era sui 100 metri, forse addirittura meno, avrei potuto quindi tentare un tiro “chirurgico” alla testa o al collo, ma siccome l’intero animale a volte scompariva in quel mare verde pallido, mirai alla spalla e feci fuoco.
Il tiro fu ottimo e l’abbattimento perfetto solo che avrei dovuto organizzarmi bene per il recupero per due ottimi motivi: primo perché il cinghiale era un bell’animale di circa una ottantina di chili, secondo perché, trovandosi all’interno di un campo coltivato, avrei dovuto sollevarlo di peso per non rovinare la preziosa cultura in atto. Operazione impossibile da fare da solo, così chiamai i miei due soliti amici-colleghi che non si fecero pregare per aiutami nell’ardua impresa. Non era ancora sorto del tutto il sole che mi ero già ritrovato con un bel cinghiale da sistemare nel bagagliaio della macchina, ma la giornata era ancora giovane e stranamente con il sopraggiungere del giorno non erano cresciuti né il calore, né il senso di arsura e neanche il fastidio provocato dagli insetti. Come ho già detto, credo che doveva essere stato tutto scritto sin dall’inizio perché, invece di raccattare tutte le mie cose come avrebbero fatto in molti ed andare a sistemare per bene la spoglia del verro abbattuto, presi una decisione insolita, che non faccio quasi mai. Decisi di chiudere l’uscita al cinghiale e di aprirne una nuova al capriolo, visto che le zone di caccia sono più o meno le stesse. Durante le fasi della caccia sono molto metodico, piuttosto monotono. Dopo aver rimpiazzato nel caricatore la 308 sparata ripetei alla lettera le stesse operazioni fatte poco tempo prima. Carabina nel fodero , zaino in spalla e via.
Ogni buon selecontrollore sa bene che il capriolo è un ungulato decisamente particolare, molto timido, schivo, furbo ed anche scaltro ma ha una caratteristica che lo contraddistingue: possedendo uno stomaco piuttosto piccolo ha bisogno di cibarsi poco ma..spesso! Infatti non è raro vederlo apparire in un prato alle ore più impensabili del giorno. Occorre avere solo un po’ di fortuna e tanta pazienza. Io di fortuna ne avevo avuta già abbastanza, di pazienza ne ho forse il giusto, poi, standomene comodamente seduto dietro ad una grossa pietra che avevo scelto come appoggio, non mi annoiavo di certo perché dovevo mandare per Wapp le foto del cinghiale appena abbattuto ai miei amici “rosiconi”! Comunque, forse nel sublimale, me lo sentivo che sarebbe dovuto accadere qualcosa di straordinario, perché ogni tanto mi affacciavo fuori dal mio riparo per vedere se nei prati antistanti fosse uscito qualcosa d’interessante.
Durante l’ennesimo “capolino” mi sembrò di scorgere dei piccoli movimenti sul limitare del bosco. Uno in particolare attirò la mia attenzione, come se un ramo di un albero venisse strattonato leggermente verso il basso. Incuriosito, misi via il telefonino e decisi d guardare meglio quel perimetro di bosco direttamente attraverso l’ottica da mira! Ci sono delle zone in Maremma dove i selvatici sono veramente elusivi, si fanno vedere per pochissimi minuti a tutte le ore del giorno e quando hai l’occasione di avvistarli devi essere velocissimo nel valutare il capo e conseguentemente nell’eseguire il tiro, specialmente ora che ci sono in giro più lupi che ungulati! La carabina era immobile sul suo bel bipiede, già puntata verso un cespuglio da dove, poco dopo, s’affacciò una sagoma rossiccia.
Caspita, è un capriolo! La distanza questa volta era vicina ai duecento metri, così usai i forti ingrandimenti del cannocchiale come un mini spektive per valutare il sesso e la classe di appartenenza dell’animale. Vidi subito che era un maschio adulto, ma nell’ombra della vegetazione non riuscivo a valutare bene l’entità del trofeo. Cercavo un maschio adulto, lo avevo a tiro, cosi non persi del tempo prezioso e mi predisposi subito dietro l’arma, posizionando il reticolo sulla spalla quattro dita sopra il centro. Quando percepii che tutto fosse al posto giusto: respirazione, arma, posizione del selvatico.. sparai. Con l’ottimo appoggio che avevo, vidi il capriolo cadere sull’ombra direttamente all’interno dell’oculare del cannocchiale e fui soddisfattissimo del risultato. Colpo e abbattimenti perfetti.
Scaricai l’arma, recuperai il bossolo sparato, raccolsi tutta la mia attrezzatura e mi avviai a concludere quella splendida giornata di caccia senza che niente che mi facesse presagire quel che avrei trovato ad attendermi. Nel punto in cui era caduto il capriolo l’erba era piuttosto alta così persi tempo a trovarlo, ma quando infine ne individuai il corpo in un piccolo avvallamento e mi avvicinai per ammirarne il trofeo da vicino rimasi letteralmente senza fiato. E dire che di esperienze venatorie eccezionali ne ho vissute davvero tante nella mia lunghissima carriera di cacciatore. Potete credermi sulla parola, quel che vidi mi ..disorientò.
La mattinata era cominciata decisamente bene, ma chi se lo sarebbe mai immaginato che sarebbe finita in quel modo? Se non ho abbattuto il più bel capriolo nella storia di tutta la caccia in Maremma, sicuramente è stato il più particolare, il più.. raro! Il sogno proibito di molti cacciatori italiani, anzi forse di tutto il mondo! E averlo catturato in una zona dove praticamente caccio tutto l’anno praticamente da sempre è stata una soddisfazione indescrivibile, intensissima. Pensai che un trofeo così dovevano averlo visto davvero in pochi o forse nessuno! Per la descrizione del palco vi rimando alle foto allegate. Ritengo praticamente superfluo ogni commento. Per qualche ora (ma lo sono tuttora!) fui l’uomo più felice dell’universo e non ho vergogna ad ammetterlo. Mi toccò richiamare uno dei miei soliti amici (che lavorava poco distante) perché un animale così doveva essere immortalato nella zona di caccia dove aveva vissuto , dove era entrato nella leggenda e dove paradossalmente io gli avevo dato “l’immortalità”.
Dov’ero, potevo godere di un paesaggio splendido, con il sole nascente che illuminava progressivamente Capalbio, Manciano e tutti gli immensi boschi, i campi coltivati e i prati selvaggi che li circondano. Stavo davvero vivendo un sogno in un ambiente da favola. Spero che le fotografie che corredano il racconto siano in grado di esprimere al meglio la bellezza e l’unicità di quel magnifico animale e del suo eccezionale trofeo, che tuttora è oggetto di studi e di ricerche, non solo da parte dell’ATC di cui faccio parte, ma da molti amici e conoscenti appassionati che, come m, sono curiosi di capire come possa essersi formato un palco simile, un nove punte anomalo di questo genere. Per ultimo vorrei ricordare a tutti i colleghi selecontrollori italiani che nel nostro splendido paese ci sono bellissimi animali e che non bisogna mai disperare d’incontrarli. Occorre continuare a cacciare con passione e dedizione, sperando un bel giorno che la fortuna decida di farci un bel regalo!
Marco Benecchi