Nella Regione Toscana la caccia di selezione al cinghiale si può praticare quasi tutto l’anno, ma un conto è cacciare il Re della Macchia in inverno quando è molto elusivo, diffidente e scaltrissimo, perché perennemente stressato da mute di famelici cani dal primo di ottobre a fine gennaio, un altro è insidiarlo invece in estate mentre grufola tranquillo nelle stoppie di grano, di orzo o di biada. Detto ciò, è chiaro che, nel secondo caso, la caccia diventa “davvero selettiva”, nel senso che hai tutto il tempo di poter intervenire dove, quanto e quando vuoi, scegliendo di prelevare sempre il capo giusto. Ed io per capo giusto intendo i maschi solitari, quelli che fanno davvero i danni non solo alle culture in atto, ma anche alle strutture agricole e a volte persino agli animali domestici. Se poi sono grandi e grossi con ottimi trofei meglio ancora, ma credetemi, non è una scelta dettata dalla sola eterna ambizione venatoria dell’abbattere sempre il selvatico maschio e portatore di trofeo. Vorrei ricordare che lo scopo principale della caccia di selezione è quello di cercare di mantenere in buona salute la specie, preservando le scrofe figliate e i giovani promettenti, compatibili con la sostenibilità del territorio.
Con il proliferare indiscriminato dei lupi è notevolmente aumentata anche l’aggressività dei grossi cinghiali, così eliminare pulitamente dei vecchi solenghi prima dell’apertura della caccia in battuta può contribuire addirittura a salvare qualche buon ausiliare magari troppo impetuoso. Poter andare a caccia all’aria aperta in completa solitudine e in piena libertà è per me il vero toccasana per tutti i mali. Assistere al sorgere del sole avvolti dalla natura selvaggia, ridente e canora è una delle più belle sensazioni del mondo, praticamente la stessa che provai anche una meravigliosa mattina d’inizio luglio quando ebbe la fortuna d’incontrare il vero Re della Maremma in tutta la sua possenza! Nelle zone che normalmente frequento si vedeva sempre meno movimento di cinghiali, non dico che non ce ne fossero, solo che ne percepivo una certa carenza, sia reale sia apparente. Il terreno, si sa, non mente mai e di tracce di presenza ne trovavo poche anche in zone notoriamente ricchissime di selvaggina. Ma come ben sanno gli amici che mi conoscono da tanti anni, ci vuole ben altro per farmi stare a casa. Secondo molti colleghi cacciatori il momento migliore per tentare di sorprendere un cinghiale all’aspetto è il tramonto, all’imbrunire, quando gli irsuti lasciano le loro lestre nel fitto della macchia per andare a mangiare girovagando per i campi aperti, ma dato che al mattino presto non ho quasi mai molti impegni, io preferisco uscire all’alba, col fresco. Quel memorabile mattino arrivai sul posto che era notte fonda e, dopo aver parcheggiato la macchina sotto una quercia secolare, silenzioso come può esserlo soltanto un vecchio veterano della caccia alla cerca, m’inoltrai in un immenso campo di stoppia d’orzo, camminando parallelo al limitare del bosco.
Non essendo proprio a vento “buonissimo”, volevo evitare d’inquinare troppo la zona con il mio odore; come raggiunsi una gigantesca rotoballa di paglia dove poter appoggiare la mia Bergara Green Hunter calibro 308 Winchester decisi di fermarmi. La mia B 14 è equipaggiata con un ottimo cannocchiale Delta Titanium 2,5 – 15 x 56 HD, con cartucce ricaricate con palla Nosler Ballistic Tip da 165 grani e con un bipiede tattico Harris medio snodato. Alle quattro e mezza ero in posizione e ben integrato con l’ambiente circostante, con una leggera brezza che mi colpiva di tre quarti e il sole che stava cominciando a rischiarare da est un grosso campo color giallo pallido, a ridosso di un divieto di caccia notoriamente ricchissimo di selvaggina. Il mio intento sarebbe stato quello di riuscire ad intercettare gli animali che volessero rientrare. Tanti anni fa nell’amata Maremma i vecchi cacciatori facevano la posta ai cinghiali che venivano a razziare i loro campi coltivati, appostati sopra ad una grossa quercia o ad un ulivo, oggi i tempi sono cambiati. La carabina di grosso calibro munita di ottica da mira molto luminosa ha preso il posto della doppietta a cani esterni, caricata a terzarole, e conseguentemente anche la strategia da adottare è diversa. Da dove mi trovavo, avevo un campo di tiro stupendo di 180°, avrei dovuto soltanto decidere dove orientare la mia attenzione, e quindi anche la carabina adagiata sul bipede davanti, verso destra oppure verso sinistra. Ero molto ottimista perché, nonostante l’appostamento fosse più o meno improvvisato, grazie alla conformazione favorevole del terreno e all’appoggio offerto dall’altana maremmana, la rotoballa di paglia, avrei avuto un campo di tiro pressoché perfetto. Leggermente spostato sulla mia destra, si ergeva minacciosa la più alta collina di tutta zona e guardandola, non so perché, mi venne in mente la caccia al camoscio, la mia caccia preferita, nonostante io sia Maremmano Doc di nascita e di tradizione! Per un momento mi lasciai trasportare dalla fantasia, immaginando come avrei dovuto organizzarmi per poter tirare ad un bel becco, semmai lo avessi visto comparire su quella cima, bellissimo, nero come il carbone, stagliato nitido contro il cielo terso e luminoso. Solo che non eravamo sulle Alpi e la collina non era rocciosa, cosparsa di rododendri e di erba olina ma era calva ed interamente ricoperta da una stoppia compatta e rinsecchita, dove un camoscio sarebbe morto di caldo o d’inedia. Mi trovavo nell’entroterra capalbiese bruciato dall’arsura e sotto l’attacco di nugoli d’insetti molesti come tafani, zanzare e moscini, senza che avessi neanche il permesso di potermi lamentare, perché, come dice sempre mia moglie Nadia: “Mica te lo ha ordinato il dottore di andare a caccia tutti i santi giorni dell’anno!”. Come potrei dagli torto? Appena le condizioni mi permisero di poter mirare con buona precisione, accesi il dot del reticolo, mantenendo piuttosto bassa l’intensità dell’illuminazione, tolsi la sicura alla Bergara poi presi a binocolare con il Leica Geovid 8 x 42 HD tutta la zona che avevo davanti.
Sono quasi sicuro che se non mi fossi cosi fissato con quel monte, con la sua cima nostalgica e con la caccia al camoscio che mi consigliava sublimemente di guardare più in alto che in basso, forse non mi sarei accorto (o magari l’avrei avvistato troppo tardi) che proprio sul crinale si stagliava nel cielo una grossa, quanto inconfondibile sagoma scusa. Ammazza quant’è grosso! Fu il mio primo pensiero. Imbracciai veloce il ruvido calcio sintetico della B 14 e presi a traguardare il cinghiale direttamente attraverso le lenti del cannocchiale. I cinghiali che si attardano in pastura più del previsto, sono sempre piuttosto lesti durante le fasi di rientro. Non dico che arrivano di corsa come se fossero inseguiti da una muta famelica di cani, ma solo che tengono un’andatura piuttosto veloce. Quel grosso verro invece era molto lento, come se procedesse al rallentatore, evidentemente era tranquillo, sazio e ignaro del pericolo incombente. Ben presto mi ritrovai dalla notte all’alba quasi senza accorgermene ed allora tutto diventò frenetico per prepararmi al tiro. La distanza era sui duecento metri, che non tanti ma neanche pochissimi considerando che l’animale era in leggero movimento. Poi, visto il dislivello che mi separava dal bersaglio, cercai di calcolare anche un minimo di angolo di sito, controllai che gli appoggi anteriore e posteriore fossero perfetti, posizionai il reticolo sul grosso testone come a volergli dare anche un piccolo anticipo e quando mi sembrò che tutto fosse perfetto sfiorai il grilletto. Il tonfo della palla che colpiva qualcosa di solido mi arrivò distintissimo e immediatamente dopo il grosso cinghiale cominciò a ruzzolare in discesa, come avevo visto fare diverse volte proprio nella caccia al camoscio, quando i capi abbattuti precipitano rovinosamente verso valle. Fu una scena tanto insolita quanto spettacolare! Ricaricai veloce e rimasi in punteria ma quando quella enorme massa di carne, muscoli, setole (poche perché era in muta estiva!) e zanne finalmente si fermò, era completamente esanime. La potente, letale, efficientissima palla Nosler Ballistic Tip da165 grani doveva aver svolto un lavoro eccezionale, come sempre, confermando, semmai ce ne fosse stato bisogno, che il 308 Winchester è uno dei migliori calibri per la caccia a palla ai medio – grossi selvatici mai concepito.
A quel punto mi rilassai, perché ormai il danno, se cosi possiamo definirlo, era stato fatto. Perché, come dice il mio amico fraterno Luigi: “A sparare sono buoni tutti! E’ dal recupero e dalla preparazione della spoglia che si vede la passione, la tenacia e l’abilità del cacciatore!” Raccolsi il bossolo sparato, rimpiazzai la cartuccia sparata, mi feci coraggio ed andai a vedere. Fu come camminare in un campo minato, sopra ad un letto di petardi, la stoppia scoppiettava sotto gli scarponi. Giunto a pochi metri dalla grossa sagoma immobile, vidi spiccare nitide due meravigliose difese scintillanti. Era un solengo davvero enorme, non seppi stimarne con precisione il peso, specialmente col manto estivo, ma come minimo centocinquanta chilogrammi doveva farli di sicuro. Quindi praticamente impossibile da smacchiare da solo, o forse neanche in due – tre persone. Per questo motivo occorre tenersi buoni gli amici che vivono in zona! Ne chiamai addirittura tre “Veri e Sinceri”, di quelli che non possono proprio dirti di no! In quattro girammo e rigirammo il grosso solengo per controllare dove l’avevo colpito e il lavoro svolto dalla potente Nosler BT. Anche se una palla ad espansione controllata che colpisce tra testa e collo è sempre risolutiva, indipendentemente dal calibro utilizzato. Quello che seguì fu gioia pura. scattammo diverse foto coi cellulari (qualcuna davvero molto simpatica!!!), perché un animale simile doveva essere immortalato come si deve, poi procedemmo con il recupero che fu tutt’altro che facile.
Non so se le foto siano in grado di rendere giustizia all’imponenza del bellissimo animale o quanto sia potuto pesare realmente, perché non abbiamo avuto modo di poterlo verificare con precisione, avendolo eviscerato sul posto per facilitare il trasporto. Posso soltanto dirvi che per sollevarlo e appenderlo col mio vericello ci riuscimmo a stento e dovetti farmi prestare da un macellaio dei ganci molto robusti perché quelli che invece uso abitualmente li deformò tutti! Insomma, ancora una volta Mamma Maremma mi aveva fatto un bel dono, come sa fare soltanto Lei quanti ti comporti bene sul suo territorio, cacciando sempre con lealtà, passione e rispetto per le regole scritte e quelle tramandate!
Marco Benecchi