In Umbria la caccia al cinghiale in battuta si apre in ottobre e si chiude a dicembre, mentre in Maremma laziale inizia a novembre e si chiude a gennaio. Così, da buoni vicini di casa, per aumentare il periodo da dedicare alla caccia all’irsuto in braccata ci si aiuta ovviamente scambiandosi qualche invito! Grazie agli interscambi regionali e alla mobilità venatoria, i miei carissimi amici di Castel Viscardo, paesino famosissimo in tutto il mondo per la produzione di mattoni e di piastrelle, cotte ancora col vecchio metodo tradizionale a legna, mi invitano volentieri in ottobre, dandomi la possibilità di ricambiare la cortesia in gennaio.
Fu così che io e il mio compagno d’avventure Alfonso decidemmo con entusiasmo -che era la prima volta che riprendevamo tra le mani la semiautomatica da diversi mesi - di andare a caccia dall’amico Fabrizio, nel cuore dell’Umbria “Orvietana”. Giungemmo a destinazione che ancora era notte fonda e la prima cosa che ci colpì fu il freddo. Me l’aspettavo una temperatura simile, perché già in passato avevo sofferto moltissimo stando appostato immobile per ore e ore lungo il fiume Paglia, ma per essere ai primi di ottobre, dove a casa mia potevi ancora andare al mare a prendere il sole, la temperatura era davvero rigidissima. Mi venne il sospetto che in quella zona dovesse far freddo anche a Ferragosto! Con piccolissime, trascurabili differenze, le squadre di caccia al cinghiale sono quasi tutte uguali, dalla Sicilia al Piemonte. Al ritrovo, o rialto come lo chiamano i toscani, trovi sempre gli stessi personaggi: il vecchio quasi novantenne con gli occhi acquosi ma vispi , che bramano di veder correre ancora cinghiali; il giovane imberbe, fresco di licenza, ancora assonnato perché la sera prima ha fatto tardi in discoteca; tutti immancabilmente accomunati dalla stessa irrefrenabile passione per la caccia al Signore delle Macchie italiane, già belli e pronti con i gilet arancioni indossati e le cartuccere ben stette sul ventre.
Fabrizio, il nostro “benefattore”, l’uomo che aveva reso possibile trascorrere una bella giornata insieme a quell’allegra compagnia, non perse tempo con i soliti convenevoli e procedette ad organizzare subito la battuta. Dopo una velocissima presentazione e sbrigata la burocrazia necessaria, ci sollecitò di partire, perché quella che avremmo dovuto battere quel giorno era una zona molto grande e scomoda, quindi setacciarla tutta a dovere per cercare di fare una bella cacciata avrebbe richiesto molto tempo.
Fabrizio, oltre ad essere un appassionato di patch e di frasi ad effetto sulla caccia al cinghiale, è soprattutto un buon Capocaccia, così fece in modo che io ed Alfonso ci schierassimo insieme sullo stesso fronte, in modo da farci stare più tranquilli e in maggiore sicurezza, conoscendo bene i vicini di posta. Definire quella zona meravigliosa sarebbe sembrato come denigrarla. Eravamo appostati lungo la riva del fiume Paglia, in una stretta insenatura lunga almeno un chilometro, di una bellezza mozzafiato. Una magica combinazione di luci e di umidità rendeva quel posto idilliaco, fiabesco.
Noi, dieci cacciatori, avremmo dovuto presidiarla tutta ed io mi ritrovai appostato esattamente equidistante tra Alfonso ed un altro amico di Castello. Dopo aver posato lo zaino e sistemato il provvidenziale sgabellino a treppiede, caricai la mia BAR Long Trac Composite calibro 30.06, dotata di collimatore elettronico Leica Tempus, montato su una basetta fissa ideata da me, ma costruita dal buon Alessandro Contessa. Riempii il caricatore con cinque cartucce ricaricate, alternando delle palle Winchester Ballistic Silvertip da 168 grani con delle SPCE ceke da 150, che nella mia arma si sono dimostrate veramente molto valide. Definii con i miei vicini di posta i nostri rispettivi angoli di tiro e mi accomodai in attesa.
A me le battute di caccia al cinghiale piacciono tutte, indipendentemente dalla zona, dai cacciatori, dai cani, dai vicini di posta, dal tempo e dalla temperatura, ma quando mi trovo di posta nelle vicinanze di un fiume pieno di pietre, devo ammettere che la braccata mi piace molto meno. Una tremenda siccità aveva relegato il Paglia a semplice ruscello, con poca acqua che scorreva pigra e il rischio che qualche palla rimbalzasse su quei grandi massi smussati era tutt’altro che remota.
Dopo neanche dieci minuti che ero appostato accadde l’impensabile, una piccola, vera “tragedia venatoria”! Avendo piena fiducia su Alfonso che stava alla mia sinistra, concentravo il mio interesse più verso destra, perché non conoscendo bene il cacciatore che c’era di posta, non sapevo se fosse un abile tiratore oppure uno poco pratico della zona. Poi, col sole che stava sorgendo alle mie spalle, in quella direzione vedevo meglio l’illuminarsi progressivo del tratto di fiume che stavamo presidiando.
Ad un tratto sull’altra sponda percepii un movimento. Caspita, vidi subito che erano dei cinghiali che, furtivi, cercavano di rientrare nel divieto che avevamo alle spalle prima ancora che iniziasse la battuta. Sperai che la posta al mio fianco li avesse visti anche lui e che cominciasse a sparagli subito dove si trovavano ora, in modo da sbrancarli… invece lungo il Paglia regnò il silenzio. Quel che seguì fu un po’ l’incubo di ogni cinghialaio, vedere un grosso branco di cinghiali, composto da non meno di una ventina di animali, uscire indenne dalla battuta senza che nessuno avesse avuto la possibilità di potergli tirare un colpo.
Non solo, al danno seguì anche la beffa, perché gli animali, prima di attraversare il fiume, si fermarono tutti compatti nel letto sassoso, formando una vera e propria”diga di cinghiali”! Mi venne da pensare che se i selvatici, da quanti erano, si fossero coricati tutti insieme contemporaneamente, avrebbero potuto davvero arginare il corso dell’acqua. Il mistero che mi opprimeva era sapere perché quel cacciatore ancora non sparava, cosa stava aspettando.
Dopo la breve sosta nel bel mezzo del letto del fiume, la grossa scrofa capobranco partì in direzione del bosco, portandosi dietro tutti gli altri, lasciandoci a bocca asciutta. Soltanto allora sentii qualcuno strillare “I cinghiali, i cinghiali”, ma ormai era troppo tardi. Dal vociare che mi giunse ci volle poco a capire che dove era passato il branco la posta non c’era, che doveva essersi spostata. Infatti, a fine battuta venimmo a sapere che il cacciatore incriminato si era allontanato per andare a trovare il collega più vicino, per lamentarsi del freddo che faceva e, perché no, per cazzeggiare un po’, come fanno spesso molte poste prima dell’inizio di una battuta, invece di stare attentissime al loro posto.
Ma l’avventura tragicomica era appena all’inizio perché, mentre il malcapitato correva per tornare al suo posto, un altro branco composto da sette – otto capi guadò illeso il Paglia nel punto esatto dove erano passati anche gli altri, postandosi dietro solo più bestemmie e grida invece che pallottole. Per fortuna, si fa per dire, i cinghiali non erano usciti tutti dalla cacciata e riuscimmo comunque a incernierarne qualcuno. Uno lo presi anche io, con un bel tiro da una quarantina di metri in corsa. Alle tredici in punto decisi che era giunta l’ora di guardare cosa mi aveva preparato per pranzo la mia dolce mogliettina.
Misi mano allo zaino e scoprii con piacere che non avevo che l’imbarazzo della scelta tra pane e prosciutto, pane e frittata, frutta, noci e biscotti, non per niente era domenica quindi il dolcetto era d’obbligo! Mangiai con gusto, poi telefonai a casa per ringraziarla ed anche per ricordargli, che se avessi fatto tardi, avrebbe dovuto accudire Ugo, il mio merlo maschio, la mascotte di casa! Nonostante quel che accadde, l’avventura umbra a Castel Viscardo fu davvero molto bella e simpaticissima. Mi aiutò ad avere la conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, che durante una cacciata al cinghiale NON BISOGNA MAI ABBASSARE LA GUARDIA. MAI! Non ci devono essere scuse, né per il troppo caldo, né per il troppo freddo, né per il rumore provocato da un fiume, né per la scarsezza di notizie ricevute.
Il cacciatore di posta deve mantenere la consegna che gli è stata assegnata, sempre. Specialmente quando si è comodi e ben rifocillati, si fa presto a dimenticare gli altri che invece si stanno adoperando come dannati per farci divertire. Ripensandoci ora provo una punta di rabbia per il collega che si è fatto sorprendere in quel modo, perché non doveva assolutamente accadere una cosa simile.
A sua parziale discolpa c’è da dire che i cinghiali avevano deciso di attraversare il fiume nel punto più stretto, ma comunque, se fosse stato più attento e ligio al dovere, tutto sarebbe potuto andare molto meglio. Quella non è stata la prima apertura “anticipata” che ho fatto fuori Regione, come sono sicuro che non sarà l’ultima.
Quando ci congedammo dagli amici umbri, in molti mi fecero strappare una promessa, che avrei ricambiato la cortesia ricevuta invitandoli a cacciare in Maremma, ma non a caccia di cinghiali, di quelli ne hanno anche troppi, ma di tordi e colombacci che per loro sono e sempre saranno una passione infinita. Colgo l’occasione per ringraziare il caro amico Fabrizio e tutta la squadra del CASTAGNINO di Castel Viscardo per aver reso possibile questa bella quanto “tragicomica” avventura.
Marco Benecchi