Vi siete mai chiesti qual è il fattore determinante per poter eseguire un tiro perfetto con un’ arma rigata da caccia? Forse avrei dovuto dire la carabina, ma ho deciso di essere più generico, perché il problema della precisione di tiro è comune per tutte le armi quando si vuole colpire con estrema precisione un piccolo bersaglio ad una certa distanza. Ma per essere certi che il nostro tiro raggiunga perfettamente il punto mirato, dobbiamo avere a nostra disposizione un APPOGGIO impeccabile! Si, perché è inutile avere tra le mani uno strumento perfetto, quasi infallibile, quando poi non riusciamo a tenerlo ben fermo nella posizione giusta.
Oggigiorno esistono delle combinazioni arma – ottica da mira talmente perfette da consentire abbattimenti netti e puliti a distanze impensabili, addirittura vicini al chilometro. Ma quanti di noi riescono ad ottenere l’immobilità assoluta nell’attimo del rilascio del grilletto? Pochi, credetemi! Personalmente il tiro a lunga distanza lo giustifico soltanto in casi eccezionali, come ad esempio quando c’è da finire un capo ferito, quando non esiste nessuna possibilità di ridurre la distanza che ci separa da un particolare capo da abbattere, oppure quando stiamo cacciando prede importanti all’estero ed è l’ultimo giorno di caccia. Ma non dobbiamo dimenticare che a caccia, quando si spara ad un essere vivente, il tiro diventa sempre una cosa seria e quindi non deve essere mai improvvisato.
Potrebbe essere considerato una vera e propria somma matematica di alcuni fattori, come l’esatta conoscenza della traiettoria del calibro utilizzato, la valutazione corretta della distanza, il giusto calcolo dell’angolo di sito (quando si spara sia verso il basso sia verso l’alto con un’inclinazione superiore ai trenta gradi) e l’eventuale presenza di venti trasversali. Occorre avere un’arma estremamente precisa, camerata in un calibro potente e radente, corredata di un’ottica a forte ingrandimento.
Ovviamente è necessaria una grande esperienza pratica ma se non si può disporre di un appoggio perfetto, stabilissimo, allora tutto il resto diviene aleatorio, inutile. Per eseguire abbattimenti netti e puliti a lunga - lunghissima distanza, oltre all’attrezzatura adeguata occorre avere anche parecchio allenamento fisico e psichico, sia al poligono sia sul terreno di caccia, ma l’arma dobbiamo riuscire a mantenerla perfettamente immobile, saldata. Da sempre militari, cacciatori o semplici appassionati si sono adoperati per creare armi, calibri e attrezzature specializzate nel colpire con precisione bersagli fermi a lunghissima distanza, ma anche se sono stati gli europei ad aver inventato il cannocchiale da mira, dobbiamo ringraziare gli statunitensi per aver perfezionato le armi, le ottiche a forte ingrandimento dotate di reticoli extrafini con tacche compensatrici di caduta, i correttori di parallasse e ad aver ideato .. il bipiede tattico.
Per quanto possiamo ritenerci degli abilissimi tiratori, sul terreno di caccia - magari durante un’azione concitata - è molto raro riuscire ad ottenere l’appoggio perfetto, l’immobilità assoluta. L’errore umano potremo cercare di ridurlo al minimo, ma non credo che riusciremo mai a eliminarlo del tutto. Se da una parte abbiamo gli strumenti necessari per eseguire degli abbattimenti netti e puliti a lunga distanza, siamo sicuri di avere anche la necessaria “freddezza”?
Per riuscire a colpire nel punto giusto un comune capriolo che pascola ignaro del pericolo in un bel prato a centocinquanta metri di distanza, occorre essere calmi ed avere la mano ferma, figuriamoci se invece dovessimo tirargli a trecentocinquanta! Ho dedicato diversi articoli ai bipedi tattici e ai vari tipi d’appoggio, ma posso riassumerli ricordando che un tiro estremamente preciso che colpisca esattamente nel punto mirato, si può eseguire soltanto quando sia la parte anteriore della carabina sia la posteriore hanno un appoggio solidissimo e sicuro. Il novantacinque per cento delle armi rigate in circolazione non spara bene, ma benissimo. Spesso sono in grado di ricamare delle fantastiche rosate in poligono, ma sul terreno di caccia le cose sono molto diverse. Quando abbiamo gli scarponcini ai piedi invece delle scarpe da passeggio o da ginnastica, riuscire a mantenere la giusta calma e l’arma perfettamente immobile non è certo facile. Dovremo sempre adoperarci per avere il miglior appoggio possibile, anche se per prepararlo perderemo qualche secondo prezioso.
In gioventù, quando ancora eravamo alle prime armi ed i selvatici erano molto più numerosi, sparavamo a braccio libero, appoggiando il gomito sul ginocchio, su una staccionata, sul filo spinato di una recinzione, sul manico di un coltello piantato ad un albero, addirittura abbiamo anche sparato usando come appoggio la schiena del compagno di caccia. Facevamo più padelle e ferimenti che abbattimenti netti e puliti, ma a chi importava? Tanto l’animale sbagliato oggi l’avremmo riavuto a tiro l’indomani. Poi le cose sono cambiate, è subentrata l’esperienza, le responsabilità, l’etica venatoria, il buon senso ed anche un certo benessere economico. Abbiamo acquistato armi più precise, ottiche più luminose, munizioni più prestanti e soprattutto ci siamo abituati a sparare sempre più spesso e sempre meglio. Poi, ovviamente, abbiamo rivisto anche il discorso di dove dovrebbero essere colpiti gli animali per non danneggiarli irrimediabilmente, ma al contempo per abbatterli pulitamente.
L’esperienza ci ha insegnato dove indirizzare una buona palla per avere un abbattimento perfetto. Libri specializzati statunitensi riportano spesso delle figure d’animali stilizzate che evidenziano dove sono posizionati esattamente gli organi vitali. Si vede perfettamente dove sono cuore, grosse arterie, fegato, polmoni, reni, articolazioni importanti, ecc. Sono immagini veramente molto utili, specialmente per capire dove si trova esattamente il cuore, molto in basso nella cassa toracica del selvatico, praticamente quasi adagiato sul costato e non certo al centro della spalla, là dove tutti consigliano di tirare. Secondo me chi ha la fortuna di trapassarlo con una pallottola è perché ha colpito un po’ basso, perché nessun sano di mente si sognerebbe mai di tentare il tiro “chirurgico” al cuore da oltre duecento metri di distanza.
Converrete con me che tutti noi, 90 volte su 100, miriamo sempre al “bersaglio grosso”, al rettangolo che comprende la spalla e i polmoni, con una netta preferenza a sparare un po’più avanti piuttosto che dietro, ma di certo non così avanti e non così basso da tentare il tiro al cuore.
Chi pratica la caccia a palla e non ha nessun interesse per la spoglia del selvatico, non si pone il problema di dove colpire l’animale, anzi ho conosciuto molti presunti cacciatori che s’esaltavano davanti agli spettacoli di bassa macelleria provocati dai loro magnum. Chi invece, oltre che per una questione d’etica morale, vuole anche recuperare più carne possibile e in buono stato di conservazione, allora il discorso “di dove dovrebbe essere colpito” il selvatico si fa più complicato. Per la caccia alla media selvaggina, fino ad daino per intenderci, ho sperimentato molti calibri e molte palle, differenti tra loro sia per foggia sia per peso e sono arrivato alla conclusione che i migliori risultati si ottengono con proiettili medio - leggeri ad espansione controllata, né troppo fragili né troppo duri.
Consiglio ogive simili perché sono quelle che lavorano meglio anche quando non incontreranno sulla loro strada grandi ossa o spesse fasce muscolari. Ormai da diversi anni, specialmente per i selvatici più delicati, non cerco più la spalla, ma i polmoni. Miro al costato un buon dieci centimetri dietro la fatidica attaccatura della spalla. In questo modo, attingendo soltanto poche costole, rovino pochissimo la carcassa e, utilizzando calibri molto veloci caricati con la giusta munizione, ho degli abbattimenti netti e puliti. Di solito lo shock idrodinamico e il cono di frammenti e di schegge trascinato dalla palla fanno cadere sul posto il capo colpito, e se invece si allontana ferito, non percorre molta strada.
Altri autori (tutti amici) consigliano di mirare alla spalla con palle lente e dure, ma io non sono di quel parere, perché anche se definite impropriamente “lente”, le ogive che viaggiano sopra ai 700 metri al secondo producono sempre effetti notevolissimi, anche se sono in configurazione Round Nose o FMJ. Una volta colpito in zona toracica, se il selvatico non cade subito, ma si allontana ferito, state tranquilli, perché il recupero è facilitato da una copiosa fuoriuscita di sangue, di certo non come quando viene colpito all’intestino o ad un arto. Se sparare lontano rappresenta l’eccezione nelle tecniche di caccia che siamo abituati a fare, ben venga, ma se diamo per scontato che dovremo farlo con una certa frequenza, c’è da rivedere tutta la nostra politica venatoria.
Concedetemi un ultimo consiglio, specialmente a chi piace praticare la caccia alla cerca, organizzatevi per poter sparare nelle migliori condizioni possibili. Sparare dallo zaino va bene in aperta montagna, quando i tempi che ci sono concessi per ingaggiare il bersaglio sono leggermente maggiori, ma in molte altre occasioni, quando occorre essere davvero veloci nello sparare, allora il problema “appoggio” sorge davvero. Quindi bisognerà usare sempre un buon bipiede montato saldamente sull’astina dell’arma, e poi curare bene l’appoggio posteriore, assicurandoci che sia il più saldo possibile.
Marco Benecchi