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09/12/2009 

E’ un dubbio che toglie il sonno a chi riteneva che si potesse aspirare ad esercitare con soddisfazione l’ars venandi allo stesso modo sia in regioni storicamente amministrate dal centro sinistra, come Toscana od Emilia Romagna, sia in Lombardia o in Veneto, dove invece è attualmente al governo una coalizione di segno opposto. E questo a prescindere dalle proprie propensioni politiche. Niente di più sbagliato! L’imperativo assoluto è contrapporsi sempre e comunque in modo strumentale all’avversario politico, anche in una materia nella quale i tecnici dovrebbero forse avere l’ultima parola.

Emblematico è ad esempio l’episodio della mostra organizzata dalla Regione Veneto a palazzo Ferro Fini a Venezia e intitolata «Omaggio a Mario Rigoni Stern uomo, narratore e cacciatore». Anche il grande scrittore recentemente scomparso, che mai peraltro da vivo ha mostrato alcuna simpatia per l’attuale capo del Governo, è stato tirato, da morto, per la giacchetta sia da destra che da sinistra. Voglio solo osservare che in uno dei suoi ultimi interventi pubblici Mario Rigoni Stern ribadiva un concetto già espresso più volte in precedenza: “… la caccia è una passione umana; come tutte le altre passioni ha necessità dell’intelligenza e della ragione al fine di regolare l’istinto e farla diventare fattore etico e culturale.” Io mi domando: quanti di coloro che a vari livelli nuotano nelle torbide acque della politica venatoria italiana si sentono in coscienza di seguire questo insegnamento del maestro?

E ancora: una opportuna e necessaria revisione della legislazione in materia di caccia è divenuta materia di propaganda politico–elettorale di una parte politica, che se ne è fatta una bandiera, provocando un irrigidimento di entrambi gli schieramenti, con la conseguenza dell’attuale impasse che ha già provocato non poche disillusioni in coloro che si pensavano fosse giunto il momento della riscossa e che si potesse tornare ad una mitizzata “età dell’oro” della caccia italiana. Non pochi hanno mutato fede politica in nome di una chimera. I partiti della sinistra dal canto loro alimentano in un ruolo di subalternità la logica della contrapposizione pretestuosa, rifiutandosi di affrontare il tema della caccia con atteggiamento positivo e propositivo e delegando nei fatti, a solo titolo di esempio, ad un personaggio come Della Seta il compito di rappresentare la posizione del PD in tale materia a livello nazionale. L’associazione venatoria che ad alcuni di essi fa riferimento, schiacciata tra l’ampio consenso che la demagogia populista del centro destra ha riscosso tra i cacciatori e i condizionamenti derivanti dallo scontro politico in atto, si dimostra incapace di elaborare una strategia alternativa che non sia succube di miopi logiche di schieramento.

Anche in campo ambientalista i partiti di opposizione condizionano l’operato delle formazioni esistenti e quelli di governo fanno da levatrici a nuovi movimenti che hanno effettivamente il pregio, rispetto a quelli tradizionali, di un atteggiamento più maturo nei confronti della caccia e dei temi legati ad un corretto rapporto tra uomo ed ambiente, ma che hanno anche il difetto di avere una targa ben visibile.

Sembra addirittura che vi siano “cacce di destra”, come le cacce alla migratoria  o quelle cosiddette “tradizionali” con il segugio, sponsorizzate da politici che fanno riferimento a partiti di centro destra, e “cacce di sinistra”, come la caccia di selezione, introdotta dall’estero con una operazione secondo alcuni artificiosa, praticata e sviluppata soprattutto nelle regioni rette da giunte di centro sinistra.

Ci si limita poi spesso ad una lettura esclusivamente politico-ideologica dei fenomeni sociologici e storico-culturali, individuando in cause “esterne” le motivazioni principali della crisi della caccia in Italia e della conseguente diminuzione drastica del numero dei praticanti. Trovo la cosa quantomeno riduttiva e di fatto succube di una sorta di revanchismo culturale che considera tutti i mali dell’Italia venatoria e non solo come frutto di una scellerata sinergia tra ambientalisti e partiti di sinistra. Mi sembra un approccio che tende a perpetuare fratture artificiose privilegiando l’analisi di fenomeni sovrastrutturali, senza analizzare altre cause profonde che esigono da parte dei cacciatori non solo di elencare una serie di richieste o rivendicazioni, peraltro in parte legittime e condivisibili, ma di elaborare dei piani di lavoro e dei progetti per il prossimo futuro, che contribuiscano, nella sostanza e nell’immagine pubblica, ad adeguare la figura del cacciatore a quei mutamenti strutturali e socio-culturali che non sono solo frutto delle leggi e della propaganda faziosa degli ambientalisti.
 
Faccio solo degli esempi: pensare alla caccia del futuro senza considerare le modificazioni intervenute negli ultimi venti anni nelle popolazioni animali presenti sul territorio italiano, che hanno determinato una modificazione degli equilibri tra le varie forme di caccia, sia in termini di numero di praticanti che di rilevanza anche economica, così come di percezione del fenomeno venatorio da parte dell’opinione pubblica, comporterebbe un errore di valutazione madornale. Allo stesso modo lo sarebbe continuare ad ignorare volutamente ciò che di nuovo e di rivoluzionario è stato introdotto in Italia grazie alla caccia di selezione: i concetti fondamentali di caccia sostenibile e di gestione conservativa. E in questi errori è incorsa, ad esempio, la proposta di riforma a suo tempo elaborata dall’onorevole Berlato, che nulla dice in merito alla caccia agli ungulati, ma sembra quasi esclusivamente rincorrere gli umori della propria base elettorale. Mette infine una grande tristezza leggere continuamente sulla rete post che subordinano i comportamenti elettorali in occasione delle amministrative della prossima primavera a scelte di politica venatoria di piccolo cabotaggio (in sostanza: più tempi, più specie e controlli meno rigidi), alla rincorsa disperata di un tempo che fu.

Il bipolarismo becero che domina il panorama politico italiano ha fatto scuola e condiziona pesantemente anche l’ambiente della caccia, rendendo di fatto impossibile un’ulteriore maturazione culturale ed una assunzione di nuovi impegni da parte della maggioranza dei cacciatori italiani. La caccia italiana di tutto ha necessità tranne che di divisioni e contrapposizioni artificiose. Tuttavia molti invece di perseguire tenacemente e costantemente l’obiettivo dell’unità dei cacciatori, anche a costo di imporre sacrifici al proprio egoismo e al proprio tornaconto, preferiscono continuare ad alimentare la politica della contrapposizione e dello scontro, che ha l’effetto di produrre solo poltrone e visibilità per i protagonisti di turno. Inoltre, fatto assai più grave, determina come diretta conseguenza l’impossibilità di affrontare i problemi in modo costruttivo e fecondo e, anziché educare al ragionamento e al confronto, porta al sonno della ragione.
 

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