Nella caccia a palla esistono molte tradizioni, tante scritte, altre tramandate a voce da padri a figli, da nonni a nipoti e spesso anche da anziani cacciatori a promettenti allievi. Questo avviene fin dalla notte dei tempi e, un’usanza ancora molto attuale, è sicuramente quella della cultura del trofeo dell’animale abbattuto. Una vera e propria passione per tantissimi cacciatori che amano conservare “un ricordo materiale” della preda catturata, per immortalare nel tempo una bella azione di caccia, ma anche come gratifica per aver abbattuto un capo, di solito maschio, con impegno, serietà e nel rispetto dell’etica venatoria. Il trofeo di un selvatico nobile rappresenta per il cacciatore quello che per uno sportivo rappresentano le medaglie, le coppe, il coronamento di tanti sforzi al termine di una gara, anche se la caccia, non è uno sport e mai lo sarà.
Non dovremo però mai dimenticare che la conservazione di un trofeo come ricordo personale non dovrà essere ritenuta una competizione tra cacciatori, né come una forma di ostentazione di grandezza o di supremazia. Collezionare i trofei dei selvatici abbattuti deve essere considerato come un ulteriore rispetto per il capo che ce lo ha ceduto, nient’altro. Di solito si usa conservare le zanne, le pelli conciate, addirittura l’animale tassidermizzato ed infine il palco, le corna attaccate al cranio e non ovviamente quelle rinvenute caduche. Ho già trattato diversi articoli su come dovrebbe essere preparato un trofeo “in bianco” ed è mia convinzione che quasi tutti i cacciatori italiani siano ormai in grado di prepararselo da sé, ma a volte possono sorgere dei piccoli problemi. Quali? Ad esempio che durante il taglio del cranio o durante la bollitura questo possa rompersi o danneggiarsi.
Oppure, come è successo a me di recente, mentre avevo lasciato il cranio di un capriolo sopra ad un tavolo ad asciugare i miei cani lo hanno usato per giocarc, rovinandolo irrimediabilmente. Colpa mia, sono cose che succedono, se non fosse stato per un piccolo particolare..che il trofeo non era il mio, ma di un signore che ci teneva moltissimo. Quindi quando accadono episodi simili come possiamo fare per rimediare al danno? Non dobbiamo perderci d’animo ma rimboccarci le maniche e procedere con un piccolo restauro. Cercherò di descrivere le operazioni necessarie per riportare alle condizioni ottimali un trofeo di capriolo, selvaggina d’elezione della caccia a palla in Italia, ma lo stesso procedimento potrà essere utilizzato per restaurare il trofeo di qualsiasi ungulato, fino a quello di un cervo se non addirittura di un alce.
Non occorre molta attrezzatura: un trapano, qualche vite, colla epossidica e/o resina, una pentola adeguata, un fornello portatile a gas oppure elettrico, una sega da macellaio, ma anche un normale seghetto a ferro andrà benissimo. Dobbiamo inoltre munirci di una piccola mola o frullino, di un recipiente di plastica, del cotone idrofilo e dell’acqua ossigenata al 33 % e 120 volumi. Chi ha la fortuna di possedere anche un piccolo compressore potrà contare su un prezioso aiuto in più. Solitamente il danno maggiore lo avrà subito il cranio, quindi dovremo preoccuparci di recuperane un altro. Dove?
Esistono anche dei simulacri in resina e/o in metallo, ma prima di ricorrere a quelli consiglio di cercare un cranio “originale”, naturale, magari recuperandolo da un trofeo vecchio o di scarso valore. Non c’è fiera o mostra campionaria in cui un espositore non venda vecchi trofei recuperati da collezioni dismesse. Si possono acquistare con pochi euro e non è male conservarne qualcuno in cantina. Per esperienza personale posso dirvi che le ossa del cranio già bollite in precedenza sono fragilissime e si rovinano con molta facilità, ma con un po’ di attenzione un vecchio cranio può essere riutilizzato con successo.
Per prima cosa dovremo fotografare come era il trofeo in origine per poi poterlo riprodurre fedelmente, poi si potranno rimuovere i corni tagliandoli all’altezza delle rose. Il taglio del trofeo dovrà essere ben fatto e in seguito ben rifinito, in modo da poter essere accoppiato con precisione al nuovo cranio. Sopra una superficie piana controlleremo se è stato eseguito correttamente, altrimenti lo potremo riprendere ed aggiustare asportando il materiale in eccesso con una mola, con un frullino oppure con della semplice carta vetrata. Durante questa operazione l’aiuto del compressore è provvidenziale. L’aria compressa, oltre a togliere tutti i minuscoli frammenti di osso, anche nei recessi più nascosti, che a lungo andare potrebbero girovagare per casa, provvede anche ad asciugare velocemente l’osso preparandolo al meglio per la fase successiva.
A questo punto, se avremo operato bene, ci ritroveremo tra le mani un trofeo pronto per accogliere i palchi recuperati. Dopo aver foderato i palchi con degli stracci, per proteggerli dovremo forarli con un trapano in modo da riuscire a innestargli una vite a legno. Qualsiasi ferramenta ne è provvista di varie misure. Avvitiamo le vite nei corni e poi rimuoveremo le teste, con l’ausilio della mola o di una normale smerigliatrice angolare, comunemente chiamata frullino, per ripristinare un minimo di punta anche da questo lato. Ora arriva la fase critica, quella dell’innesto dei corni nel nuovo cranio. Dovremo essere molto attenti e precisi nelle misurazioni e nella foratura perché correremmo il rischio di rovinare il tutto irrimediabilmente. Dando per scontato che saremo riusciti a fare tutte le operazioni nel modo giusto, cominceremo ad avvitare un corno per volta nel nuovo cranio. Dopo essere certi che le parti in oggetto si congiungeranno correttamente, allenteremo di nuovo il tutto, cospargeremo sia la vite sia le superfici da accoppiare con della colla epossidica molto resistente (ottima la bicomponente) e serreremo di nuovo, definitivamente. Prima un corno poi l’altro. Se saremo soddisfatti del nostro operato procederemo con la finitura finale. Il trattamento con l’acqua ossigenata andrebbe fatto immergendo direttamente il cranio nella soluzione chimica fino a un centimetro e mezzo – due dalle rose per circa mezz’ora.
L’osso è spugnoso e di conseguenza tende ad assorbire i liquidi; se il livello sfiorasse le rose con molta probabilità potrebbe danneggiarle. Così facendo si risparmia tempo e il lavoro viene perfetto, ma vista la tendenza dell’acqua ossigenata a diluirsi facilmente e a perdere le sue proprietà una volta esposta all’aria, ne dovremmo consumare una buona quantità. Quindi, per risparmiare il prezioso liquido, useremo un piccolo stratagemma. Copriremo completamente il cranio con del cotone idrofilo e poi lo bagneremo versandogli sopra l’acqua ossigenata, facendo sempre molta attenzione alle rose e raccogliendo il sopravanzo in un recipiente per poi recuperarlo Non ci resta altro da fare che mettere il trofeo ad asciugare al sole. L’azione combinata tra il prodotto chimico e l’effetto fotogeno faranno il resto.
Dopo che saranno trascorse un paio d’ore e prima che il cotone sia completamente asciutto, lo potremo rimuovere, ma non per gettarlo via. E’ conveniente inserirlo ancora umido nella cavità cranica, per completare il trattamento anche nella parte interna e lasciare asciugare definitivamente. Quando le condizioni del cranio sono davvero irrecuperabili come colorazione, allora sarà necessario dargli una mano di pittura lavabile per murature. Lo so, non è proprio il massimo, ma quando non ci sono altre soluzioni bisogna fare di necessità virtù. Per fissare definitivamente il nostro trofeo sopra una tavoletta di legno, usate le apposite piastrine metalliche oppure incollatele direttamente, ma evitate di riempirlo di stucco, resina od altro.
Marco Benecchi