Il 3 aprile 2023 la mia vita ha avuto una svolta meravigliosa: sono diventato..nonno! Mio figlio Giuliano e la sua compagna Lydia mi hanno fatto il regalo più bello che un uomo maturo di sessant’anni possa mai ricevere: Ellie. Una splendida bambina, oserei dire quasi unica, perchè figlia di un padre Maremmano e di una madre vichinga! La nascita di una nuova splendida vita mi ha trasmesso una tale felicità, una tale euforia che dovevo pur sfogarle in qualche modo. Ed io di modi per potermi sfogare davvero ne conosco soltanto uno: andando a caccia!
Un evento così importante doveva essere festeggiato per bene. Così, mentre mia moglie Nadia surriscaldava il cellulare per telefonare alle amiche, alle colleghe e ai parenti e per inviare album interi di foto della nostra prima nipotina, io misi la sveglia molto presto per il mattino seguente e cominciai a preparare l’attrezzatura. Nella caccia in generale, ed in particolare in quella a palla, più che l’esperienza è l’istinto del cacciatore ad essere determinante.
Ogni mia uscita di caccia è sempre condizionata dalla conformazione del territorio e dalle condizioni meteorologiche, con la direzione del vento che ha sempre l’ultima parola. Nonostante fossimo già in primavera inoltrata faceva davvero molto freddo e un forte vento di Tramontana non mi lasciò tante scelte su dove andare a caccia, sulla strategia da adottare e dove appostarmi per cercare di abbattere un buon cinghiale al rientro mattutino. La caccia di selezione al cinghiale sarebbe molto più facile e proficua praticarla la sera all’imbrunire, con i selvatici che escono dal bosco affamati e poco vigili, ma siccome caccio sempre da solo, preferisco andare incontro alla luce del sole per potermi organizzare meglio per un ipotetico recupero e per ogni evenienza, perché i cinghiali non sono certo come i caprioli che per portarli alla macchina puoi infilarli nello zaino!
Arrivai sul posto che era notte fonda e, dopo aver parcheggiato la macchina, silenzioso come può esserlo soltanto un vecchio veterano della caccia alla cerca, m’inoltrai nel bosco. Procedetti comodo e veloce perché il vento mi soffiava talmente forte in faccia che nessun selvatico avrebbe potuto percepire il mio odore. Nel cielo tersissimo c’era ancora un grosso spicchio di luna così la visibilità era decisamente buona nei campi antistanti.
Presi a binoculare col mio Leica Geovid 8 x 42 HD, ma di sagome “irsute” purtroppo non ne vidi neanche l’ombra. Da dove ero avevo un campo di tiro perfetto, fin oltre duecento metri, così rinunciai ad avanzare ulteriormente e adagiai in terra la mia Bergara B 14 Green Hunter calibro 308 Winchester equipaggiata con ottica Delta Titanium 2,5 – 15 x 56 HD e di cartucce ricaricate con palla Nosler Ballistic Tip da 165 grani.
Mentre ad est il sole cominciava a rischiarare un immenso campo seminato ad erbaio, a ridosso di un divieto di caccia, notoriamente ricchissimo di selvaggina, mi posizionai in attesa. Il mio intento sarebbe stato quello di riuscire ad intercettare uno o più animali che ne volessero rientrare, ma col fieno alto e i grani che cominciavano a crescere rigogliosi sarebbe stato tutt’altro che facile. Assistere al sorgere del sole avvolti dalla natura selvaggia, ridente e canora, oltre ad essere una delle più belle sensazioni del mondo, spesso mi fa sempre ripensare all’Ungheria, ai tanti momenti felici trascorsi nella pianura magiara a correre dietro ai caprioli con l’amico Laszlo.
Ma quel gelido mattino il mio pensiero era solo per Ellie, un esserino di appena tre chilogrammi di peso che di cognome faceva “Benecchi”, che nelle sue minuscole vene scorreva il mio stesso sangue. Giuliano e Lydia vivono in Olanda, quindi fremevo di poter abbracciare, coccolare, baciare quel prodigio della natura roseo e profumato. Come spessissimo accade nelle elucubrazioni mentali di ogni cacciatore, fantasticai sul possibile animale che avrei potuto avvistare e magari abbattere quel mattino e per la prima volta nella mia vita decisi che semmai avessi preso qualcosa l’avrei dedicato a Ellie, alla mia nipotina. Purtroppo lo sferzare del vento mi riportò presto alla realtà. Dovevo cercare di sfruttare al massimo la luce lunare prima ancora di quella naturale, vista l’ora e l’aria particolarmente tersa.
Avvistare un cinghiale in precarie condizioni di luce, in un erbaio, non è come farlo in una stoppia estiva, dove un animale nero spicca quasi come se fosse sulla neve; nell’erba alta devi sforzarti, specialmente se non è di grossa mole. Da dove mi trovavo avevo una buona visuale perché ero posizionato leggermente più in alto del campo, in poche parole..lo dominavo quasi del tutto. La carabina era adagiata sull’immancabile bipede Harris con la volata libera e la linea di mira pulita. Dato che faceva molto freddo, nonostante non prevedessi di fare una lunga attesa, ero coperto pesantemente, e questo limitava di molto i miei movimenti. Così decisi di mettermi già in punteria imbracciato, per non farmi cogliere impreparato dall’avvicinarsi di qualche animale troppo desideroso di rientrare nel divieto. Mi sdraiai dietro il ruvido calcio sintetico della B 14, impugnai di nuovo il Leica e, appena ripresi a perlustrare il campo mi sembrò di intravedere una grossa sagoma scura che si muoveva quasi impercettibilmente, come se ondeggiasse. Li per lì mi sembrò un grosso cespuglio mosso dal forte vento, poi mi venne un dubbio, perché quel cespuglietto non l’avevo già visto prima?
I cinghiali, specialmente quelli che si attardano in pastura più del previsto, sono sempre piuttosto lesti durante la fase di rientro. Non dico che arrivano di corsa come se fossero inseguiti da una muta famelica di cani, ma tengono sempre un’andatura piuttosto veloce. Quella sagoma invece era quasi immobile, mi disorientava. Decisi di fare un’ imbracciatura di prova, con l’arma puntata in quella direzione per sfruttare anche i maggiori ingrandimenti del cannocchiale Delta Titanium. Nel frattempo stava albeggiando, di luce cominciava ad essercene a sufficienza per tentare il tiro, così decisi di considerare quella sagoma un cinghiale e di attendere la conferma già pronto allo sparo.
Ed ecco che accadde quel che speravo accadesse, l’ombra nera cominciò a muoversi più velocemente e mentre lo faceva… scodinzolava! Senza pensarci un attimo, imbracciai bene la Bergara e cercai di inquadrarlo nel cannocchiale per prepararmi al tiro. L’animale mi si presentava di punta quasi di tre quarti, così, vista la distanza, sui centotrenta – centoquaranta metri posizionai il reticolo tra testa e collo e quando fui soddisfatto dell’appoggio e della respirazione, strinsi deciso il grilletto. Il tonfo della palla che colpiva qualcosa di solido mi arrivò distintissimo, ma dopo lo sparo il grosso solengo sparì come volatilizzato. Ricaricai veloce e rimasi in punteria, ma non vidi più niente, neanche qualche filo d’erba ondeggiare. Era come se quel mare verde avesse inghiottito ogni cosa. A quel punto mi rilassai, perché ormai il danno, se così possiamo definirlo, era fatto. Raccolsi il bossolo sparato, rimpiazzai la cartuccia esplosa, mi feci coraggio ed andai a vedere. La prima cosa che mi colpì quando raggiunsi la zona dove pensavo dovesse trovarsi il cinghiale morto, fu che, nonostante l’erbaio fosse molto rigoglioso e alto, non era riuscito a coprire la sagoma scura perché era davvero grossa, ma molto grossa e dall’enorme testone spiccavano due meravigliose difese scintillanti.
Quando l’osservai da vicino m’impressionarono più i canini superiori, le coti, che le zanne vere e proprie. Era un enorme solengo dal trofeo meraviglioso, un animale splendido, ma…. praticamente impossibile da smacchiare da solo, a meno che un uomo non abbia dei poteri particolari o una forza erculea! Credo che il limite massimo in fatto di “recuperi individuali” di un cinghiale sia la soglia degli ottanta chilogrammi, da eviscerare comunque sul posto. Oltre non è umanamente possibile procedere con il recupero da soli. Ed è proprio per questo che esistono gli amici, quelli veri, con la A maiuscola. Così chiamai Felice, che nonostante fossero appena le sei e mezza del mattino, era già sveglio a fare colazione. Rispose dopo pochi squilli e non mi disse né buongiorno né mi chiese come stavo, no…semplicemente esordì così: “E’ grosso?” “Tanto, davvero tanto” gli risposi. “Ok, arrivo, dammi il tempo di vestirmi bene che fuori fa freddo. Ti porto anche un cappuccino decaffeinato e un cornetto con la crema”. Fu così che il buon Felice venne in mio aiuto con suo fratello Marco e Antonio, un altro nostro amico che abbiamo comune. In quattro girammo e rigirammo il grosso solengo per controllare dove l’avevo colpito e il lavoro svolto dalla potente Ballistic Tip da 165 grani, una palla ad espansione controllata sempre risolutiva, specialmente quando colpisce in zona collo - cranio! Trovammo il foro di entrata vino all’occhio, motivo per cui l’abbattimento era stato non fulmineo ma istantaneo. Devo ammettere che non avevo mirato proprio in quel punto ma sicuramente era andata meglio così. Quello che seguì fu gioia pura. I riti teutonici non sono molto usati in Maremma…., specialmente dove le SS hanno lasciato il segno durante la Grande Guerra. Tra noi bischeri ci si limita alle solite cose, come le pacche sulle spalle, un po’ di sano sfottò e appezzamenti sul fondoschiena. Scattammo diverse foto coi cellulari, perché un animale simile doveva essere immortalato a come si deve poi, man mano che l’adrenalina andava affievolendosi, raccontai a tutti i presenti, (ma anche a me stesso!) i momenti salienti di quella incredibile avventura.
Da quando ero arrivato nella zona di caccia al momento in cui avevo espresso il desiderio di festeggiare la nascita della mia nipotina Ellie con l’abbattimento di un bellissimo cinghiale. Ho sempre sospettato che: “Lassù qualcuno mi ama!”, e deve averlo fatto anche quel giorno, perché nonostante l’arrivo di Ellie fosse stato davvero un evento eccezionale, di certo non avrei mai preteso che anche il cinghiale che speravo di dedicargli fosse un mostro altrettanto eccezionale… Per problemi puramente logistici – organizzativi non abbiamo potuto pesarlo per intero, peccato. Ma posso garantirvi, secondo la mia modesta esperienza, che doveva essere molto vicino ai centocinquanta chilogrammi. E si, il Solengo di Ellie fu davvero un bell’esemplare di cinghiale Maremmano!
Marco Benecchi