Fino a qualche decennio fa gli ungulati cacciabili sulle nostre Alpi erano i camosci, i caprioli, i cervi e qualche rarissimo stambecco. Poi, grazie alla passione di tanti validi cacciatori-naturalisti, uno splendido selvatico, forte e combattivo, ha fatto la sua apparizione sulle montagne italiane: il muflone. Come spesso accade quando si prendono nuove, coraggiose iniziative naturalistiche, a qualcuno l’introduzione sulle nostre montagne di un selvatico non autoctono non è piaciuta, ma è innegabile che un bell’ariete con dietro il suo harem di muffle è pur sempre un bellissimo spettacolo da vedere sui picchi e nei ghiaioni montani. Il muflone è selvatico bellissimo, fortemente riproduttivo (lupo permettendo!!), molto adattabile al territorio che lo ospita, che qualsiasi cacciatore di montagna e non desidererebbe sempre poter cacciare.
Cerchiamo di conoscerlo meglio, perché ogni cacciatore dovrebbe conoscere le caratteristiche morfologiche del selvatico che si appresta a cacciare. Il muflone ( Ovis ammon musimon ) appartiene alle seguenti categorie: regno Vertebrati; ordine Artiodattili; super ordine Ungulati; sottordine Ruminante pascolatore; famiglia Bovidi. E’ un selvatico simile ad una pecora di medie dimensioni, dal corpo massiccio e compatto che sta nel “quadrato” (altezza uguale alla lunghezza). Al garrese raggiunge i 90 centimetri di altezza e può arrivare a 50 chili di peso per 130 centimetri di lunghezza totale. Ha il manto colore marrone bruno tendente al rossiccio e come quasi tutti gli ungulati, va in muta due volte l’anno, in primavera e in autunno. I maschi in muta invernale hanno il collo ornato da una folta e lunga criniera di peli quasi neri, che unita alla sella dorsale bianca, sono caratteristiche degli esemplari “puri” di età superiore ai tre anni.
I vecchi e vigorosi arieti sono portatori di grosse corna cave a spirale, solcate da anelli ornamentali e di accrescimento annuo, che come nei camosci e negli stambecchi, permettono con facilità di determinarne l’età. Non sono rari trofei di 80-90 centimetri di lunghezza (misurata sulla curvatura esterna), mentre poche sono le femmine che hanno delle piccole corna, che non superano mai i pochi centimetri. Originario della Sardegna e della Corsica, in un tempo relativamente breve, il muflone è diventato croce e delizia di molti cacciatori sia italiani che europei. Selvatico robusto, scaltro ed imprevedibile si è guadagnato un posto d’onore nella selvaggina nobile, tanto da essere una delle prede più ambite anche in quei paesi dove la sua introduzione è stata possibile solo dalla grande volontà di pochi, singoli privati. Ci risulta che, nel lontano 1731, il principe Eugenio di Savoia importò alcuni mufloni corsi nel giardino zoologico di Vienna. E da lì sembra siano partiti tutti i capostipiti delle attuali popolazioni Europee, che nel 1980 raggiunsero i quarantamila esemplari. Paesi come: la Francia, la Germania, la Spagna, la Slovacchia, l’Austria, l’Ungheria, la Slovenia, la Russia e la Polonia, dove la selvaggina ungulata non mancava di certo, grazie agli sforzi di molti appassionati cacciatori, attualmente possono vantare delle meravigliose popolazioni di mufloni. Popolazioni sempre in costante aumento, per merito della caccia di Selezione e del corretto prelievo degli “interessi” maturati dal loro patrimonio venatorio. Nella penisola italiana, il muflone è stato immesso soltanto negli anni sessanta ed oggi è presente in buon numero sia sull’arco Alpino che in tutto l’Appennino. Persino nelle isole di Montecristo, del Giglio e dell’Elba, si è ripopolato con successo creando delle grosse colonie. Oggigiorno, dal Gargano alle Dolomiti non esiste riserva privata, demaniale o A.V.F. che non possa contare su una discreta presenza di mufloni, sempre regolamentata, con giudizio, dalla caccia o dalle catture.
Le popolazioni più antiche e rappresentative sono quelle di Miemo, voluta e creata dal Professore Baldacci, e della Vacchereccia di Civitella Cesi del Dott. Leonardo Chiri, che vanta mufloni di ceppo Corso, particolarmente forti e belli, dal trofeo scuro e regolare. Dove il numero dei mufloni ha raggiunto i limiti consentiti dall’Ecosistema, la caccia non solo è consentita, ma è anche necessaria. Specialmente in montagna il muflone è entrato in competizione alimentare e territoriale con il camoscio, creando non pochi problemi all’equilibrio naturale della specie autoctona. La buona espansione di questo ungulato è dovuta principalmente al suo spirito di adattamento e alla sua forza fisica, che come per il cinghiale, sono veramente fuori dal comune.
Lo si trova in pianura, con climi miti e fin troppo caldi, come in alta montagna, dove la sua folta pelliccia lo protegge dalla rigidità dell’inverno e la sua tenacia gli permette di sopravvivere anche con la neve alta e con relativa carenza di cibo. I mufloni vivono in grossi branchi spesso composti da più di cinquanta capi. Non hanno abitudini notturne e cominciano la “transumanza”, per recarsi a pascolare, all’alba molto presto per fermarsi poi solo a notte fonda, sempre in fila indiana e spostandosi molto lentamente. Durante le ore più calde della giornata, i mufloni si rintanano nel bosco per riposare all’ombra, altrimenti sono perennemente in movimento, ma senza allontanarsi di molto dai loro territori abituali. Di solito è una vecchia femmina che guida la fila, ma non è la capo branco. Il capo è invece il maschio dominante, che segue gli altri ad una certa distanza ed arriva in pastura sempre per ultimo. Così facendo, controlla il suo gregge assicurandosi che non ci siano ritardatari e che non ci sia nessun pericolo nelle vicinanze. Questo è un particolare importantissimo, perché quando ci capiterà di andare a caccia di mufloni, dovrete ricordarvi che l’ariete dal trofeo migliore arriverà mentre voi ne avrete già preso di mira un altro. Il muflone è un animale di una resistenza eccezionale tanto che io, scherzosamente, da anni, l’ho soprannominato il “Bufalo cafro” della selvaggina italiana.
Chi ha già provato l’esperienza di cacciare il muflone, si sarà sicuramente reso conto di come questo animale incassi ai colpi di carabina. Personalmente, dopo averlo cacciato per tanti anni, posso dire di aver visto delle cose incredibili se paragonate agli altri selvatici. Forti maschi, come giovani “muffle”, anche se ben colpiti bene con dei buoni calibri medi, hanno percorso diverse decine di metri prima di cadere. Tempo fa sorpresi al tramonto un grosso ariete solitario (che poi risultò essere una medaglia d’oro) e lo colpii di punta, in pieno petto, con una 160 grani Nosler Partition sparata dal mio 7 mm R Magnum. Non accusò minimamente il colpo e corse in salita per una cinquantina di metri prima di darmi la certezza e la soddisfazione di aver conquistato quello splendido trofeo. La palla lo aveva attraversato per tutta la sua lunghezza!!! Adesso che ci siamo resi conto con chi abbiamo a che fare e viste le caratteristiche strutturali del selvatico, passiamo all’argomento che più ci interessa: La Caccia.
In Europa lo si può cacciare già dal primo di agosto, mentre in Italia, salvo regolamenti particolari, l’apertura di solito è il primo di ottobre. In autunno le femmine hanno tutte partorito ed i maschi hanno completato la muta. Il muflone può essere cacciato con successo sostanzialmente in tre modi: all’aspetto, alla cerca e in girata, detta anche “guidata”. In Spagna ed anche in qualche riserva italiana, viene cacciato nelle battute stile “Monteria”, ma io che non la considero una forma di caccia specifica per il Muflone, non la tratterò in questa occasione, tanto bene o male, tutti sanno come si svolge una battuta. Le prime due tecniche di caccia le discuteremo più avanti, mentre la terza, non essendo molto praticata in Italia, vediamo subito in cosa consiste. La girata non è altro che una battuta molto tranquilla, a “basso volume” e senza l’ausilio dei cani. Si pratica di solito dove il terreno è molto fitto, come ad esempio la macchia mediterranea, e non permette di praticare gli altri tipi di caccia.
La girata non s’improvvisa. Deve svolgersi in una zona che si conosce molto bene, da pochi ma affiatati battitori, consapevoli di come e dove muoversi sempre in sincronia. L’intenzione è quella di spingere i mufloni verso le “poste” ad una andatura non troppo veloce, che permetta ai tiratori di valutare il capo con sufficiente approssimazione prima di tirargli. E’ una forma di caccia inconsueta ma abbastanza valida, specialmente se si è costretti a praticare una selezione “quantitativa” più che “qualitativa”. I cacciatori (o anche un singolo cacciatore) si devono piazzare in prossimità dei sentieri comunemente usati dai mufloni, ben coperti e possibilmente su altane o palchi sopraelevati. Il muflone ha i sensi acutissimi: olfatto, vista e udito non hanno niente da invidiare a gli altri selvatici e, come poi accade per tutti gli animali che si muovono in branco, cacciandoli dobbiamo fare i conti con tante narici, tanti occhi e tante orecchie.
Un giorno ho cercato di avvicinarmi ad un piccolo branco per cercare di portarmi a tiro di un bel maschio. Quando finalmente ero pronto per lo sparo, con lo stecher già armato della mia carabina, il fischio d’allarme di una femmina alla mia sinistra, che non avevo visto, mise in fuga tutto il branco lasciandomi a bocca asciutta. La caccia all’aspetto e alla cerca sono sempre legate tra loro. La tradizione mitteleuropea impone l’aspetto mattutino seguito dalla “Pirsch” e l’aspetto serale. L’appostamento al muflone viene praticato all’alba ed al tramonto, dove si incrociano più sentieri di transito, magari nelle vicinanze di una salina, di una mangiatoia con del fieno (micidiale in inverno con la neve) o di un distributore di cereali. La natura nomade del muflone lo spinge a muoversi in continuazione ed è per questo motivo che il cacciatore deve essere veloce sia nella valutazione del capo che nell’eseguire il tiro (di norma entro i cento metri).
La caccia alla cerca in ambiente montano può essere paragonata alla caccia al camoscio, ma, a differenza di questi, il muflone è più diffidente ed ha una vista molto più acuta. Quando i mufloni si trovano in spazi aperti, abbatterli richiede un tiro lungo e preciso, mentre se la cerca si pratica in collina, nell’alto fusto o nella macchia mediterranea, il tiro difficilmente supererà i cento-centocinquanta metri. Ed eccoci arrivati alle armi ed ai calibri che ritengo idonei per la caccia al muflone. In alta montagna, l’arma d’elezione è la carabina Bolt Action ad otturatore, dotata di una buona ottica di buona marca. La preferisco ai monocanna e alle armi miste combinate perché permette, all’occorrenza, una veloce replica del colpo, magari per finire un muflone colpito male o per impedirgli di allontanarsi ferito. E’ chiaro che chi possiede ed è affezionato ad un elegante Kipplauf o ad un polivalente combinato può usarli senza riserve.
Nella caccia alla cerca in ambiente boschivo e nella girata, la scelta dell’arma è più vasta. In tal caso, oltre alla classica “Bolt”, ammessa anche in versione da battuta e a canna corta, possiamo includere: gli Express ed eccezionalmente anche le carabine semiautomatiche, ma per carità, che non somiglino ad un Kalashnicov e che conservino almeno un certo stile. Queste armi dovranno essere dotate di ottiche variabili a basso ingrandimento con grande campo visivo. Quale calibro dobbiamo utilizzare per dare la caccia al più coriaceo dei selvatici italiani? In termini metrici, un buon calibro per la caccia al muflone parte dal 6,5 mm per arrivare all’8 mm.
Personalmente ne ho abbattuto qualcuno anche con il 243W. con palle da 95-100 grani di robusta costituzione ad espansione controllata, ma siamo proprio ai limite minimo, e non sempre garantisce un abbattimento netto e pulito. In pratica tutta la gamma dei calibri 6,5, dal 6,5 X 55 Sweden al 6,5 X 68 Shuler è molto buona, utilizzando palle da 125-140 grani di media robustezza. Ottimo in ogni occasione è il 270 Winchester (in montagna va bene anche il 270 WM) con palle da 130 grani, Mentre i magnifici 7 millimetri, dal 7.08 fino al 7mm Remington Magnum con palle di peso non superiore ai 160 grani svolgono egregiamente il proprio lavoro anche sui capi più grossi e resistenti. Nei calibri 7,62 consiglierei senza riserve, il 308 W, il 30.06 Spring e il 30 R Blaser impiegando palle da 150 – 165 grani di ottima fattura. Tra gli 8 millimetri come dimenticarsi dell’8 x 57 JS-JRS? Pur considerando il muflone un eccellente incassatore, ho menzionato solo qualche calibro Magnum, perché non va dimenticato che un grosso ariete non supera i cinquanta chilogrammi di peso e i trentacinque centimetri di larghezza toracica. In compenso mi sono preoccupato di raccomandare di usare palle relativamente dure, che ad una buona espansione abbinano una forte penetrazione. Cacciando il muflone, a discapito della cessione di energia, preferisco una palla che trapassi l’animale provocando così un “doppio foro”.
In questo modo abbiamo maggiori probabilità, che una fuoriuscita di sangue più copiosa, ci aiuti nella ricerca di un animale ferito. Purtroppo, in parecchie occasioni, ho potuto constatare che dal solo foro di entrata di un proiettile ad alta velocità esce ben poco sangue, e solo dopo molti metri dal punto dove il selvatico è stato colpito. E’ sottinteso che tutti quei calibri che non ho menzionato, ma che hanno le caratteristiche balistiche simili a quelli sopra citati, vanno più che bene per la caccia al Muflone, a patto di usare una munizione idonea allo scopo e solitamente di peso medio nello Standard della specie
Marco Benecchi