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12/10/2023 10.08 

 
 
Quello che mi affascina di più della caccia, e in particolare di quella al cinghiale, è che non sai mai cosa il destino ti ha in riservato per quel giorno! Infatti, molte battute straordinarie, uniche, indimenticabili, nascono proprio per caso, senza nessunissima aspettativa né pianificazione particolare. Ma cominciamo dall’inizio, da quando il mio carissimo amico Gelso decise (si, perché fu davvero soltanto colpa sua!) di rompere l’otturatore della sua bella carabina. E in Maremma, quando qualcuno ha un problema con un’arma rigata, deve rivolgersi sempre alla stessa persona, all’armaiolo semidilettante Marco Benecchi.
 
Con qualche difficoltà, riuscii comunque a risolvere il problema all’amico Gelso e quando quest’ultimo timidamente mi chiese quale sarebbe stato il prezzo per il disturbo, immediatamente gli risposi: “Un bel secchio di more!” Perché, in un piccolo fosso sotto casa sua ne crescono bellissime e farle in compagnia è molto meno faticoso, specialmente quando fa caldo, con i tafani che ti uccidono e  quando le spine dei rovi te le ritrovi anche nelle mutande. Gelso mi chiamò una sera, informandomi che le preziose bacche erano mature e che saremmo dovuti andare il giorno dopo a coglierle.
 
Sia io che mia moglie Nadia abbiamo moltissima passione per i prodotti naturali, quelli Bio offerti dalla nostra Madre Terra, e anche per le marmellate. Nadia prepara le confetture con moltissimi frutti, come fichi, pesche, albicocche, prugne, amarene, limoni etc, ma quella di more non si batte. E’ davvero unica, specialmente per fare dolci e crostate. Mi accordai con Gelso per ritrovarci a casa sua l’indomani, molto presto, subito dopo il sorgere del sole, per poter sfruttare quel minimo di frescura offerta dalla bruma mattutina. Anche se a cavallo di Ferragosto le temperature notturne erano ugualmente infernali.  Quel che non vi ho detto è che Gelso abita a “mezzo tiro di schioppo” da una riserva molti ricca di animali, che oltretutto è anche uno dei posti di caccia che preferisco. Mi sembrò ovvio sfruttare il viaggio anche “venatoriamente”, così decisi di anticipare di qualche ora il mio arrivo per poter fare una breve uscita caprioli e cinghiali.
 

In quel periodo la caccia di selezione era aperta a tutti gli ungulati presenti in Maremma, ma visto che con gli irsuti avevo avuto un ottimo successo, decisi di dedicarmi maggiormente al Folletto Rosso, molto più elusivo e scaltro. Partii da casa piuttosto tardi, perché non volevo sacrificare ore preziose di sonno, specialmente se poi avrei dovuto starmene sopra ad una scala al sole per raccogliere le more, completamente vestito con abbigliamento pesante antispino. Decisi di appostarmi in un canalone dove in passato avevo visto e abbattuto diversi caprioli, ma dove quell’anno non ero ancora mai stato. Non sapevo neanche che tipo di coltura ci fosse sul terreno, anche se in quelle zone le possibilità sono sempre e soltanto due: stoppia (di orzo, biada o grano) oppure erbaio! Nonostante il caldo, l’umidità afosa e appiccicosa, la polvere e la miriade di insetti che popolano i nostri boschi in estate, assistere al sorgere del  sole avvolti dalla natura selvaggia, ridente e canora è una delle più belle sensazioni del mondo. 
 
Arrivai sul posto che stava quasi albeggiando  e, dopo aver parcheggiato la macchina, silenzioso, m’inoltrai nel bosco. Giunto in prossimità dell’appostamento, estrassi dal fodero la mia Bergara B 14 Green Hunter calibro 308 Winchester equipaggiata con ottica Delta Titanium 2,5 – 15 x 56 HD e di cartucce ricaricate con palla Nosler Ballistic Tip da 165 grani e l’adagiai sopra ad una grossa pietra. Vidi con piacere che nel campo che avevo antistante c’era  un bel manto chiaro di stoppia di grano e, nonostante l’ora, ne percepivo ancora il calore che emanava,dopo essere stato tante ore esposto al sole.
 
 
Nel periodo estivo le stoppie sono molto positive per la caccia, per due importantissimi motivi. Grazie al contrasto chiaro – scuro che offrono, ti permettono di poter sparare anche in scarsissime condizioni di luce, inoltre sono una pastura naturale irresistibile per tutti gli animali, volpi comprese.  Da dove mi trovavo, in base  alla direzione del vento e alle abitudini dei selvatici, avevo un campo di tiro stupendo.
 
 
 
Con la Bergara dotata di bipede Harris avrei potuto azzardare anche un tiro piuttosto lungo, nell’ordine dei duecentocinquanta – trecento metri. Essendo mancino piazzai l’arma verso la mia destra, così, senza nessun motivo apparente, poi presi il Leica Geovid 8 x 42 e cercai di vedere se qualche sagoma dalla forma famigliare fosse già presente nell’immensa distesa dorata. Non ci credereste mai, ma appena portai il binocolo agli occhi, la prima cosa che vidi fu un….”pulmino” col pelo! Ammazza che bestia, corpo lungo e tozzo, gambe corte, si vedeva benissimo che doveva essere un grosso cinghiale ben oltre il quintale di peso! E chi ti manda! Quel bel solengo s’era  attardato in pastura, perché evidentemente non doveva ancora essere sazio. Immaginai quanti chicchi di grano gli ci volessero per riempire il suo stomaco enorme. Con la flebile fiammella dell’accendino sondai il vento per l’ennesima volta e, soddisfatto, mi sdraiai dietro il ruvido calcio sintetico della B14. Non persi tempo e cercai di inquadrare subito il selvatico nel cannocchiale preparandomi al tiro. Frequento quel posto da oltre trent’anni quindi non ci fu bisogno di ricorrere al telemetro laser, lo sapevo benissimo che il cinghiale doveva trovarsi intorno ai centocinquanta  – centosessanta metri. A quella distanza la mia Bergara ricama rosate di 3 colpi in appena un euro, così posizionai il reticolo tra la testa e il collo, in quel punto indefinito dove non sai bene se finisce l’una o comincia l’altro, Controllai che l’appoggio fosse stabile, il respiro corretto e poi sparai. Il tonfo della palla che colpiva qualcosa di solido mi arrivò distintissimo, ma nonostante le scarse condizioni di luce, il modesto rinculo generato dalla 308 mi permise anche di vedere il grosso animale crollare sul posto (più o meno come un bisonte colpito da un cacciatore armato di Sharp!), direttamente all’interno delle limpidissimi lenti del mio cannocchiale Delta. Ricaricai veloce e rimasi in punteria su quella grossa sagoma scura immobile nella stoppia per essere pronto ad ogni evenienza. Poi, come mia vecchissima abitudine, raccolsi il bossolo sparato, rimpiazzai la cartuccia sparata,  mi feci coraggio ed andai a vedere. Fu come camminare in un campo minato con piccoli petardi. La stoppia riarsa scoppiettava sotto i miei scarponcini e, come accade tutte le volte che mi capita di procedere così, mi vennero in mente tutti i miei “colleghi” cacciatori che scelgono  di fare la caccia alla cerca in quelle condizioni. Già da diversi metri di distanza  vidi con piacere che dall’enorme testone spiccavano due meravigliose difese scintillanti.
 
 
Quando l’osservai da vicino m’impressionarono più i canini superiori, le coti, che le zanne vere e proprie. Il solengo era davvero enorme con un trofeo meraviglioso, anche il manto era molto bello, insomma avevo abbattuto un animale splendido, ma…. praticamente impossibile da recuperare da solo. E forse non sarebbe stato sufficiente neanche  un normale fuoristrada non dotato di cassone. Perso nel torpore tipico, contrastante di euforia – rilassamento che segue ogni abbattimento importante, mi accorsi che non avevo idea di che ora fosse.
 
 
 
Controllai sul telefonino e vidi che erano appena le sei del mattino. A quell’ora, quando Gelso non va a caccia dorme sereno come un bambino, ed io non ebbi il coraggio di svegliarlo così ripiegai su Luigi, che accettò di buon grado di aiutarmi,  raggiungendomi con la sua potente Vitara a passo corto. Appena arrivò nel campo, a pochi metri dall’animale, col suo accento toscanaccio affermò :“Bel  lavoro hai fatto! E ora  chi lo carica..il bisonte?” Effettivamente in due riuscimmo a malapena a metterlo in posa per qualche foto, così di comune accordo ci facemmo coraggio e svegliammo Gelso. “Forza dormiglione! Sbrigati che devi venere ad aiutarci e porta…il trattore con il sollevatore, che Marco ha colpito ancora e stavolta è veramente grosso!” In tre  girammo il grosso solengo per controllare dove l’avevo colpito e il lavoro svolto dalla potente Ballistic Tip da 165 grani. Una palla ad espansione controllata che colpisce tra testa e collo è risolutiva, indipendentemente dal calibro utilizzato.  Questa è  la caccia! Quella vera, fatta da posti bellissimi, selvatici,  meravigliosi e amici sinceri e soprattutto disponibili. Comunque, quando una giornata comincia bene non può che finire meglio. Io e Gelso cogliemmo due bei secchietti di more poi, mentre stavo rientrando, mi chiamò un altro amico per chiedermi un paio di consigli tecnico – balistici  ed in cambio mi regalò anche una decina di ottimi, profumatissimi meloni. Come non potevo dedicare un bel racconto ad una giornata così?

Marco  Benecchi    
 
 
 
 

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4 commenti finora...

Re: Caccia al cinghiale: "quando per il recupero ci vuole il trattore"

a hh a ah ah aha h ah aha ah a hha h aha

da ah h ah ah aha  24/10/2023 10.36

Re: Caccia al cinghiale: "quando per il recupero ci vuole il trattore"

Nce' sempo fatti vicchi

da Anselmo  22/10/2023 12.59

Re: Caccia al cinghiale: "quando per il recupero ci vuole il trattore"

H hah ah ha ha haha io ce vado co' la gru'

da Tinella  22/10/2023 10.32

Re: Caccia al cinghiale: "quando per il recupero ci vuole il trattore"

Cala Trinchetto.....

da Bummm, l'hai sparata grossa  21/10/2023 20.11
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