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ott13 13/10/2023
1. Lo scorso 6 ottobre, in località “Le Rocchette”, Castiglione della Pescaia (Grosseto), oggi Area Wilderness privata Marchese Eugenio Niccolini, è stato girato un servizio di RAI Parlamento (Programmi dell’accesso) sull’AIW, con riprese di vari scenari della tenuta ed interviste al Presidente dell’Associazione Aldo Giorgio Salvadori, al Segretario Generale Franco Zunino, alle Consigliere nazionali Virginia Massimo Lancellotti e Elisa Perrone, nonché al Marchese Ottavio Lucifero convinto sostenitore dell’Area Wilderness, presso la quale i suddetti dirigenti AIW sono stati ricevuti con gentile ospitalità. Il programma, della durata di 10 minuti, dovrebbe andare in onda nei primi giorni di novembre. Se ne darà tempestiva comunicazione quanto prima possibile.
2. I dubbi di un conservazionista. Ma come mai tanto interesse (giustissimo, peraltro) per la salvaguardia del “cervo italico” (esiste solo più quello sardo e una popolazione nel Bosco della Mesola – Delta del Po), dimostrato con la campagna per il “rewilding” (rinaturalizzazione) lanciata dal WWF, a fronte del grande DISINTERESSE per quella del Lupo italico? E’ infatti notorio o almeno evidente (in alcuni casi MOLTO evidente!) che i lupi che si aggirano lungo tutta la catena alpina non sono certamente Canis lupus italicus. Un problema ormai vecchio di quasi trent’anni (è quella l’epoca a cui risalgono le prime probabili – per non dire quasi provate, se gli indizi dicono qualcosa – in quanto le prove sono sempre state ben nascoste) su immissioni di individui quanto meno di dubbia provenienza sul versante francese, dal Mercantour e dintorni. Difatti è notorio a tutti (almeno a quelli che vogliono capire e vedere) che i lupi in circolazione sulle Alpi spesso hanno ben poco a che fare con il Lupo italico. Eppure fin da quei primi anni si è sempre cercato di sfatare questa realtà. Al punto tale che ora quel Lupo qualsiasi pur che ci sia il lupo (slogan coniato da chi scrive) rischia di far sparire la stirpe appenninica originaria che ancora oggi è ben evidente se non in tutti, in molti esemplari. Ecco, oggi che si parla tanto di rewilding servirebbe una SERIA ricerca di tassonometria (fenotipo e DNA) per stabilire una volta per tutte la distribuzione del Canis lupus italicus, e quale lupo si stia aggirando sulle Alpi. Invece, stranamente, a fronte di tanto interesse per il cervo italico (perché l’Italia è piena di popolazioni che non lo sono!), NESSUN INTERESSE per il Lupo italico. Quasi un tabù da non toccare, una posizione da mettere nel limbo, continuando a far credere al mondo che i lupi che si aggirano ormai in tutta Italia sono TUTTI Canis lupus italicus. E invece è una grande mistificazione! Quando si sveglierà il mondo dei biologi e zoologici che tutto studiano, meno che quello che si dovrebbe veramente studiare, tipo il mistero su questo lupo? O il mistero del fenomeno di addomesticamento dell’Orso marsicano? Due studi che nessuno sta facendo, né proponendo: due tabù da non toccare! Per quali misteriose ragioni? Invece per il cervo il WWF, al solito, se la prende con i cacciatori, benché sia notorio che non è certo la caccia a minacciare ciò che resta del Cervo italico. O forse si utilizza la lo spauracchio della caccia solo per favorire le contribuzioni a sostegno della suddetta campagna? Peccato che si faccia leva su un argomento fuorviante, che nulla a che fare con il “restauro degli habitat” di cui si dice nella campagna!
3. Tra trenta giorni sarà definitivamente approvato il Piano di Gestione della Riserva Naturale Regionale dell’Adelasia. Ne ha dato notizia il quotidiano La Stampa (che mai ha riportato le tante critiche e denunce di scempi scandalosi per una Riserva Naturale – come se non fossero “notizie”! – diffuse in merito dall’AIW, allertanti su quanto si stava programmando ai danni di questa un tempo splendida Riserva Naturale che il suddetto Piano trasformerà, almeno di fatto, in un’azienda agro-forestale e turistica). Ciò facendo, svilendo quell’impegno di conservazione di cui la Riserva aveva goduto quando per circa trent’anni era stata in proprietà privata; peraltro mistificando i fatti o omettendo notizie che potrebbero far sorgere dubbi sull’effettiva sua futura finalità. Ad esempio, si dice che il Piano di Gestione si stato steso “con la collaborazione dell’Università di Torino” e “seguendo le indicazioni europee”, omettendo di dire che la facoltà coinvolta non è quella che tutti si aspetterebbero, ovvero quella di Scienze Naturali, ma quella Agro-Forestale, che nulla dovrebbe avere a che fare con la gestione di una Riserva Naturale! Così come si omette di dire che le indicazioni della Direttiva europea servono per trovare un compromesso con i proprietari privati dei boschi, e non già con i boschi in pubblica proprietà, per i quali le Regioni possono anche decidere di “escludere la produzione di legname” (risposta della Commissione, ad un interrogazione parlamentare specifica sulla Riserva dell’Adelasia!). Si esalta invece la necessità di “mantenere e migliorare il livello di biodiversità degli habitat e delle specie di interesse comunitario”, ma non si dice che il Piano non prevede la difesa dei boschi rientranti nella legge per la difesa dei “boschi vetusti”: ben presenti nella Riserva! Né si dice che il Piano prevede addirittura la possibilità del taglio di alberi indispensabili per la vita del Picchio nero e finanche degli alberi centenari e monumentali se non inventariati precedentemente! In pratica, quella che era la più bella ed integra Riserva Naturale della Liguria quando si definiva “Riserva Naturalistica” e la proprietà apparteneva alla Società 3M Italia (e alle Società succedutesi), con l’approvazione del tanto decantato Piano di Gestione sarà trasformata in un’azienda agro-forestale più con finalità più produttivistiche e turistiche che non naturalistiche! E questo per La Stampa è evidentemente un “notizia”, un vanto per la Regione Liguria e la Provincia di Savona, visto che lo ha riportato mentre ha sempre ignorato di informare l’opinione pubblica sui dubbi e le critiche dei naturalisti e dei conservazionisti che all’epoca furono gli artefici di quella ormai estinta Riserva “Naturalistica” dell’Adelasia! Purtroppo per loro, di questo scandalo si parlerà ancora a lungo, specie quando le motoseghe riprenderanno a “cantare” ed i trattori a marciare; e allora saranno in molti a non farci una bella figura!
4. Alla fine ha vinto la saggezza: il Parco Nazionale di Portofino è stato creato… ma solo sui territori dei tre Comuni già coinvolti col precedente Parco Regionale e, ancora prima, con l’Ente Autonomo che risale al 1935. Si sono sprecati tempo e danari per avere un Parco Nazionale che in fondo già esisteva dal 1935 (aveva solo una diversa definizione, ma salvaguardato da una legge con concetti di base liberal democratici come nessun altro Parco ancora oggi possiede!). In pratica, si è tornati alle origini, almeno come territorio protetto. E bene hanno fatto la Regione Liguria e il governo nazionale a limitarsi a quanto hanno fatto, perché quelle altre migliaia di ettari che vi si volevano accorpare non possiedono alcun valore ambientale tale da meritare un Parco Nazionale! In fondo, chi lo ha mai detto che i Parchi per essere “Nazionali” devono comprendere grandi estensioni di territorio? Non è questa la regola su cui si devono basare queste istituzioni, ma, caso mai, sul valore delle aree o delle cose che vengono a proteggere (in fondo anche nella storica patria dei Parchi Nazionali, l’America, esistono Parchi enormi ma anche Parchi minuscoli quando la motivazione non richiede di più). Peccato che nel nostro paese la logica e il buon senso latitino, specie quando si muovono gli anticaccia che, in fondo, desiderano solo fare apporre il divieto di caccia ovunque, e per ottenerlo scendono anche ai compromessi più vergognosi (come quello di voler far credere che a nord del Monte di Portofino vi siano zone meritevoli di essere protette come Parco!).
5. Se ci voleva la prova che in Italia si preferiscono i vincoli d’imperio per proteggere i valori ambientali e culturali delle proprietà private, anziché provvedere ad acquisirli al bene pubblico, oggi ce l’abbiano. Per garantire un diritto di uso ad una strada (che forse sarebbe stato il caso che non fosse mai stata costruita!) che da accesso ad una serie di ville private lungo la costiera del Parco Nazionale del Circeo, ecco che il Comune di San Felice Circeo, dopo aver perso una causa intentata dai proprietari della stessa (o almeno un parte) e delle ville a cui conduce, ha deciso di provvedere all’esproprio (sempre che poi sia possibile, visto che non se ne vede l’esigenza pubblica nazionale). Peccato, perché lo avremmo condiviso se si fosse trattato di espropriare un tratto naturale e selvaggio del promontorio. Ma per una strada… bè, si poteva fare di meglio! Tanto più che rendendola formalmente pubblica, sarà un apriscatole per il turismo invasivo e senza controllo sul promontorio. Ecco che, forse, stanno di fatto e non certo volontariamente, tutelando quell’ambiente più gli egoistici proprietari delle ville che non il Comune… e tanto meno lo steso Parco Nazionale, che la vorrebbero liberamente aperta al pubblico per dare accesso a… “uno dei pochi punti dove si può fare liberamente il bagno sulla scogliera”. Come se il Circeo avesse poche spiagge dove poter fare i bagni a mare!
6. In Canada, nel Parco Nazionale di Banff, nei giorni scorsi un orso ha aggredito ed ucciso una coppia di turisti ed il loro cane. Le autorità del Parco hanno subito provveduto, senza sé e senza ma, ad abbattere l’orso assassino. Da noi stiamo ancora cincischiando nelle aule giudiziarie in merito all’orso che in Trentino ha ucciso un ragazzo! I media hanno scritto: “La polizia è arrivata nella zona alle 5 del mattino, ha provveduto a trasportare i due coniugi in una città poco lontana dal parco, mentre l’animale è stato abbattuto per motivi di sicurezza pubblica.” Punto e a capo. Quando si dice la serietà e l’efficienza di un Paese!
7. Non c’è niente da fare, nel nostro paese non è accettabile l’idea che una popolazione animale quando supera certi limiti vada ridotta di numero mediante operazioni di contenimento (che poi vuole dire ucciderne un certo quantitativo), e che, se si tratta di animali predatori, l’unico modo per limitare i danni e ridurre le lamentele degli allevatori sia quello sopradetto, ma anche il pagamento dei danni che questi animali arrecano. Pagamento da farsi con rimborsi che coprano al 100% i danni diretti e indiretti subiti. Così come l’adozione di metodi di contenimento dei danni deve essere solo facoltativo (a meno che non realizzati a spese della collettività), come le recinzioni elettriche o i pollai in metallo. Per non dire delle ultime “trovate” nella speranza di riuscire a salvare capre e cavoli (come se l’antico gioco non rappresentasse, in fondo, anche la saggezza contadina!) quali doppie barriere elettrificate (a Feltre, di recente i lupi le hanno agevolmente superate) o la nuova ideona dei collari che fanno puzzare le pecore come fossero lupi, che sembra che almeno in parte abbiano funzionato… ma solo al 50%! Per non dire dei lupi robot che dovrebbero sostituire i cani (non si capisce per quale ragione, visto che i costi superano certamente quelli per il mantenimento dei cani in carne ed ossa!); o forse qualcuno crede ancora alla favola degli spaventapasseri? Ecco, sembra che in Italia le cose pratiche e semplici non piacciano mai: si è sempre alla ricerca di altre soluzioni, perdendo tempo e sprecando danaro inutilmente quando le soluzioni dei problemi sono spesso semplici se fatti decidere almeno in collaborazione col mondo rurale che certamente su predatori e prede domestiche ne sa più dei tanti teorici studiosi da tavolino!
8. A proposito dei lupi “alpini”. A Sassello (Savona) nei giorni scorsi è successo quello che è successo per l’orsa Amarena in Abruzzo. Ed ora si stanno scatenando gli animalisti, certamente vincitori poi nelle aule giudiziarie: perché la legge è sempre legge, ancorché quando sbagliata. Una persona ha sparato ed ha ucciso un lupo sulla sua porta di casa. Se fossimo in un altro paese, sicuramente la cosa non farebbe notizia, anche perché non esisterebbe una legge che lo impedisca quando una specie animale ha superato i limiti per godere della necessaria protezione (e in Italia la specie lupo li ha superati da molti anni!). Ma non solo, in un paese seriamente interessato alla tutela della biodiversità forse si sarebbe già stabilito che questi lupi “alpini” hanno ben poco a che fare con la sottospecie che in Italia merita una severa protezione (mentre da noi anche gli ibridi riconosciuti tali formalmente, godono comunque di protezione… per mero spirito animalista!). I giudici ora dovranno decidere sul suddetto fatto. Ebbene, non sarebbe male se venisse posto loro il quesito se l’animale abbattuto può o meno rientrare nella specificità che la legge degli anni ’70 intendeva porre sotto protezione, perché qualora una seria (e super-partes, di laboratori NON italiani!) dovesse stabilire che non di Canis lupus italicus si tratta, ma di semplice Canis lupus di dubbia provenienza, forse il reato commesso non risulterebbe poi tanto grave, ed anzi, biologicamente parlando, potrebbe trattarsi di un aiuto al mantenimento della biodiversità naturale della specie, visto che ovunque nel mondo questa la si preserva eliminando gli individui che la hanno inquinata o la possono inquinare! Quindi, legalmente parlando, un attenuante per la persona che lo ha ucciso.
9. In Abruzzo, a Villalago (il paese di “Amarena”, per intenderci) intendono dare il via alla solita iniziativa molto di successo mediatico, ma con poco costrutto per salvare l’orso marsicano: “una foresta per Amarena”. Quello di piantare alberi da frutta per aiutare l'alimentazione dell'orso è una storia ormai vecchia, tanto vecchia quanto inutile (così come lo fu quella della potatura delle piante di mele selvatiche di ormai tanti anni fa!). E’ stato già scritto più volte in questi interventi, evidenziandone anche l'inutilità, in Wilderness/documenti con tanto di fotografie esemplari di alcuni di questi “frutteti per l’orso” con il prima (quando li piantarono) e il dopo (quando di quelle piante non è poi rimasto più nulla). Le ragioni della contrarietà sono talmente ovvie che ci si fa meraviglia del fatto che le si debba dire a gente dei paesi montani d’Abruzzo dove vive l’orso! Innanzi tutto, l’orso ha bisogno di prodotti di immediata utilità alimentare nel momento che andrà a cercarli, come ad esempio nei campi di mais, grano, lupinella, carote, ecc.. In secondo luogo, se gli alberi da frutto li si potesse piantare già vecchi di decine di anni con tanto di frutti già disponibili, la cosa avrebbe un senso. Ma visto che è mera utopia, in quanto, come giustamente alcuni sanno (e come più volte è stato scritto), quegli alberelli sarebbero ben presto distrutti dai cervi e dai caprioli non appena sarà tolta la recinzione protettiva che, si immagina, sarà posta a loro protezione; ma anche dagli stessi orsi non appena riuscissero ad iniziare a produrre qualche frutto. Per non dire della loro rapida mortalità non appena sarà cessata l’accudimento (acqua), anche e proprio per il luogo dove li vorrebbero piantare alle falde della montagna. Ma c’è poi un altro aspetto che va evidenziato: gli orsi devono essere aiutati a ritornare in montagna, lontano dai paesi, e i frutteti attorno ai paesi non è che favoriranno il loro allontanamento, anzi, sarà un altro motivo per attirali nei pressi dei paesi. Inoltre, ma chi è che si illude che gli orsi di fronte alla prospettiva di trovare in paese quegli alimenti di cui va alla ricerca, non lo farebbero limitandosi a cibarsi di mele o pere? Infine, ma lo sanno gli abitanti di Villalago, che le loro montagne sono già ricche di mele selvatiche e altri alberi con bacche appetite dagli orsi (come lo è tutto il Parco d’Abruzzo?). Infine, un riflessione: ma è mai possibile che anziché proporre cose facilmente fattibili e anche poco costose (almeno per la pubblica autorità: leggasi Parco Nazionale) come la semina di campi a lunga durata produttiva e la diffusione di greggi pascolanti sui pascoli (a costo di doversi dotare di “greggi pubblici”), per non dire della possibilità di formare dei carnai in zone selvagge (a costo poi di dismetterli, quando si potrà ottenere la più “naturale” possibilità di far trovare agli orsi e ai lupi carcasse di animali selvatici in luoghi ben lontani dai paesi), si pensino a queste iniziative che suonano tanto di promozione turistica, di convivialità sociale partecipativa (neanche fossero delle feste agresti!) e di entusiastica condivisione mediale (i giornali di solito ne vanno pazzi, pur di poter scrivere qualcosa che abbia effetto mediatico!). Ecco, come non chiedersi se si vuole veramente salvare l’orso marsicano o invece solo poter dire: io ho partecipato, io c’ero, quell’albero l’ho piantato io! Io ho fatto qualcosa di concreto per l’orso! Purtroppo per chi parteciperà a quest’iniziativa, non è così che salveranno l’orso marsicano! Non con la partecipazione ma con le rinunce, quelle rinunce che portano a lasciare in pace l’orso. Oppure protestando pubblicamente affinché le cose da fare le facciano le autorità che sono preposte a farle, che hanno i soldi per farle. Ma che non hanno alcuna intenzione di farle preferendo dedicarsi ai soliti monitoraggi, nella speranza che siano gli orsi ad allontanarsi spontaneamente dai paesi (dove forse proprio l'agire – o non agire! – delle autorità li ha spinti o favoriti a farlo).
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