Francamente è difficile capire perchè, per partito preso, il Governo stia conducendo a spada tratta questa dura battaglia contro la cosiddetta carne coltivata. O meglio, si capisce, ed in parte è condivisibile: la tutela dell'interesse produttivo delle nostre stalle, la difesa ad oltranza della naturalità del prodotto e dei posti di lavoro del settore non sono questioni da poco. Ma siamo sicuri che sia questa la strada giusta per difendere l'orgoglio dell'agroalimentare italiano?
E' plausibile che la produzione di carne e altri prodotti per mezzo di sofisticate tecnologie che fanno a meno dell'animale stesso (a parte la cellula d'origine), possa intaccare il mercato che si rivolge a chi cerca carne di qualità, genuina e connotabile per territorio e salubrità? Difficile.
Il divieto categorico di proseguire nella ricerca di questa nuova frontiera del cibo, che chiaramente ha qualcosa da dire e da dimostrare in termini di sostenibilità ambientale, sembra più una lotta contro i mulini a vento dato che, vuoi o non vuoi, non sarà certo l'Italia o il suo governo a fermare il progresso e la ricerca in questo campo. Il risultato di questo oltranzismo finora è stato quello di escludere il nostro Paese dal campo applicativo e sperimentale, precludendo così importanti opportunità di sviluppo anche nel settore agricolo per nuove illuminate imprese in Italia.
Non si può infatti non notare come l'impostazione governativa su questo tema strizzi l'occhio soprattutto all'allevamento intensivo industriale, non proprio il massimo in fatto di qualità del prodotto e sostenibilità ambientale per le enormi quantità di risorse consumate (acqua e foraggio) e l'inquinamento che produce. C'è poi la questione del benessere animale, date le condizioni in cui gli animali sono costretti a vivere prima di finire al mattatoio, e quella della possibile diffusione di patogeni, come è successo con il caso della PSA, in tali contesti produttivi.
Sono tutti temi che andrebbero affrontati con più obiettività e con la consapevolezza che se c'è un modo furbo, poco dispendioso e sostenibile per produrre in massa qualcosa che ha le stesse identiche caratteristiche a livello qualitativo e organolettico di prodotti a largo uso come hamburgher e wurstel per esempio, troverà modo di imporsi sul mercato, con noi o senza di noi.
Non è un dibattito facile. E servirebbe tale obiettività anche per ricercare fin da subito un punto di equilibrio che possa evitare implicazioni estreme a livello etico e che possa mantenere aperta la libera scelta per il consumatore di acquistare il prodotto che preferisce, affiancando dunque alla bistecca derivata dal taglio del muscolo di un animale realmente vissuto, in cattività o libero in natura come il selvatico, il prodotto alternativo "sintetico".
Voi cosa ne pensate?
C. F.