Non sono riuscito a trovare il termine “Uncinara” nei vocabolari, ma il verbo “uncinare” si. Significa pescare con amo, oppure piegare, foggiare a forma di uncino un ferro, uno spiedo etc. Una cosa è certa, che se vuoi agganciare e sorreggere una oggetto devi farlo con un utensile di forma uncinata, praticamente quello che occorre per appendere un grosso selvatico in modo da rendere agevole la scuoiatura e la preparazione corretta della spoglia. Infatti non c’è squadra di Cinghialai, degna di questo nome, che non abbia la sua bella Uncinara, dove attaccare i cinghiali abbattuti per poterli macellare e poi spartirne equamente la preziosissima carne tra tutti i partecipanti alla battuta, senza distinzioni.
E’ ovvio che c’è una certa differenza tra lavorare in una bella sala adibita a vero e proprio macello e lo spezzare con un’accetta o con una mannaia i cinghiali su un ciocco di legno improvvisato, o addirittura a terra con ancora la cotenna attaccata. Nonostante io abbia partecipato a molti corsi sul Trattamento Corretto della Spoglia dei Selvatici e sulla loro profilassi igienico – sanitaria, non voglio criticare chi usa metodi poco ortodossi per macellare un cinghiale nel bel mezzo al bosco, ma vorrei descrivere e confrontare i metodi che adottano le varie squadre di cinghialai. Abitando nella Maremma Laziale, cacciando prevalentemente in quella Toscana con qualche sporadica uscita anche in Umbria, ho visto come possano essere diverse sia le tecniche di macellazione sia le usanze sulla spartizione delle carni.
In Toscana l’operazione è , per così dire, molto più “casareccia”. Il 70% delle squadre usa appendere i capi abbattuti a delle Uncinare improvvisate in prossimità del Rialto, dove al mattino ci si raduna prima dell’inizio della battuta. Siti spesso sprovvisti addirittura di un riparo e di un tavolino dove poter appoggiare il registro delle presenze. Questo accade nelle piccole squadrine, ma non in tutte. Ci sono squadre che per radunarsi e per operare utilizzano dei vecchi casolari dell’Ente Maremma in disuso che, opportunamente restaurati, si prestano molto bene allo scopo, ma sono piuttosto rari e necessitano di cure e di risorse (sia umane sia economiche) per essere mantenuti in buono stato tutto l‘anno. Perché non dobbiamo dimenticare che una squadra di cinghialai ha molte spese da sostenere, in primis il costo esorbitante dei veterinari. Altre comitive si organizzano in capannoni, fienili, e in qualsiasi altra location che possa ospitare una piccola”Uncinara”, qualche tavolo, un ceppo di legno e l’indispensabile acqua, meglio se corrente.
Nel Lazio, in particolare nel Viterbese, nella Alta Tuscia, il discorso cambia. Ho cacciato con delle squadre che disponevano di veri e propri macelli attrezzati di paranchi, scivoli soprelevati dove far scorrere i ganci con gli animali appesi, piccole celle frigorifere e banchi in PVC alimentare dove spezzare i quarti. Se, come abbiamo visto , ci sono alcune squadre che spartiscono i cinghiali abbattuti con le setole, ne esistono delle altre che addirittura disossano le spoglie distribuendo a tutti i partecipanti la loro razione di carne in bocconcini magri con precisione al grammo. Senza stare a scomodare tenie e vermi varie, molte malattie possono essere trasmesse dai cinghiali sia all’uomo sia ai nostri ausiliari. Da qualche tempo dobbiamo fare i conti anche con la Peste suina africana, la pseudo rabbia e la trichinella, tutte patologie con cui non si scherza, e che devono essere affrontate con la giusta attenzione. Ma questo è un altro discorso che mi sono riproposto di affrontare in un capitolo a parte.
Quel di cui vorrei parlare, discutere, confrontarci, è come ogni singola squadra spartisce, spero sempre equamente, tutti i capi abbattuti. Ultimamente qualche grossa squadra che fa dei numeri importanti come abbattimenti annui, addirittura nell’ordine di oltre trecento capi, ha preso la bella abitudine di destinare una certa percentuale di cinghiali abbattuti alla vendita presso i centri abilitati alla raccolta. Questo è senza dubbio un ulteriore bel modo di fare “cassa” per sopperire alle spese impreviste, sempre riguardanti la complessa gestione della squadra.
Durante una delle ultime battute, alla quale ho partecipato nella splendida Tenuta Antica Maremma di Pomonte – Scansano, ad un solo canaio i cinghiali hanno ucciso un cane e feriti altri otto! Potette ben immaginare il conto dei veterinari, praticamente insostenibile da un singolo cacciatore. Comunque, per ritornare al nostro argomento: la macellazione e la spartizione dei capi, c’è da dire che una palla asciutta tirata da un fucile a canna liscia, così come un proiettile da carabina sparato ad alta velocità, creano notevolissimi danni alla spoglia, specialmente quando attingono grosse ossa. Quindi sarebbe sempre auspicabile rimuovere tutta la carne danneggiata dai proiettili sul posto, in campagna e non nella cucina di casa, in quanto, oltre a fare infuriare le nostre brave e comprensibili consorti, non è certo il massimo per igiene e praticità. Figuriamoci poi se questa operazione dovesse essere fatta su un bel trancio di animale con tutto il pelo addosso, Pelo & Company …. con questi ultimi che ci preoccupano di più. Perché se c’è una cosa che il nostro carissimo amico cinghiale non si è fatto mai mancare sono proprio i parassiti sia interni sia esterni. Considerando che la sua carne è squisita e genuina – perché, come diceva mio padre.. “un animale selvatico mangia quello che vuole, non quello che gli viene imposto di mangiare” -, sarebbe il caso di riuscire a portarla a casa nelle migliori condizioni possibili, pronta per essere marinata o meglio ancora congelata.
Capisco che dopo una giornata frenetica di caccia, dopo le faticose fasi di recupero dei capi abbattuti e l’attesa del rientro dei cani, mettersi anche a spellare i cinghiali non è certo piacevole, ma con un pizzico di collaborazione e disponibilità di TUTTI i partecipanti alla battuta, si può e si deve fare un buon lavoro. E’ chiaro che mentre i canai accudiscono e curano i loro cani le poste non devono starsene con le mani in mano a scherzare, guardare i telefonini e rigirarsi le dita, delegando a pochi volenterosi tutto il gravoso compito di appendere all’Uncinara, di macellare i capi abbattuti e poi di dividerne le carni! A volte può essere sufficiente pulire l’area intorno a chi lavora, dare una mano nello smaltimento di pelli, teste, ossa, frattaglie non commestibili, di recuperare i campioni organici da consegnare alle ASL, affilare i coltelli, preparare le bustine. Insomma, sicuramente c’è da fare più a fine battuta che durante la cacciata, specialmente se il carniere è stato molto ricco.
Eliminare il superfluo, il fastidioso e la sporcizia direttamente al rialto, al ritrovo, dovrebbe essere imperativo e a farlo dovrebbero esserlo delle persone competenti perché (e non mettetevi a ridere!), conosco dei cacciatori che, pur sfoggiando splendidi pugnali di fabbricazione tedesca o spagnola alla cintola, non sanno affettare un salamino senza correre il rischio di tagliarsi un dito! Non voglio immaginare cosa possa succedere se dovessero invece scuoiare un bel coscio di cinghiale in cucina. Per ricapitolare, vorrei ricordare che tutta la carne della selvaggina abbattuta, oltre ad avere un alto valore nutritivo è anche un bene economico, che deve essere apprezzato e soprattutto rispettato... come l’animale che ce lo ha donato.
Marco Benecchi