Durante uno di suoi spettacoli, il bravissimo comico romano Maurizio Battista ha confessato che molte delle sue esilaranti battute non sono “farina del suo sacco” ma riprese fedelmente da ciò che ascoltava quotidianamente quando faceva il barista nella Capitale. Perché, ammettiamolo, in ognuno di noi c’è uno showman, un comico, uno scrittore … un poeta! Infatti chi se lo sarebbe mai aspettato di sentir pronunciare “L’inferno di Dante” durante una battuta di caccia al cinghiale?
A urlare questa battuta fu Massimo, il Capocanaio della squadra di Pieve a Salti quando si ritrovò letteralmente imprigionato in un inferno di rovi, spinai e marruche. Fu una giornata piacevolissima sotto tutti i punti di vista, così ve la voglio raccontare. Partecipare ad una battuta al cinghiale è sempre una bella esperienza, ma quando si svolge in Val d’Orcia, dove sono state girate anche alcune scene del grande colossal Il Gladiatore, è tutta un’altra cosa. Ovunque arrivi lo sguardo i paesaggi sono mozzafiato, specialmente quando sole e nebbia si coniugano in un caleidoscopio di colori, ti senti pervadere da un senso di pace e di beatitudine unico.
Nel cielo bellissimo, reso terso da un lieve vento di Tramontana, volavano migliaia e migliaia di colombacci, tra le siepi saltellavano tordi e merli e, fin dove potevo arrivare con lo sguardo, tutti i prati erano punteggiati da macchioline grigio scuro col posteriore bianco candido. Se c’è una cosa che non manca di certo in quella valle sono proprio i caprioli e vederli pascolare o rincorrersi ti fa credere di essere in un altro mondo. Quel giorno volevamo fare una piccola battuta, poco più che una girata, nella bellissima Tenuta di Pieve a Salti che si trova a un tiro di schioppo dal bel paesino toscano di Buonconvento.
Pieve è una piccola riserva caratterizzata dagli inconfondibili calanchi senesi ma anche da impenetrabili forteti, perché all’interno dell’Azienda non è mai stato allevato nessun animale brado. Arrivammo al raduno dopo aver fatto un a sosta a Montalcino e attraversato per intero la splendida riserva dei Ferragamo, un angolo di paradiso che ogni volta che ci passo mi fa venire la voglia di comprare un biglietto della lotteria o di giocare al Superenalotto.
Dopo aver sbrigato la burocrazia necessaria segnando i Porto d’armi sul libro delle presenze, raccogliemmo le nostre cose e ci mettemmo in paziente attesa che Massimo e Maurizio, che fungevano da Capobracca e da Capocaccia, decidessero quale macchia fare e quindi dove piazzare le poche poste a disposizione. In tutto non eravamo neanche dieci cacciatori, ma come dice il proverbio: pochi ma buoni! Dopo aver ricontrollato le varie tracciature del terreno e verificata la direzione del vento, partimmo coi fuoristrada eccitati e speranzosi. Raggiunta la macchia del Boscone, a me e Alvaro, il mio compagno di mille avventure, ci piazzarono davanti ad un magico anfiteatro naturale con la collina dove sorge Montalcino a farci praticamente da cornice.
Sotto di noi c’era una lunga striscia di macchia fatta ad “L”, dove Maurizio sistemò strategicamente tutte le altre poste. Quattro canai avrebbero dovuto battere da soli non so quanti ettari di boschi, canaloni, cannuceti ed incolti. Ma la Tenuta Pieve a Salti possiede una caratteristica che la contraddistingue da molte altre....è composta da isole di macchia circondate da immensi campi aperti, da tanti piccoli appezzamenti incolti, oppure lavorati con delle culture lasciate a perdere proprio per sfamare gli ungulati, che permettono ai cacciatori appostati di godersi tutta la battuta a 360°.
Ovunque guardassi, vedevo giubbini arancioni (forse l’accessorio più prezioso del moderno cinghialaio), visibilissimi anche a grandissima distanza e in ogni dove. Le poche poste erano state strategicamente ben piazzate sui poggi e i braccaioli ben schierati a fondovalle. I colombi nel cielo e i branchi di caprioli nei prati furono una piacevole costante che ci fece compagnia per tutta la durata della battuta di caccia. Nonostante io abbia un’ avversione viscerale per le radioline (perché quando partecipo ad una battuta di caccia mi piace viverla il più possibile a contatto con la natura per godermi tutti i rumori o assaporare i silenzi) a Pieve diventa un accessorio indispensabile, anzi..fondamentale.
Vista la conformazione del territorio e l’esiguo numero di partecipanti alla cacciata, aver dietro una radiolina è un piccolo prezzo da pagare in un contesto invece perfetto sotto tutti gli altri punti di vista. Tra me, Alvaro ed il vicino di posta che avevo alla mia destra c’erano più di duecento metri di distanza. Maurizio, riconoscendo la nostra ultra decennale esperienza, si astenne dal farci delle raccomandazioni sul comportamento da tenere e sul dove e come tirare, ma ci consigliò di essere vigili e mobili, semmai avessimo avvistato dei selvatici non proprio a portata di tiro. Data la distanza che ci separava dal bosco e il grande spazio che i cinghiali avrebbero dovuto coprire per raggiungere un altro corpo di macchia alle nostre spalle, se fossimo stati pronti e attenti avremmo potuto tranquillamente tagliargli la strada, o fargli una “tracolla”, come si dice in Maremma. Poi eseguii le stesse operazioni che ripeto da sempre. Sistemai il seggiolino a treppiedi, controllai che la pila del mio Leica Tempus 2 fosse carica, cercai di individuare gli ipotetici passi per avere una certa idea da dove sarebbero potuti arrivare i cinghiali, camerai una 30.06 ricaricata con delle micidiali palle Nosler Ballistic Tip da 165 grani nella canna della mia fida Browning BAR Long Trac Composite ed infine controllai per l’ennesima volta dov’erano di preciso i miei due vicini di posta. Per radio annunciarono l’inizio della battuta con un semplice: “Se tutto è apposto noi sciogliamo!”
I cani agganciarono subito l’usta giusta e partì presto una bella canizza. Trent’anni fa mi sarei fatto uccidere prima di mettermi in una posta come quella che presidiavo io. Ero nel bel mezzo di un campo arato, e tolta la macchia che avevo davanti tutto intorno c’erano prati immensi. Fortunatamente oggi anche i cinghiali non sono più quelli di una volta. Durante le loro fughe prendono tranquillamente i campi aperti come se nulla fosse, quindi…tutto sommato non ero messo poi così male. Kira, la segugia Maremmana capo muta di Massimo, si esibì in un assolo meraviglioso, in una vera delizia per gli amanti del vero “abbaio a fermo”, ma fu necessario mandarle i rinforzi affinché i cinghiali stolzassero dalle loro lestre. Non faceva particolarmente freddo, ma nonostante indossassi un’ottima giacca High Tech in Gore Tex in tinta “regolamentare”, mi sentivo l’umidità nelle ossa. Vidi che anche Alvaro aveva i miei stessi problemi, perché non stava un attimo fermo e sono relativamente facili da svolgere, perché gli animali una volta scovati e messi in movimento, tendono ad allontanarsi subito dal disturbo provocato dai cani e dai battitori.
Possono percorrere un tragitto più o meno lineare per farlo, ma la loro meta è sempre la stessa e quindi prevedibile! Dai latrati presi dai bravissimi ausiliari capii subito che i cinghiali mossi dovessero essere più di uno. Infatti ecco che vidi correre nel prato le prime familiari sagomine nere. Simpaticissimi e quasi spettacolari furono i colpi sparati, vedevo prima le fumate in terra e poi udivo gli spari, a causa della distanza e della direzione del vento. La prima fase della battuta fece contare un totale di due capi abbattuti, sette o otto “padellati” ed un paio di cinghiali riuscirono a svignarsela senza neanche essere stati presi di mira. Sono cose che succedono e ci può stare! Nella caccia la prima ferrea regola è quella di accontentarsi sempre, mentre la seconda è quella di chiudere la battuta possibilmente con un gran sorriso sulle labbra e in mano un buon bicchiere di rosso, meglio ancora se di Brunello di Montalcino o di Montecucco! Mi concessi il lusso di fare quattro conti, dai quali risultò che nell’arco della mattinata avevo visto dieci – dodici cinghiali correre, una miriade di colombacci e un numero impressionante di caprioli. Pieve a Salti è davvero una riserva splendida.
Con il trascorrere delle ore anche il freddo diminuì, verso le tredici si stava una meraviglia. Tramite Radio Macchia sentii che la bracca si sarebbe concentrata nel tratto di bosco sotto di noi e quindi non dovevamo fare altro che starcene tranquilli in attesa, ma sempre vigili e attenti. Ad un tratto sentii gridare “Alvaro e Marco! Attenti che arriva!”. Poi Massimo fu ancora più preciso “Attento Marco che arriva”. Quello fu l’avvertimento più bello che un appassionato di caccia al cinghiale in battuta possa mai sentirsi annunciare. Mi alzai lesto dallo sgabellino, controllai che la sicura fosse nella posizione giusta e che il Dott. Rosso avesse l’intensità adeguata, poi allertai tutti i sensi. Quel che mi meravigliò, e non poco, fu la totale assenza di rumori. Una bella scrofa uscì dal bosco silenziosa e furtiva come un ratto e con foga prese a correre in diagonale sotto di me. Ne seguii affascinato il poderoso arrancare in salita, ma dovetti sbrigarmi ad abbatterla con un colpo ben piazzato, prima che si allontanasse troppo. Poco dopo anche Alvaro abbatte un bellissimo cinghiale e, visto che si stava facendo tardi, mi aspettai da un momento all’altro che Massimo e gli altri canai facessero la “stretta finale” verso le poste, nonostante fosse noto che il “cul de sac” della battuta era il pezzo più fitto e quindi più difficile da battere. Neanche avesse percepito i miei pensieri Maurizio per radio spronò tutti i canai proprio come avevo previsto, incitandoli a fare quello che ogni bracca “dovrebbe” fare - perchè spesso non lo fa - compiere un ultimo energico sforzo per indirizzare tutti i cinghiali verso le poste, magari quelli più furbi rimasti fermi nell’ultimo tratto di bosco.
I nostri bravi amici all’interno della macchia non se lo fecero ripetere una seconda volta e si buttarono a capofitto nell’impresa, ma poco dopo ci giunse un urlo, che fu talmente simpatico da meritare di essere raccontato: “Ragazzi, qua dentro se more. Nun se passa, mi sembra d’essere dentro l’Inferno di Dante!” Per dirlo Massimo, che non è un semplice bracchiere ma un “Siluro umano” doveva esserlo davvero! Credetemi, ho visto Massimo attraversare la intricatissima macchia Merditerranea come un motoscafo solca il mare, specialmente quando deve intervenire per proteggere i suoi cani impegnati in qualche scontro coi cinghiali particolarmente pericoloso. Quindi, per lamentarsi lui doveva essere proprio … nell’Inferno di Dante! Quel che ci fece sbellicare dal ridere fu il riferimento al sommo Poeta, come gli fosse venuto in mente, non essendo certo né un letterato, né un appassionato di antichi poemi nessuno lo sa, forse neanche lui. La battuta finì così, anche perché era pomeriggio inoltrato ed il tableau finale fu definito unanimemente .. soddisfacente.
Qualche cinghiale lo avevamo sicuramente lasciato nel bosco, qualcun’altro s’era salvato perché sbagliato, ma la giornata era stata meravigliosa, di sicuro una tra le più belle della stagione venatoria in corso. Per la bellezza mozzafiato del territorio, per la bravura degli ausiliari, ma soprattutto per il calore e la simpatia di tutti i componenti della squadra di Pieve a Salti, cacciare nei calanchi senese ed anche perché no, nell’inferno di Dante è sempre un grandissimo piacere e chissà se in futuro il buon Massimo riuscirà a sorprenderci ancora con qualche bellissima uscita dantesca!
Marco Benecchi