L’inspiegabile mistero di una scelta ideologica Che fa a pugni con la conservazione della natura e della sua biodiversit�
VENETO. La grande Foresta del Cansiglio (Veneto e Friuli Venezia Giulia), una delle più belle d’Italia, è da anni sotto continue minacce (piste da sci e impianti di risalita e centrali eoliche). Giustamente i gruppi ecologisti che da anni si battono per la sua salvaguardia, ora si stanno muovendo per avanzare richiesta che si riducano i tagli boschivi che da sempre sono stati una risorsa forestale, ma che trattandosi di foresta di pubblica proprietà forse sarebbe il caso che, pur comprendente diverse zone interne già integralmente protette come Riserve Naturali (e anche Aree Wilderness, almeno per la parte friulana), altre aree siano sottoposte ad una non gestione forestale a scopo commerciale e dichiarate “protette”. In particolare i suddetti gruppi hanno avanzato richiesta che venga posto un veto al taglio degli alberi con dimensioni superiori ai 70 cm di diametro a petto d’uomo, che invece i tecnici forestali vorrebbero abbattere per fare posto al rinnovamento spontaneo di alberi da poter poi utilizzare commercialmente prima che divengano monumentali.
È certamente una proposta condivisibile, ma la Foresta del Cansiglio ha tra i più gravi problemi proprio quello del suo rinnovamento, impedito o reso difficoltoso non tanto dagli alberi monumentali che sottraggono spazio e luce alle giovani pianticelle di novellame, ma dall’intenso brucamento delle stesse da parte dell’eccessiva presenza di cervi proprio in quanto dannosi per la biocenosi forestale!
Quei cervi che gli stessi suddetti gruppi ecologisti si ostinano a non voler ridimensionare, nell’illusione che vi debbano provvedere i lupi recentemente comparsi anche da quelle parti. Peccato che questa sia mera teoria da manuale naturalistico, e che proprio l’eccessiva presenza dei cervi è forse la più grave minaccia al futuro della foresta e proprio alla possibilità che in futuro gli attuali alberi monumentali possano avere dei sostituti una volta giunti a fine vita per senescenza!
Un problema peraltro non unico per quella foresta, ma anche per tante altre in tutta Europa, e che solo mantenendo basso il numero e il proliferare dei grandi erbivori si può risolvere; come avviene anche in non poche aree protette del mondo, Parchi Nazionali compresi (dove il tabù dell’uso del fucile quale mezzo equilibratore è stato da tempo accantonato).
Se si salvano gli alberi monumentali e nello stesso tempo si consente ai cervi di brucare il novellame circostante, semplicemente oggi lasceremo una pessima eredità ai nostri posteri, i quali non potranno più godere della bellezza degli alberi monumentali della cui salvezza oggi tanto ci preoccupiamo!
ABRUZZO. Ma in che paese viviamo, dove l’animalismo è talmente preponderante (finanche sulla politica, almeno a vedere come destra e sinistra si confondono e si imitino l’un l’altra pur di non disturbare gli animalisti!) da occultare ogni altro problema, finanche a giungere alle prime pagine dei giornali neanche si trattasse della guerra in Ucraina o in Medio Oriente?
I cervi sono animali bellissimi e degni di vivere quasi ovunque nel nostro paese (che non è fatto solo di foreste e montagne), ma da questo a sostenere che ridurre il loro numero quando diventa dannoso alle foreste, all’altra fauna e finanche alle persone (incidenti automobilistici) ce ne dovrebbe passare. Invece no: cervi ovunque, per sempre, finanche nei nostri giardini e in mezzo ai paesi.
In America (USA) quando fanno danni li abbattono anche nei Parchi Nazionali senza che nessuno gridi allo scandalo. Sono addirittura apparsi articoli di lode a queste iniziative, su prestigiose riviste di conservazione e della difesa dei Parchi Nazionali, dove hanno elogiato le autorità gestionali degli stessi per il loro intervento “mano armata” in difesa della biodiversità minacciata dai troppi cervi (tra l’altro trasformando la necessità di ridurne il numero in benefici sociali – posti di lavoro – ed anche economici (la macellazione e vendita della loro carne). Da noi i cervi, che, si noti bene, si cacciano praticamente in tutta Italia dove il loro numero è cresciuto al punto tale da consentirne un certo prelevamento, in Abruzzo dove sono divenuti una calamità, questo non si può fare. È divenuto un tabù!
Chi scrive è stato se non l’artefice dell’idea della loro reintroduzione, almeno il “braccio” che ha trasferito I PRIMI in Abruzzo, nello storico Parco Nazionale (si parla degli anni ’70 del secolo scorso). Ed essendo stato anche il primo studioso sul campo dell’Orso marsicano, non per nulla proprio per quest’ultimo fatto, ad avvenuto reintroduzione, è stato anche il primo a scoprire che, purtroppo, l’eccessiva presenza di cervi almeno in alcune importanti zone di habitat dell’orso marsicano, aveva creato situazioni di conflitto tra le due specie, a danno del ben più raro orso marsicano. Preannunciando, quindi, il pericolo che una loro (dei cervi) eccessiva presenza si sarebbe presto rivelata un danno per l’orso marsicano e per le foreste. Sono trascorsi cinquant’anni da quei fatti, e quanto era stato previsto si è regolarmente verificato!
Oggi la presenza di migliaia di cervi (peraltro favoriti da una situazione ambientale che li ha resi individui anche più grandi – e quindi più impattanti sull’ambiente – del previsto) si è rivelata una presenza competitiva non da poco. Ed a questo si è aggiunto l’elevata possibilità di sempre più frequenti incidenti automobilistici col rischio di morte per uomini e animali; ragion per cui ridurne il numero è divenuta la cosa più ragionevole e più saggia da farsi.
Invece dobbiamo sentire la Brambilla e i suoi seguaci protestare affinché questo rischio aumenti sempre più (sia per l’uomo che per l’orso): animalismo puro portato alle estreme conseguenze. Purtroppo col silenzio anche di ben note e “potenti” sigle ambientaliste, che al massimo fanno parlare le sedi locali (per non perdere il credito animalista nazionale?)! Estreme conseguenze sia a danno dell’uomo che a danno dell’orso marsicano, ma anche delle foreste e della rara flora abruzzese, e, dice qualcuno, finanche del raro Camoscio d’Abruzzo – come l’orso, sottospecie (o specie) a sé stante e ben più pregiata del cervo.
Per impedirne la riduzione del numero hanno al solito scomodato i giudici, i quali, verosimilmente male informati (colpa della politica, spesso troppo sicura delle sue scelte; e forse anche delle organizzazioni venatorie, spesso troppo frettolose e anche loro troppo sicure dei loro operati!), chiamati a dare un parere si sono ovviamente limitati ad esaminare le regole, stabilendo contraddittoriamente e in qualche caso andando anche fuori dalle righe con suggerimenti che non spetterebbero loro – Tar e Consiglio di Stato –, che forse non erano state del tutto rispettate (dalla Regione, dalle organizzazioni e tecnici competenti, e dall’ISPRA). E allora, le si rispettino e si provveda poi a questi abbattimenti prima che sia troppo tardi per l’uomo, l’orso marsicano (per il quale molte carcasse di cervi potrebbero divenire abbondante e salutare cibo prima di affrontare l’inverno), il camoscio d’Abruzzo, le faggete (“vetuste” comprese!) e tante specie della rara flora minore.
Perché questo dice l'ultima sentenza del Consiglio di Stato, non che non si debbano abbattere i cervi come hanno sostenuto la Brambilla e il WWF locale. Ovunque nel mondo la conservazione della natura e l’animalismo non sono mai andati d’accordo, ed anzi non poche volte esprimono concetti inconciliabili, visto che l’animalismo, per la natura, sua bellezza e specificità, spesso si è rivelato più pernicioso che non la tanto vituperata “caccia”.
Oggi, in questa storia dei cervi d’Abruzzo, da condannare sono proprio gli animalisti per il danni che stanno arrecando alla gente e alla biodiversità! Essi dovrebbero infatti spiegarci come sia possibile che migliaia cervi siano un danno in Abruzzo mentre non lo sono in gran parte dell’Italia centrale e del nord, dove i cervi si cacciano senza alcun problema, anzi con beneficio e soddisfazione di tanti, mondo naturale compreso, e finanche nel Parco Nazionale dello Stelvio. Perché verità e giustizia dovrebbero andare di pari passo e non già secondo, e in base, alle ideologie.
Franco Zunino Segretario Generale AIW