Qualche giorno fa sono andato a tarare una bella carabina in calibro 9,3 x 62 di un mio caro amico e, per l’occasione, ho voluto dare una controllatina anche al mio kipplauf in calibro 5,6 x 50 R Magnum. Con sei colpi la sua era a posto, mentre il mio sparava esattamente come lo stesso giorno che l’avevo tarato, alcuni anni prima. Purtroppo però non sempre è così. A volte assistiamo a dei fenomeni a cui non sempre si riesce a dare una spiegazione logica.
Sono sicurissimo che sarà capitato anche ad alcuni di voi che, alla vigilia dell’apertura della caccia, nel ricontrollare la taratura dell’ottica della carabina vi accorgete che non è più la stessa! Eppure ricordavate bene di non avergli fatto prendere brutte botte, che tutto l’impianto arma - attacchi – ottica era ben fissato con delle robuste viti impregnate di resine epossidiche e che avevate usato lo stesso lotto di munizioni. C
ome già accennato, simili variazioni della taratura a volte sono inspiegabili, ma se l’esperienza insegna, credo che quello sia un fenomeno più diffuso nelle armi nuove che, a ragione, hanno ancora bisogno di un periodo di “assestamento” prima di “stabilizzarsi” definitivamente. Le carabine con il calcio in materiale sintetico ne risentono in modo minore perché se l’accoppiamento tra la meccanica ed il calcio è solido e senza incertezze, non dovrebbero più subentrare fattori negativi.
Per quanto riguarda i calci in legno, il discorso è ben diverso, perché il legno è, o almeno era, una cosa viva. Una volta per costruire i calci si usavano delle tavole stagionate e opportunamente trattate, oggi invece il 90% delle calciature sono prodotte industrialmente in grossi quantitativi e vengono “stagionate” artificialmente.
Purtroppo il risultato di un simile trattamento non sempre è perfetto e questo credo proprio che sia uno dei motivi del perché, “inspiegabilmente”, una carabina dopo essere stata un anno in rastrelliera non tira più bene come il giorno che l’abbiamo tarata. Io di solito quando monto un’ottica sopra ad un’arma rigata mi procuro almeno cento cartucce perfettamente identiche prima di andarla a tarare e, specialmente se è nuova, a distanza di qualche mese ripeto l’operazione ricontrollando i punti di contatto tra la canna e la calciatura ed il tiro delle viti di collegamento. Inoltre dò per scontato che il montaggio dell’ottica e degli attacchi sia stato eseguito a regola d’arte e che tutte le viti presenti siano state prima sgrassate e poi cosparse di un liquido frena filetti. Non ci crederete mai di che cosa siano capaci di fare le vibrazioni provocate da un costante e robusto rinculo, fenomeno non certo trascurabile nei medi – grossi calibri e specialmente se ci siamo innamorati di un’ottica variabile di 700 – 800 grammi di peso!
Al momento dello sparo le sollecitazioni in gioco sono notevoli e mettono a dura prova qualsiasi accoppiamento. Le armi concepite per il tiro di precisione devono essere ricontrollate con una certa frequenza e con un occhio ad alcuni piccoli particolari, se vogliamo che siano sempre perfettamente efficienti. Questi particolari sono costituiti dalle viti che stringono il tubo dell’ottica e dalla pulizia della canna. Le viti di accoppiamento dei due semianelli, essendo di piccole dimensioni, devono essere molto robuste e quindi costruite con un acciaio ad alta percentuale di carbonio. In questo modo sono resistenti a certe sollecitazioni ma purtroppo meno resilienti ad altre. Lo conferma il fatto che spesso alcune viti si spezzano di netto dopo pochi colpi sparati. Se quando le viti si rompono ce ne accorgiamo subito poco male, in un modo o nell’altro riusciamo a sostituirle, ma se invece andiamo a caccia con qualche perno in meno non credo che sia una cosa buona e giusta.
E poi c’e l’eterno dilemma della pulizia delle canne, uno dei temi più scottanti che gravitano intorno al magico mondo della caccia a palla. L’olio nella canna ci si può mettere, oppure bisogna cercare di evitarlo? Io non ce lo metterei neanche per tutto l’oro del mondo. Lo so, forse faccio male, ma proprio non me la sento di avere per la testa un tarlo che prima di una battuta di caccia mi mormora di continuo: “Come sparerà l’arma stamattina? Sei riuscito a rimuoverlo bene l’olio dalla canna?”.
Se non siete dei grandissimi bruciatori di cartucce, di quelli che sparano con la stessa arma centinaia e centinaia di cartucce l’anno, limitatevi a pulire la canna con uno scovolino ramato oppure con uno in semplice setola, una volta al mese. Sarà sufficiente a rimuovere dall’interno delle canne quel poco ossido (se si è formato) e qualche piccola particella di polvere. Posso ancora ammettere l’uso di un leggero strato di solvente molto volatile, ma anche in quel caso tutte le volte che dovrei usare l’arma contro un essere vivente (e non contro un bersaglio di carta!!), prima avrei sempre una voglia matta di ricontrollare la taratura. Purtroppo ho visto come tira una carabina con ancora delle tracce di olio nella canna. Non posso negare che la “ramatura” (il deposito di lega di rame lasciato dal rivestimento dei proiettili), i residui della combustione e quelli ancora più nocivi generati dagli inneschi a lungo andare potrebbero diventare un problema, ma tutto dipende dall’uso che facciamo della nostra arma.
La ramatura, ad esempio, è dannosa se raggiunge uno spessore notevole, ma se spariamo meno di cinquanta cartucce l’anno mi sono quasi convinto che forse è in grado di proteggere la canna dalla ruggine, molto più fastidiosa e dannosa. Comunque il discorso sulla pulizia delle canne lo riprenderemo un’altra volta, perché quello che mi sono riproposto di ricordare in questa occasione ai miei colleghi cacciatori è quello di mantenere sempre perfettamente efficienti le proprie armi con dei controlli periodici prima di andare a caccia.
Le verifiche andrebbero fatte a caccia chiusa e alla vigilia dell’apertura. Sono più di trent’anni che gironzolo per i boschi: vado a caccia, eseguo i censimenti e le catture e spesso e volentieri faccio anche l’accompagnatore. Credetemi, in questo ruolo le ho visti veramente di tutti i colori, come quello che accadde una tiepida sera di ottobre! Su sua specifica richiesta, avevo lasciato un simpatico anziano signore tutto solo sopra l’altana. Era appostato già dal primo pomeriggio in attesa che si presentasse l’occasione buona per tirare ad un daino o ad un muflone da trofeo. Io ero a “distanza d’orecchio”, in attesa degli eventi, quando mezz’ora prima del calare del sole sentii tre “cannonate” ben distanziate le une dalle altre. Il fatto mi incuriosì talmente tanto che decisi di andare a vedere cosa fosse successo.
Ero quasi certo che l’anziano cacciatore aveva ferito un animale e quindi volevo sfruttare la poca luce rimasta per tentare subito il recupero. Il baldo “Nembrotto”, quando mi vide da lontano, a gesti mi fece capire di allontanarmi perché quella era l’ora buona e che “io”, con la mia presenza, avrei potuto disturbare la caccia! A quel punto capii subito cos’era successo e raggiunta l’altana gli chiesi “sottovoce” a cosa avesse sparato. Lui, innocentemente mi rispose: “ Non ricordavo se la carabina era tarata bene così ho tirato tre colpi a quel sasso laggiù. Adesso stiamo zitti e attenti che tra poco arrivano gli animali!!”. Sembra una favola, ma purtroppo è una storia vera e credo che a parecchi colleghi accompagnatori sia capitato di assistere a simili comiche. Non pretendo che noi tutti diventiamo dei paranoici, sempre in apprensione sull’efficienza delle nostre armi, ma visto a cosa servono (ad uccidere, ma non lo dite a nessuno!!) è bene che vengano trattate con il dovuto rispetto e che svolgano sempre impeccabilmente il gravoso compito che gli verrà assegnato.
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