A fronte del fatto che si tratta di animali protetti, ciò che succede va considerato come un'esempio dell'incapacità di provvedere ad un patrimonio naturale, ancor più prezioso in quanto protetto, di chi direttamente (ISPRA) e indirettamente (associazioni animaliste) ne sostiene il divieto di caccia.
Tre quintali di tortore morte è, per il cacciatore, un disastro ecologico. Per lui che tra le comuni migranti, sia per l'apertura tardiva che per la limitazione di capi ne può abbattere, a malapena, qualche esemplare in tutta la stagione di caccia, un tale quantitativo perso in pochi giorni e in un ambito ristretto è il fallimento della protezione da parte di chi se ne dovrebbe occupare, proteggendo questi animali scientificamente, limitandone le presenze eccessive ma anche garantendo al corretto numero di individui un' esistenza equilibrata, alimentandoli con mangiatoie nei periodo più duri e replicando i loro habitat, creando siepi nei parchi cittadini e nei giardini pubblici, con piante dalle quali tali animali possano trarre alimentazioni sane e continuative senza incorrere in quello stato di nevrosi alimentare da fame che, generando tra gli individui deboli individui ancor più deboli e soccombenti, costituisce il preambolo di queste epidemie, di cui razze più resistenti e acclimatate sono portatrici sane.
La parola epidemia contagia anche l'opinione pubblica, a maggior ragione se a questa facessero seguito proibizioni tanto immediate quanto inconsulte come quella di voler chiudere la caccia. Gli allevamenti di polli sono già falcidiati dalla psicosi diossina e ne soffrono anche quelli biologici e questa è un'altra mazzata: sono passati già molti giorni e nessuno sa ancora spiegare il fatto senza riuscire a dare quell'informazione utile che possa circoscrivere la gravità della moria di queste tortore a fatti innocui, almeno per commercianti e consumatori. Va comunque considerato che tutta questa faccenda rivela il panorama di una realtà comunque grave. Nessuno si prende cura di questo patrimonio che si è deciso di proteggere, non basta proibire alla caccia, bisogna controllare: controllare gli eccessi delle razze così come si controllano i rischi d'estinzione.
Tutta la biodiversità che si vuole proteggere dalla caccia deve essere allora protetta da ogni altro rischio, dal dilagare di razze opportuniste come dalle attività umane sia lecite che ovviamente illecite, alla sottrazione di habitat, tanto quanto dall'incuria delle autorità. Molti scompensi che danno origine a situazioni critiche si creano nelle città.
Come si creano riserve naturali in campagna, si devono altresì stabilire e creare le condizioni ideali necessarie ad ogni razza di animali cittadini, come si sta già facendo controllando i topi o la diffusione eccessiva di gatti e cani, anche per i volatili, impedendo che gli eccessi siano nocivi ad altre razze e che non si corra il rischio di generare epidemie che possano essere comunque nocive per la salute degli stessi animali che per l'economia umana. Come si punisce il bracconiere, che abbatte specie protette, che si arrivi a punire, ancor più duramente di un bracconiere, che abbatte solo un capo, colui che direttamente o indirettamente causa simili stragi, anche se i semi, seppure commestibili, ingeriti da queste tortore fossero la causa concomitante della loro stessa e necessaria riduzione. Nessuno avrebbe di che rallegrarsene, sarebbe come ammettere che l'uccisione di questi animali possa avvenire a discernimento personale.
E' quindi necessario che le associazioni, sia dei cacciatori che quelle animaliste, magari in stretta concomitanza, oltre ad alzare la voce, si accertino direttamente con mezzi propri dei fatti, per poter puntare il dito contro i colpevoli e ricondurli legalmente alle loro responsabilità.
Fromboliere