Nel corso della mia attività a difesa della caccia e del cacciatore, sovente si ricevono dei quesiti a cui è molto difficile rispondere con precisione. Ciò è dovuto principalmente alle numerose lacune presenti nei testi normativi in nostro possesso che, purtroppo, non chiariscono compiutamente alcune problematiche in materia di caccia o armi.
Una di queste, senza dubbio, riguarda la modifica delle canne dei nostri fucili. La domanda che mi viene spesso posta è : “si possono tagliare le canne del proprio fucile senza mandarle al Banco Nazionale di Prova?”.
Questa è una domanda molto insidiosa anche per chi, come me, è costantemente aggiornato sulla normativa in materia. Alla domanda suddetta, infatti, non si può rispondere con precisione perché è la legge stessa che non ci fornisce una risposta adeguata.
Detto ciò, da amante e studioso del diritto, voglio addentrami insieme a voi ad esaminare questo interessante argomento.
Preliminarmente mi corre l’obbligo di sottolineare, al fine di non generare equivoci o fraintendimenti, che il presente parere è frutto esclusivamente di una personale interpretazione sulla normativa in esame, non è avvallato da alcuna norma di legge e pertanto non rappresenta una verità assoluta.
Premesso ciò passiamo all’analisi della normativa in esame riguardante la modifica del nostro fucile da caccia.
L’art. 3 della Legge 110/1975 statuisce che "chiunque,alterando in qualsiasi modo le caratteristiche meccaniche o le dimensioni di un'arma, ne aumenti la potenzialità di offesa, ovvero ne renda più agevole il porto, l'uso o l'occultamento, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da € 309 a € 2.065".
Applicando asetticamente la norma in esame si potrebbe sostenere che il legislatore abbia voluto escludere la possibilità per chiunque di modificare un’arma e conseguentemente anche per il cacciatore se non previa spedizione al Banco di Prova.
Tuttavia le norme di legge vanno interpretate ed anche, ove possibile, storicizzate tenendo presente il contesto socio-politico in cui sono nate.
Va rilevato, infatti, che prima della suddetta legge era del tutto lecito il taglio delle canne dei fucili da caccia e peraltro era molto in uso specialmente nel meridione d’Italia.
Era prassi consolidata effettuare drastici accorciamenti dei fucili da parte dei pastori che per difendere il proprio gregge dai predatori avevano bisogno di armi poco ingombranti da poter trasportare agevolmente e comodamente durante i propri spostamenti.
Sennonché tale prassi è stata perpetrata anche dai criminali che, naturalmente, con un arma più maneggevole potevano nascondere od occultare la stessa sotto abiti o piccoli involucri.
La “lupara” è un esempio tipico di queste armi modificate ed è diventata purtroppo famosa per essere l’arma tipica della mafia nel corso dei primi decenni del secolo scorso.
Nel corso degli anni la pratica di modificare brutalmente l’arma lunga è stata applicata in tutta la penisola e sovente vi sono stati furti e rapine commessi con tali fucili detti “a canne mozze”.
Il legislatore, pertanto, al fine di impedire che i fucili da caccia diventassero “lupare” , decise di intervenire emanando la legge che ci occupa.
Le modifiche operate sui fucili per farle diventare “lupare” o fucili “a canne mozze”, però, non consisteva in un piccolo taglio della canna, ma in un drastico accorciamento non solo dei tubi ma anche del calcio.
E’ evidente infatti che per poter occultare un fucile è necessario ridurlo decisamente e per far ciò bisogna apportare modifiche consistenti.
Nel nostro caso, invece, parliamo di piccoli tagli della canna che possono variare dai tre ai dici centimetri al massimo.
La maggior parte dei cacciatori e degli esperti del settore prevedono che anche il taglio minimo comporta il necessario invio della canna al Banco Nazionale di Prova per testarla nuovamente.
Secondo l’interpretazione maggioritaria, infatti, la predetta norma prevede che tagliare la canna implica un’alterazione della dimensione e pertanto l’asportazione seppur minima della canna, senza invio al Banco di Prova, configura il reato di cui all’art. 3 Legge 110/1975.
Tale motivazione, sebbene corretta e apparentemente logica, non mi convince completamente. Va rilevato, infatti, che la norma in esame dispone che l’alterazione dell’arma deve essere finalizzata ad aumentare la potenzialità di offesa ovvero a rendere più agevole il porto, l’uso o l’occultamento.
A questo punto è legittimo chiedersi se il taglio di pochi centimetri della canna di un fucile renda lo stesso più potente e ne consenta un trasporto più agevole. E’ ormai opinione consolidata da parte degli esperti balistici e di armi in generale che tagliare di qualche centimetro la canna di un fucile da caccia elimina la strozzatura presente sulla stessa e conseguentemente rende il fucile meno potente.
La canna strozzata, infatti, consente al fucile di raggiungere distanze sicuramente più lunghe rispetto ad una canna cilindrica. Ne consegue che il fucile con la canna tagliata non acquista più potenza anzi ne perde notevolmente.
Per quel che concerne il porto, l’uso, o l’occultamento più agevole dell’arma, non v’è chi non veda come il taglio di pochi centimetri non possa in alcun modo concretizzare la predetta condotta illecita. Un fucile da caccia pur modificato di pochi centimetri rimane sempre un fucile da caccia che sicuramente non può essere occultato.
A riprova di ciò come tutti sappiamo ogni azienda armiera mette a disposizione dei propri clienti varie dimensioni di canna e le più comuni sono la cm. 76, la cm. 71, la cm. 66, la cm. 61.
Supponiamo che un cacciatore possessore di una canna cm. 71 decida di tagliarla per portarla a cm. 61. Ma perché a quel cacciatore bisogna contestargli la fattispecie criminosa di cui all’art. 3 della legge 110/1995 se la stessa ditta armiera fornisce una canna di tale dimensione?
Molti potrebbero replicarmi che sulle canne è presente il peso delle stesse ed una modifica, anche minima, comporterebbe necessariamente una variazione del peso stesso.
Tale affermazione è sicuramente legittima, ma è necessario chiarire che il marchiare il peso sulla canna non deriva da alcun obbligo giuridico imposto alle aziende armiere, ma è una tradizione da sempre in uso tra le fabbriche costruttrici ed inoltre non vi è alcun registro in cui è catalogato il peso delle canne dei fucili da caccia.
Il legislatore stesso, infatti, nella Legge 110/1975 ha previsto una sostanziale difformità di normativa tra le armi da caccia a canne lisce e tutte le altre armi.
L’art. 7 della suddetta legge chiarisce che tutte le armi da fuoco “… con esclusione dei fucili da caccia ad anima liscia…” sono soggette all’iscrizione nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo. Tale iscrizione comporta l’assegnazione di un numero di catalogo e l’annotazione di tutte le caratteristiche dell’arma tra cui anche la lunghezza della canna.
Da ciò si evince che per le armi da caccia (ad anima liscia, ndr) il legislatore, non prevedendo la catalogazione, abbia dato più libertà alle ditte di armi da caccia di poter fabbricare e commerciare più liberamente i propri prodotti.
Giova peraltro evidenziare che la Suprema Corte di Cassazione non è mai intervenuta nella fattispecie in esame e conseguentemente non vi sono sentenze che possano avvalorare le varie tesi a confronto.
Atteso ciò pare si possa affermare che la volontà del legislatore del 1975 era quella di vietare la modifica delle armi per uso criminale per far fronte alla dilagante consuetudine di rendere i fucili degli strumenti di morte e non sicuramente quello di contrastare l’uso legittimo dell’arma da parte del cacciatore.
In conclusione, ribadendo che il presente parere è frutto di una interpretazione personale sulla normativa esaminata, invito tutti gli amici cacciatori ad evitare di tagliare le canne ai propri fucili perché una bella doppietta dotata di canne lunghe non va snaturata o modificata perché perderebbe la propria autenticità e bellezza.