Sono nato e risiedo nella Maremma Laziale dove, oltre al capriolo, al cinghiale, al colombaccio ed alla beccaccia, un altro nobile selvatico (anche se alloctono) ci ha sempre onorato della sua presenza: il daino. Alcuni, ma sono rimasti veramente in pochi, lo considerano ancora un selvatico di poca importanza venatoria, qualcun’altro lo apostrofa come un animale puramente “ornamentale”, ma in tantissimi ne riconoscono la scaltrezza e l’astuzia rispettandolo per quel che realmente è: una difficile preda degna di essere cacciata da abili cacciatori.
Dargli la caccia non è affatto facile, ve lo posso garantire io che, Selecontrollore da oltre un decennio nell’ATC Grosseto 8, spesso non riesco a completare il mio piano di abbattimento proprio a causa di questo nobile animale, “ornamentale” come lo definisce qualcuno, ma pur sempre un selvatico ambito, almeno per il sottoscritto e per tanti amici – colleghi. Ogni anno mi viene concessa la possibilità di abbattere uno o più daini nel territorio di mia competenza, ma nonostante la ricchezza d’animali caratteristica di quelle zone, non è scontato neanche che io riesca soltanto a vedere quell’elusivo animale ad un’ora decente. In funzione di ciò, prima di raccontarvi la splendida avventura che ho avuto la fortuna ed anche l’onore di vivere in una meravigliosa Tenuta privata a due passi da Spoleto, vorrei farvi conoscere il Dama Dama un po’ meglio. Vediamone insieme le caratteristiche sistematiche, i dati biometrici, le origini della specie e le abitudini.
Regno: animale Peso maschio Adulto: 70-120 kg
Tipo: cordati Peso femmina Adulta: 35-65 Kg
Sottotipo: vertebrati Lunghezza totale M A: 140-150 cm
Classe: mammiferi Lunghezza totale F A: 120-130 cm
Superordine: ungulati Altezza al garrese M A: 90-110 cm
Sottordine: Ruminanti Altezza al garrese F A 70-80 cm
Ordine: artiodattili Gestazione: 229-240 gg
Famiglia: cervidi Periodo degli amori: 5-20 ottobre (secondo zone)
Genere: Dama Periodo e n° piccoli per parto: Giugno 1 (2 nel 10 % dei casi)
Specie: Dama Il tasso di incremento annuo e del 30-40 %
Il Mantello può essere: pomellato, melanico, bianco (non legato all’albinismo), isabellino o menhil.
La formula dentaria è composta da tre premolari e tre molari sulla semi arcata superiore e da tre incisivi, un canino, tre premolari e tre molari nella semi arcata inferiore, per un totale di trentadue denti. Il daino, come tutti gli ungulati, va in muta due volte l’anno, in aprile-maggio e in settembre-ottobre. Ha due tipi di peli: giarra (primari) e borra (secondari o sottopelo). Il ciclo annuale dei palchi è il seguente: caduta in aprile (prima gli anziani) e pulitura in agosto –settembre (sempre prima gli adulti). Un forte maschio può vivere fino a 18 anni, ma la vita media si aggira intorno ai 10-15 ( le femmine sono più longeve). Il regresso inizia dopo il tredicesimo anno. A secondo delle classi di età, i daini si dividono in : piccoli, subadulti ed adulti. I maschi a loro volta si suddividono in: calvi, 1 anno; fusoni, 1-2 anni; balestroni, 3-4 anni e palanconi, oltre i 4-5 anni. Il massimo sviluppo del trofeo si ha intorno agli 8-10 anni ed è caratterizzato dalle punte della corona riunite da una palmatura. Inoltre può raggiungere gli 80 cm di lunghezza e gli 8 kg di peso. Per quanto discordanti, i dati in nostro possesso più o meno riportano che le prime introduzioni documentate in Italia risalgono ai tempi degli antichi romani. Probabilmente però già nel V secolo a.C. greci, cartaginesi e fenici ne avevano iniziato la diffusione nell’area mediterranea avendoli importati dall’Asia minore. Oggi il daino è diffusissimo in tutto il mondo, Americhe ed Africa incluse e persino in Nuova Zelanda sono presenti in buon numero. In Italia, stando alle informazioni fornite dall’INFS e dal EPS (Ente Produttori Selvaggina), è presente in quasi tutte le regioni. Come il cinghiale è un selvatico che cammina sul “filo del rasoio”, sempre in bilico tra la carenza di presenza e l’essere considerato un nocivo. Le sue abitudini alimentari da brucatore intermedio lo portano a cibarsi di una grande varietà di erbe, piante erbacee e cortecce di alberi spesso protetti. Dove la densità di questo selvatico è molto alta, tutta la vegetazione porta i segni del suo passaggio fino a 140 cm di altezza. Il daino,allo stato selvatico nel suo Habitat naturale, se studiato attentamente è affascinante quanto tutti gli altri ungulati cacciabili in Italia.
Per motivi di spazio ci limiteremo ad osservare le sue abitudini quel tanto necessario per conoscerle e quindi saperle sfruttare al meglio quando gli daremo la caccia. Il dama dama ha una struttura sociale che varia a secondo del territorio in cui si trova e in base alle stagioni. Di solito vive in gruppi più o meno numerosi. Il più comune è quello familiare, che comprende femmina, piccolo ed eventualmente il giovane dell’anno precedente. Seguono i gruppi di femmine e piccoli, costituiti dall’unione di più gruppi familiari, i gruppi di maschi, spesso occasionali, formati da soggetti di tutte le classi di età ed infine il gruppo misto che può arrivare a comprendere anche più di cento individui. Anche la consistenza di questi gruppi varia a secondo dell’estensione della zona in cui vivono. Minore è il territorio più piccoli sono i branchi. Il daino è attivo durante tutta l’intera giornata, teme più il freddo che il caldo, non lo troviamo infatti oltre i mille metri di altitudine e gradisce le zone ricche di acqua. Gli è comunque sufficiente un’abbeverata al giorno. E’ un animale territoriale ma non abitudinario. Se soggetto a fastidi o a carenza di cibo, si sposta rapidamente in zone più ricche e tranquille. Razziatore per natura, buon nuotatore, è in grado di saltare reticolati, recinzioni ed anche di percorrere alcuni chilometri per nutrirsi nei campi coltivati o nei vivai di giovani piante.
Ho testimonianze dirette di piantagioni di angurie, di asparagi e di barbabietole completamente devastati dai branchi di daini usciti dai parchi dell’Amiata, della Feniglia, dell’Uccellina e dalle Tenute San Rossore e di Castelporziano. I daini sono particolarmente golosi anche delle foglie degli ulivi e dei vigneti. Come già detto, questi animali si muovono durante tutto il giorno, ma pochissimo o quasi niente con il sole alto. Preferiscono brucare all’alba ed al tramonto ma il grosso della loro attività è prettamente notturna. Questa abitudine, unita al terrore che hanno verso la luce abbagliante dei fari, è la causa di una forte mortalità lungo le linee ferroviarie ed anche di molti incidenti stradali. In parecchi Comuni adiacenti ai parchi naturali o alle zone protette, si è dovuto intervenire con il contenimento della specie proprio per limitare questo grave problema. E finalmente parliamo di caccia, anzi, di Gestione, perché il capitale rappresentato dal daino deve essere ben amministrato per poterne godere a pieno i meritati interessi. Vediamo quali sono le tecniche migliori per cacciarlo in terreno libero o in zone cintate ma che siano almeno superiori ai quattrocento ettari. Se rispettare o meno la densità biotica del daino non spetta a noi deciderlo perché ci sono dei tecnici faunistici molto preparati, sta di fatto che, in base agli studi svolti dai ricercatori, dovrebbe variare da un minimo di 5 ad un massimo di 15 capi per 100 ettari di territorio, anche se ambienti particolarmente favorevoli sarebbero in grado di ospitarne anche 20-25 capi. Il prelievo venatorio dovrebbe essere così distribuito: 50% piccoli dell’anno, (sex ratio 1:1) 10 % fusoni, 4 % balestroni, 10 % palanconi 26 % femmine (ripartite tra adulte e sottili). Persino il grande Laszlo, il mio amico ungherese, nutre un profondo rispetto per il daino e ne è un appassionato cacciatore. Ci sono quegli anni che dove ti metti ti metti, riesci sempre a fare un buon colpo, come altri in cui invece, nonostante tutte le tue astuzie e tutta la tua esperienza, non riesci ad abbattere il capo desiderato. Ho sempre avuto un debole per il daino, forse perché, dopo il cinghiale, è stato il secondo ungulato che ho abbattuto decine d’anni orsono. Da tempo ho perso (o forse non l’ho mai avuta) la frenesia del trofeo. Ammetto che abbattere un bel palancone o un bel maschio di capriolo dà molta più soddisfazione di tirare alle femmine, ma non mi faccio certo problemi a dar la caccia a tutti i sessi e a tutte le classi d’età.
Nel corso di quell’ultima stagione non ero comunque riuscito ad abbattere un daino, né maschio né femmina. Mi stava quasi prendendo lo sconforto, ma sapevo che la sorte sarebbe dovuta cambiare. Avete mai visto cosa fanno due cani quando s’incontrano? Si annusano! Se l’usta piace a vicenda scodinzolano, giocano o al limite si ignorano, mentre se c’è qualcosa che non va ringhiano o si mordono. Bhe, a me capita di fare altrettanto con gli esseri umani. Come quando tanti anni fa incontrai Vittorio C., un validissimo Tecnico Faunistico (famoso per aver tenuto lezioni ai cacciatori di tutta Italia, anche nel prestigioso centro “Al Gallo”), i nostri “odori” ci piacquero subito, perché dopo pochi minuti che c’eravamo presentati discutevamo già come vecchi amici. Sono convintissimo che quando s’instaurano delle amicizie così rapide e profonde è proprio un fatto di “pelle”.
Tornando a noi, io vivo in provincia di Roma, mentre Vittorio a Treviso, le possibilità di vederci sono poche, ma grazie ai telefoni ed ai PC, siamo in costante contatto. Fu proprio durante una delle nostre lunghe telefonate che Vittorio mi invitò a raggiungerlo a Spoleto, dove si trovava per tenere dei corsi ai selecontrollori umbri e per controllare la popolazione ungulata presente in una prestigiosa riserva privata. Non è un segreto che moltissime Aziende Venatorie Faunistiche s’avvalgono della sua preziosa collaborazione. “Marco, se riesci a sganciarti dagli impegni per un paio di giorni, vieni a trovarmi che ti presento ai proprietari della Tenuta e “forse” riusciamo ad organizzare anche una uscita al ….daino!”. Le parole “Forse” e “Daino” furono più che sufficienti per farmi preparare lo zaino, gli scarponi e la Remington 700 BDL LH calibro 7 mm Magnum! Anche se il Lazio è confinante con l’Umbria, le splendide zone che circondano Spoleto le conoscevo poco o quasi niente. Accidenti che montagne! Ma siamo sicuri che non siamo in Trentino?, mi venne da pensare quando giunsi a destinazione. Vittorio, dopo avermi fatto visitare la Direzione Amministrativa e l’atelier di Barbara, provetta pittrice naturalista e figlia di uno dei proprietari, mi sollecitò a non perder tempo e di passare all’azione! Non ho nessun problema ad ammettere che avremmo cacciato in una zona cintata, ma trecento ettari di fittissima macchia appenninica non possiamo certo paragonarla ad un campetto di calcio! Vittorio mi garantì che gli animali presenti nella tenuta era tutti di cattura ed immessi diversi anni addietro, quindi per dirla con una sola parola: selvaticissimi!
Dopo aver percorso un breve tratto con un L 200 ed un altro a piedi, salimmo su una comoda altana sopraelevata da dove si dominava un prato bellissimo, lungo più di trecento metri e largo poco meno di duecento, con posizionate, discrete ed efficienti, alcune saline, un distributore automatico e temporizzato di granaglie ed alcune mangiatoie. Non storcete il naso, perché è ovvio che se vuoi portare a tiro i selvatici, devi allettarli con degli attrattivi. E’ uno dei metodi di caccia più antichi e ancora più attuali al mondo, dal Nord America all’Africa. Nonostante l’altana fungesse da cassa di risonanza, Vittorio ed io non riuscimmo a stare del tutto in silenzio perché di cose da raccontarci ne avevamo davvero tante. Appresi di come aveva trasformato quel recinto in una valida riserva di caccia e di che bellezza fossero gli animali che ci vivevano. Vittorio e Barbara, con una sapiente gestione ed un corretto prelievo, potevano vantarsi d’avere un elevato e pregiato capitale faunistico.
Con il sole ancora alto nel cielo, i primi ad arrivare furono giovani di muflone e di daino. Con un 20-60 x 80 HD controllammo le loro caratteristiche fisiche e fummo concordi nel ritenerli tutti in splendida forma fisica. Il cielo aveva il colore della polvere da sparo e un leggero vento freddo s’insinuava tra le assi della nostra casetta tra gli alberi. Man mano che la luce cedeva a malincuore il passo alla notte, nel prato cominciarono ad arrivare un numero impressionante di animali. Era bello vedere come mufloni, cinghiali e daini si spartissero in armonia ed equamente sia le risorse naturali sia quelle artificiali messe a disposizione dall’ambiente e dall’uomo, ignari dei due predatori in attesa del vecchio palancone che tardava a venire all’ultimo appuntamento. Quando pratico la caccia all’aspetto dall’altana, è mia vecchia abitudine “lavorare” direttamente con il cannocchiale montato sulla carabina quando si avvicina l’ora propizia. In questo modo sono pronto ad ogni evenienza, abituo l’occhio alla luce precaria, al reticolo e provo sia l’imbracciatura sia l’appoggio. “Daini maschi a ore dodici” mi alitò Vittorio sull’orecchio destro! Cinque palanconi erano appena usciti dal bosco con il palese intento di andare a nutrirsi al distributore automatico, ma lo facevano con calma, non avevano fretta. Era stata una stagione record come produzione di ghiande e nel bosco dovevano essercene ancora molte. Se i daini non avevano fretta, io si! Entro pochi minuti non ci sarebbe più stata luce a sufficienza per sparare, almeno con precisione. La mia ottica 3 – 12 x 50 è luminosissimo, ma non fa miracoli. Da lì a poco, se non mi fossi affrettato a sparare, avrei avuto bisogno di altro ! “Indicamelo tu” dissi a Vittorio. “L’ultimo!” mi rispose. Erano a 150 – 160 metri, come avevo avuto modo di appurare prima, rilevando alcune misurazioni con il Geovid. Purtroppo il prescelto si presentava di tre quarti di punta e doveva aver capito che qualcosa non andava perché tra tutti gli animali presenti nella valletta, lui era il più guardingo.
Misi il reticolo n° 4 A tra il petto e la spalla, controllai il respiro ed appena mi sembrò d’essere perfettamente immobile sfiorai i sensibilissimo grilletto della settecento. Vampa di bocca, rinculo ed il ristretto campo visivo del cannocchiale a dodici ingrandimenti m’impedirono di vedere se avevo colpito nel punto giusto, ma seppi ugualmente l’esito del tiro perchè me lo comunicò Vittorio: “Bravo Marco! E’ crollato sul posto”. Anche se non ce n’era assolutamente bisogno, ebbe un’ulteriore conferma che le Nosler Partition da 160 grani sono quanto di meglio si possa avere per abbattere i grossi selvatici. Mi ci sono trovato sempre bene ed io le preferisco a tante altre palle, anche monolitiche o più moderne. La piccola valletta incantata era ritornata deserta e silenziosa e quando io e Vittorio raggiungemmo il vecchio maschio era notte fonda.
Con il solo aiuto di una piccola MagLite avemmo anche qualche difficoltà sia per porgergli i dovuti onori sia a scattargli le foto di rito. Il daino era veramente un capo superbo, dal palco maestoso e dal collo taurino. Proprio quello che desideravo abbattere da diverso tempo. M’illusi, come sempre, d’aver fatto una cattura corretta, di aver contribuito al benessere della specie selezionando un capo ormai vecchio prossimo al regresso. A Spoleto ho vissuto un’avventura veramente bellissima, in compagnia di un amico validissimo, competente e sincero.
Credo che sia anche doveroso ringraziare Barbara per avermi dato l’occasione di visitare un’azienda così ben gestita e di avermi fatto ricordare che l’Italia è uno dei paesi più belli e ricchi al mondo … in tutti i sensi.
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