Con il presente parere ci occuperemo di un tema molto dibattuto tra i cacciatori: la locazione e/o comodato delle armi da caccia e per far ciò utilizzeremo la sentenza della Corte di Cassazione n. 46260 del 08 novembre 2012.
La predetta sentenza, peraltro, è davvero interessante perché ci permette di cogliere in maniera chiara gli errori giudiziari che spesso si commettono nelle aule dei Tribunali quando si affrontano problematiche inerenti alla caccia o alle armi.
Al fine di cogliere l’importanza della predetta sentenza è opportuno partire dalla norma che regola la locazione e/o il comodato delle armi.
l’art. 22 della legge 110 del 1975 statuisce che: “non è consentita la locazione o il comodato delle armi di cui agli articoli 1 e 2, salvo che si tratti di armi per uso scenico, ovvero di armi destinate ad uso sportivo o di caccia, ovvero che il conduttore o accomodatario sia munito di autorizzazione per la fabbricazione di armi o munizioni ed il contratto avvenga per esigenze di studio, di esperimento, di collaudo".
Il secondo comma del predetto articolo prevede che “è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da lire 400.000 a lire 3.000.000 chiunque dà o riceve in locazione o comodato armi in violazione del divieto di cui al precedente comma".
Atteso ciò nella citata sentenza si ribadisce in maniera chiara ed incontrovertibile quanto normato dal legislatore del 1975.
Tuttavia lo svolgimento del processo che ha condotto la Suprema Corte a ribadire tale assunto è davvero significativo ed è doveroso affrontare l’argomento.
Il Tribunale di Vigevano con sentenza peraltro confermata dalla Corte di Appello di Milano condannavano il cacciatore Caio (per la privacy non si utilizzeranno i nomi reali dei soggetti coinvolti) per il reato ex art. 22 comma secondo della Legge 110 del 1975 per aver consegnato in comodato d’uso un fucile semiautomatico cal. 20, legittimamente detenuto, al suo amico cacciatore Sempronio che lo utilizzava durante una battuta di caccia senza essere munito di porto d’armi e di licenza di caccia, infliggendogli la pena di venti giorni di reclusione.
I predetti giudici di merito richiamavano il dato probatorio consistito dalla dichiarazioni dei verbalizzanti escussi (agenti della Polizia della Provincia di Milano) che hanno riferito che al momento del loro intervento Sempronio imbracciava il fucile, aveva ai suoi piedi tre germani reali abbattuti e Caio dichiarava di aver prestato lui il fucile all’amico sapendo che gli era stata ritirata la licenza di caccia.
Per tali fatti i giudici del Tribunale e della Corte di Appello escludevano che il possesso del fucile da parte di Sempronio avesse solo carattere temporaneo e non fosse invece destinato a consentire allo stesso l’esercizio venatorio.
Inoltre, secondo i predetti giudici, la potenzialità dell’arma escludeva l’operatività della deroga del divieto di locazione o comodato previsto dall’art. 22 della Legge 110 del 1975.
A seguito di gravame presentato dal difensore del cacciatore Caio, che si ribadisce sia nel primo grado che nel secondo è stato ritenuto colpevole del reato previsto dall’art. 22 comma secondo della legge 110 del 1975, la Cassazione ha accolto il ricorso annullando senza rinvio la sentenza di secondo grado impugnata (ovviamente ndr).
Il tenore dell’art. 22 comma secondo della legge 110/1975 è tale da dover far ritenere che la deroga al divieto di locazione o di comodato sia da ritenersi operante sia per la funzione sia per la potenzialità delle armi da caccia.
Nel caso di “uso sportivo o di caccia” la caduta del divieto di locazione e comodato di armi è ragionevolmente collegato sia alla minore potenzialità offensiva delle armi sportive e da caccia sia, soprattutto, alla effettiva destinazione di siffatte armi all’uso sportivo e di caccia, presupposti entrambi richiesti per l’operatività dell’eccezione al generale divieto posto dal citato articolo 22 L. 110/75.
Pertanto gli Ermellini interpretando correttamente il predetto articolo statuivano che “non vi è divieto di locazione o comodato solo allorchè trattasi di armi da caccia effettivamente utilizzate per l’uso venatorio” richiamando peraltro una precedente massima della stessa Suprema Corte che nel 2002 prevedeva “la illiceità della condotta è esclusa solo alla doppia condizione che l’oggetto materiale sia obiettivamente qualificabile quale arma per uso scenico o destinata ad uso sportivo o di caccia e che l’arma concessa in locazione od in comodato sia effettivamente destinata dal ricevente all’uso scenico, sportivo o venatorio”.
Ciò posto analizzato in maniera esaustiva quanto sostenuto dalla Cassazione in merito al comodato e/o locazione delle armi giungiamo ai macroscopici errori giudiziari perpetrati dai giudici del Tribunale di Vigevano e della Corte di Appello di Milano.
Nella sentenza del 2012 si evince chiaramente che i giudici di merito di primo e secondo grado condannavano il cacciatore Caio perché ritenevano erroneamente che un fucile da caccia come quello sequestrato (cal. 20) fosse un fucile particolarmente offensivo, più potente cioè del cal. 12 e quindi, come tale, non usato nell’attività venatoria.
la Corte di Cassazione, con un’affermazione che oserei definire lapidaria, affronta l’errore marchiano evidenziando che “il giudice del merito è stato tratto in errore dal calibro. Siccome 20 è maggiore di 12 ha ritenuto che l’arma utilizzata dal cacciatore Sempronio (cal. 20) fosse più potente del cal. 12 mentre invece è l’esatto contrario: il cal. 20, nella dizione usata per i fucili da caccia è un calibro pacificamente inferiore. Anzi tra il cal. 12 e il cal. 20 c’è quantomeno ancora il cal. 16 anch’esso maggiore del 20".
E’ assurdo che sia il giudice di primo grado sia quello del secondo abbiano commesso un errore così grossolano che ha condotto necessariamente ad adire la Suprema Corte per affermare una verità così logica quanto palese e ciò denota che a volte alcuni giudici non conoscono nemmeno la base della legislazione venatoria e il diritto delle armi !
Ma i giudici di Piazza Cavour impartiscono una lezione di diritto venatorio ai loro colleghi disinformati affermando che “il calibro 20 è un’arma molto versatile a caccia, potendo utilizzare un ampio tipo di munizionamento (dai 23 fino ai 36 grammi) con l’ulteriore vantaggio del peso minore dell’arma e dunque è di una sua maggiore portabilità (tanto da essere preferito dalle donne). Tuttavia il calibro 20 non è da consigliarsi per la specifica caccia ai germani reali e per altra selvaggina di non piccola pezzatura in quanto, pur a parità di resa, quanto a lunghezza del tiro, con il cal. 12, la cartuccia del cal. 20 può contare giocoforza su una rosata di pallini di numero minore per via del calibro inferiore e dunque con minor possibilità che un pallino possa colpire l’animale in una parte vitale” .
Ma vi è di più!
Ad un errore così palese ne segue un altro che il lettore attento avrà probabilmente colto e che la Suprema Corte evidenzia correttamente.
Dall’analisi della condotta di Caio e Sempronio non si comprende “perché nella fattispecie in esame non sia stata esplorata l’eventualità di contestare al cacciatore Sempronio il reato di cui all’art. 699 c.p. (porto abusivo d’arma) reato peraltro commesso in concorso con il cacciatore Caio in relazione al fucile consegnato in comodato essendo Sempronio pacificamente sprovvisto della necessaria licenza e Caio a conoscenza di tale circostanza”.
Purtroppo tutto ciò rappresenta un esempio, non così raro, di errata applicazione della normativa in materia da parte degli organi accertatori dei giudici di primo e secondo grado che hanno errato in maniera palese sia nel contestare un reato non commesso al prevenuto sia nel non punire gli stessi per il reato realmente commesso a causa di una lacunosa conoscenza degli argomenti trattati.
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