E’ di questi giorni la notizia che FederFauna, la confederazione sindacale degli allevatori, commercianti e detentori di animali ha depositato presso le Procure un esposto per possibili maltrattamenti agli animali nell’ipotesi in cui si sottopongano cani e gatti a condizioni non idonee alle loro caratteristiche etologiche, ovverosia gli si imponga una dieta vegana.
Andiamo oltre nei fatti che spettano eventualmente alla magistratura e proviamo ad affrontare il problema da un punto di vista filosofico perché l’oggetto della querelle cela ombre, dubbi ed interrogativi di non poco conto.
L’umano che sceglie per ragioni etiche riguardanti la cosiddetta “questione animale” di seguire uno stretto regime alimentare vegano, ha preso la sua decisione in modo autonomo giudicando una serie di fatti, libero da necessità e costrizioni esterne.
Il libero arbitrio sulle scelte è una caratteristica esclusivamente umana, o perlomeno è più marcata rispetto alla volontà degli animali la cui esistenza è dettata dagli istinti. La dieta vegana non può ovviamente essere imposta ad altri uomini, anch’essi dotati di egual libero arbitrio e prevede di seguire regole di coerenza per non incappare nella fallacia della sua filosofia, distruggendone l’intera impalcatura e rendendo vano lo sforzo per il cambiamento. Il vegano animalista per ragioni etiche deve condurre la sua esistenza non essendo causa di morte e sofferenza di altri essere viventi animali, esseri viventi vegetali esclusi (sic!).
Come deve porsi quindi il vegano animalista nei confronti degli altri esseri viventi dotati di una loro volontà qualora possa interferire con essa? Se non può imporre il suo stile di vita ad altri uomini ma eventualmente “informarli” sulle sue scelte nel tentativo che il libero arbitrio degli altri umani propendi per la sua filosofia, certamente ha la facoltà di decidere quale dev’essere il suo rapporto con gli animali, in tal caso quelli d’affezione, fino ad arrivare a deciderne le sorti di vita.
Da qui la prima domanda: in base alla filosofia vegan-animalista, a rigor di logica e coerenza, è corretto possedere animali che si cibano di altri animali? La risposta più plausibile sarebbe no, a meno che la scelta sul cane e sul gatto da tenere come compagnia non sia supportata da argomentazioni a dimostrazione che l’alternativa di vita per questi animali sarebbe stata peggiore rispetto a quella che avrebbero condotto con lui. Il problema non si pone se si decide di tenere il coniglio che è un animale vegetariano, diverso è il possesso di animali prettamente carnivori. Ecco allora che un “animal-veganista” potrebbe tenere un cane od un gatto a certe condizioni: se sono già in vita (non desiderandolo quindi), se nessun altro umano vuole adottarli e se la loro condizione di esistenza è travagliata e maltrattata; in pratica l’ultimo degli animali di un canile o gattile o quelli salvati da morte certa ed imminente come i randagi sulle strade. Su quest’ultimo punto si apre però un’altra questione fondamentale che affonda le sue debole e precarie radici dell’incoerenza nella filosofia animalista: salvare un gatto od un cane da morte certa, sapendo che questi causeranno in futuro la morte di altri animali è eticamente corretto? Se devo condurre l’esistenza da animalista non essendo causa di morte di altre esistenze, è corretto salvare UN gatto per esempio, sapendo che questo provocherà MOLTE altre morti per poter vivere? Sono domande apparentemente senza una risposta logica e che dimostrano la totale incapacità di coerenza dell’attuale filosofia animalista. Ci si inoltra in un circolo vizioso di un labirinto impantanato dal quale si intravede uno spiraglio di luce solo se perfino il rigoroso stile di vita vegano accetta la realtà esistenziale per quella che è: L’uomo quindi, in base al libero arbitrio, può scegliere esclusivamente per sé lo stile di vita vegan-animalista, non curandosi ed accettando tutto quello che succede nel mondo animale in generale. Non deve intervenire se un ragno sta uccidendo una zanzara o se il gatto preda l’uccellino, anzi, deve stare distaccato dalla natura il più possibile per non sentirsene parte, deve accettarla da lontano; egli può intervenire solo nei comportamenti degli altri uomini in quanto dotati delle sue stesse capacità, sentimenti, possibilità di scelta.
Se la filosofia animalista invece continuerà, e lo sta facendo alla grande, a non accettare neanche quello che ci circonda, imploderà su se stessa. E’ il caso della dieta vegana da imporre ai cani ed ai gatti. Gli animalisti pensano di superare lo scoglio sul quale si è arenata la loro nave dalla stiva colma di incoerenze come quella di possedere deliberatamente animali carnivori, costringendoli alla loro stessa dieta. L’animale da amare e da salvaguardare contro ogni razionale logica, diventa paradossalmente a sua volta il principale maltrattato per una mera esigenza umana che tenta di cambiare le regole base della vita di ogni essere vivente; regole che l’animalista non accetta, aborra, condanna a tal punto da voler sovvertire il “naturale”, a volte maltrattandolo od uccidendolo involontariamente come nel caso di un gatto privato dell’essenziale carne di cui abbisogna.
Quel che in apparenza era un tempo solo odio nei confronti dei propri simili, inteso come non accettazione dell’uomo che uccide altri animali per sopravvivere, si sta ora trasformando pian piano in “negazione dell’esistenza in generale” in tutte le forme in cui questa non è condotta come viene rappresentata nel fantasioso immaginario filosofico animalista. E’ l’estremo che vorrebbe “valorizzare” la vita in tutte le sue forme ma che in realtà, arrivato in coda a se stesso, comincia a mordersi. Tutto ciò a prescindere che la dieta vegana imposta ai cani ed ai gatti faccia bene o male perché se tuttavia era possibile pensare alla filosofia animalista come cambiamento di se stessi, non accettandosi a questo mondo con le regole naturali affidateci fin dal nostro primo respiro, dimostrando quindi la possibilità per l’uomo di vivere con una dieta vegana, nel caso di imposizione agli animali assume significati ben più profondi: non si tratta più solo di “non accettazione dell’uomo” ma della “non accettazione dell’esistenza in generale e delle funzioni vitali e naturali del nostro pianeta”.
Massimo Zaratin